Chi vedesse a Lucia un var capuzzo Analisi

Chi vedesse a Lucia un var capuzzo Analisi

di Guido Guinizzelli


Chi vedesse a Lucia un var capuzzo
in cò tenere1, e como li sta gente2,
e’ non è om de qui ’n terra d’ Abruzzo
che non ne ’namorasse coralmente3.
Par, sì lorina4, figliuola d’un tuzzo 
de la Magna o de Franza veramente5;
e non se sbatte cò de serpe mozzo
come fa lo meo core spessamente6.
Ah, prender lei a forza, ultra su’ grato7,

e bagiarli8 la bocca e ’l bel visaggio
e li occhi suoi, ch’èn due fiamme de foco10!
Ma pentomi, però che m’ho pensato11
ch’esto fatto poria portar dannaggio12
ch’altrui despiaceria forse non poco13.


1 Chi… tenere: Se qualcuno vedesse
Lucia indossare (tenere) in capo (in cò)
un cappuccio di pelliccia di scoiattolo

(var capuzzo).
2 e… gente: e come le sta bene (gente,
abbreviazione dell’aggettivo «gentile»).

3 e’… coralmente: non esisterebbe
nessuno (non è om, francesismo), da qui
all’Abruzzo, che non se ne innamorasse
di tutto cuore (coralmente, secondo la
parafrasi di Contini).
4 Par… lorina: Sembrerebbe, così
impellicciata. L’aggettivo «lorina» lettealmente
significa “pezzata”, come maculata
si presenta la pelle di un animale.
5 figliuola… veramente: figlia di un
nobile (tuzzo) della Germania (Magna)
o di Francia.
6 e non se sbatte… spessamente: e
il capo mozzato di un serpente (cò de
serpe mozzo) non si agita frequentemente
(spessamente) come fa il mio cuore.
7 Ah… grato: Ah, poterla prendere con
la forza, contro la sua volontà (ultra su’grato).
8 bagiarli: poterle baciare.
9 visaggio: viso.
10 ch’èn… foco: che sono (èn) due
fiamme di fuoco.
11 Ma… pensato: Ma mi pento, perché
(però che) ho pensato tra me e me.
12 ch’esto… dannaggio: che questo
fatto potrebbe (poria) arrecare danno


Livello metrico
Sonetto, costituito secondo il classico schema da due
quartine con rima ABAB, ABAB e due terzine a rima
CDE, CDE.

Livello lessicale, sintattico, stilistico
Il componimento applica la teoria medievale degli
stili, come venne formulata da Goffredo di Vinsauf nel
Documentum de arte versificandi. Partendo dalla teoria
espressa da Orazio nell’Ars poetica (vv. 89 e sgg.),
secondo la quale «una materia comica non ammette di
essere presentata con versi tragici», il poeta sceglie
uno stile umile (per Goffredo, tale stile presenta il
difetto di essere «secco ed esangue, cioè che si serve
di una scorrevolezza troppo bassa e spregevole»1). Lo
stile è una proprietà oggettiva del testo che non
dipende affatto dalla creatività del poeta, ma corrisponde
propriamente al registro linguistico richiesto
dalla materia.
In questo sonetto dunque le scelte formali di
Guinizzelli sono lontanissime dalla sua produzione stilnovistica.
L’attenzione si sofferma immediatamente
sulla rima bizzarra, di una sonorità inelegante, distante
quindi dai versi musicali e piani dello stil novo
(«capuzzo» : «Abruzzo» : «tuzzo» : «mozzo»). I suoni
spesso sono ripetitivi (si noti ad es. l’anafora del «ch’»
negli ultimi due versi, nonché la ripetizione sistematica
del «chi», «che» e della congiunzione «e»).
L’aggettivo che designa la donna, «lorina», connota
caratteristiche del mondo animale, secondo un registro
linguistico popolare ma soprattutto colloquiale e
rozzo, al limite della trivialità. La struttura sintattica
inoltre è irregolare e libera: domina infatti l’anastrofe.
Particolare attenzione deve essere posta sulla prima
terzina, ove espressioni proverbiali e di forte impatto
visivo (ardita è la similitudine del cuore del poeta che
pulsa come il capo mozzato di un serpente), oppure
modi di dire popolari, come «li occhi suoi, ch’èn due
fiamme de foco» sono accompagnati da proposizioni
esclamative, che accennano quasi ad un’esagerazione

simile all’iperbole.
Il ritmo è spezzato, non segue la sintassi: sono presenti
anche degli enjambements (vv. 3-4, 5-6, 11-12,
13-14).


