C’è un paio di scarpette Rosse

C’è un paio di scarpette Rosse


Questa poesia ruota attorno ad un paio di scarpe rosse numero ventiquattro nelle cui suole interne si vede ancora la marca di fabbrica “Schulze Monaco”. Un paio di scarpette normalmente utilizzate per i giorni di festa, ed ancora nuove, che un bambino di soli tre anni e mezzo calzava a Buchenwald, un campo di sterminio nazista, in Germania. Quelle scarpette erano in cima ad un mucchio di altre scarpette appartenenti a bambini che in quel luogo hanno trovato la morte. I nazisti facevano entrare genitori e bambini nelle camere a gas, con la scusa che li avrebbero sottoposti ad una doccia con successiva disinfestazione per farli entrare in un campo-gioco. Invitarono per altro i genitori a far avvicinare i bambini ai bocchettoni, per farli lavare meglio, ma da quelle aperture non usciva acqua, ma solo gas. Prima però, i bambini venivano fatti spogliare e rasare. La poetessa infatti scorge anche un mucchio di riccioli biondi, di ciocche nere e castane.

Joyce Lussu cita poi un altro sistema di morte usato dai nazisti: l’utilizzo dei forni crematori, infatti dice che probabilmente non riusciremo ad immaginare di che colore erano gli occhi di quel bambino bruciati dal forno, ma che riusciremo ad immaginare il suo pianto; un pianto che nessuno riuscirebbe a sopportare, che nessuno vorrebbe sentire e che io spero di cuore che nessuno in futuro dovrà sentire mai.
Questa poesia apparentemente dedicata ad un solo bambino è in realtà rivolta a tutti i bambini che furono uccisi. Di certo i nazisti usavano le persone come merce, utilizzando di loro qualsiasi parte del corpo, anche i capelli per farne coperte per i soldati.
Il tono con cui Joyce Lussu scrive la poesia è pacato, non c’è traccia di condanna nè di odio, ma questo paradossalmente ne fa aumentare il senso di orrore, se pensiamo che se solo uno di quei “burattini” manovrati da Hitler si fosse fermato a riflettere come ha fatto in questa poesia Joyce, probabilmente almeno uno di quei tanti bambini sarebbe ancora vivo.