Livello tematico
Questo sonetto esprime un modo di far poesia completamente
diverso da quello cortese e stilnovistico.
Proprio per il carattere squisitamente realistico, concreto,
del mondo evocato, ed anche giocoso, si è soliti
annoverare il presente componimento tra le liriche
comico-realistiche. Guinizzelli sperimenta un modo di
fare poesia che si ricollega alla tradizione mediolatina
definita appunto iocosa, attenendosi rigorosamente a
precise convenzioni letterarie.
Il tema affrontato pertanto non ha nulla a che vedere
con la vicenda biografica dell’autore: in questo caso
viene celebrata in modo quasi sensuale e giocoso la
donna, che viene chiamata immediatamente per nome,
«Lucia», contravvenendo alla prescrizione cortese del
segreto sull’identità dell’amata.
La scelta del nome però non appare né casuale né
dovuta a ragioni biografiche. L’etimo di «Lucia» è infatti
il latino lux; si sa quanta importanza abbia il tema
della luce nell’opera di Guinizzelli [E1, E4].
L’accostamento tra il nome derivato dall’etimo lux e il
verbo «vedere», oltre a richiamare direttamente il
primo verso del sonetto Vedut’ho la lucente stella
diana, appare anch’esso significativo. Santa Lucia (figura
che, tra l’altro, svolgerà un ruolo di grande importanza
nell’ispirazione del viaggio di Dante nell’oltretomba)
è appunto la protettrice della vista, ossia della
facoltà attraverso la quale si produce l’innamoramento.
Sembra plausibile allora che l’incipit del sonetto voglia
richiamare, in tono parodistico, gli effetti dell’innamoramento
dovuti alla visione della donna.
Lucia è descritta nella sua “bellezza”, sottolineata da
questo copricapo così particolare, «un var capuzzo»:
molto netta (e, forse, ricercata proprio a fini parodistici)
è la distanza rispetto alle donne stilnovistiche, che
sono esclusivamente vestite di “beltà” o descritte

attraverso pochi tratti stilizzati [E4]. L’uomo che
qui parla non è affatto nobilitato dall’incedere della
sua amata, che, al contrario, suscita in lui una passione
violenta, sensuale ed aggressiva: il suo cuore inizia
infatti incessantemente a pulsare come il capo mozzato
di un serpente. La similitudine (così come il cappello di
Lucia e l’aggettivo «lorina») rimanda al mondo animale;
ed il serpente, nella tradizione cattolica, è il simbolo
del peccato. All’ingentilimento che avviene nell’uomo alla
visione della donna-angelo, qui viene insomma sostituito
un moto passionale dell’animo, tanto che l’uomo vorrebbe
baciare violentemente non solo gli occhi (strumento di
Amore ma, in questo caso, «fiamme de foco»), ma soprattutto
la bocca ed il bel viso della donna.
Guinizzelli comunque pone la “firma” a questo suo componimento

dal momento che la terzina finale sembra
voler attenuare la trasgressività delle strofe precedenti,
denunciando il pentimento del poeta perché con questo
suo pensiero ha sicuramente creato danno a qualcuno. Si
potrebbe ipotizzare un pentimento nei confronti della
donna amata dal poeta, di una donna gentile quale quella
cui si accenna nella canzone Al cor gentil rempaira sempre
amore; di sicuro non c’è pentimento nei confronti di
Lucia, che viene chiaramente identificata nell’intera poesia.
Il sonetto ci testimonia comunque il fatto che il confine
tra poesia “illustre” e poesia “comico-realistica” non è
poi così netto. Tant’è vero che Guinizzelli, Dante e
Cavalcanti praticarono, in diverse occasioni, questo meno
elevato (ma non meno formalmente elaborato) genere
poetico.