CAVALIERE INESISTENTE RIASSUNTO

CAVALIERE INESISTENTE RIASSUNTO


La trama del romanzo narra le vicende di un cavaliere inesistente che si chiama Agilulfo (ricordato solo per la lucida armatura vuota) e del giovane Rambaldo di Rossignore, arruolatosi per vendicare la morte di suo padre, il marchese Gherardo di Rossignore ucciso dall’argalif Isoarre. Il giovane Rambaldo riesce nell’intento di sconfiggere l’assassino di suo padre ma viene in seguito condotto in una trappola da due infedeli. Per sua fortuna, arriva in suo soccorso un soldato che riesce a sconfiggere i due infedeli. A quel punto, Rambaldo vuole conoscere il suo salvatore scoprendo così che il cavaliere misterioso è in realtà una donna, che si chiama Bradamante e di cui si innamorerà perdutamente. La donna viene descritta come un’amazzone sempre precisa, vestita di tutto punto e infatuata del cavaliere inesistente.

Nel frattempo, l’esercito di Carlo Magno, che è pronto ad insorgere contro gli infedeli, si imbatte in un povero contadino che si chiama Gurdulù, che in seguito verrà affidato dallo stesso Carlo Magno come scudiero ad Agilulfo. La vicenda si sblocca grazie alle scioccanti rivelazioni del giovane Torrismondo, che mette in dubbio la liceità del titolo del cavaliere inesistente che anni fa aveva salvato la vergine Sofronia, figlia dei duchi di Cornovaglia da due briganti e, all’epoca, salvare una donna pura valeva la nomina di paladino. A quel punto, il cavaliere inesistente si vede così costretto a portare all’Imperatore Carlo Magno delle prove certe sulla liceità del suo titolo. Parte alla ricerca di Sofronia, seguito a ruota dal suo fedele scudiero, da Bradamante infatuata di lui e da Rambaldo (innamorato di lei). Nella stessa sera, anche Torrismondo parte alla ricerca di suo padre, ovvero uno dei cavalieri de “Il Sacro Ordine dei Cavalieri del Santo Graal”.

Dopo varie peripezie che lo portano prima a cercare la donna in Scozia e poi in Marocco, Agilulfo trova finalmente Sofronia. A quel punto, Agilulfo decide di portare la donna nei pressi del campo di battaglia dei Franchi, per raccontare a Carlo Magno la verità sull’accaduto passato, ma la situazione precipita quando Torrismondo, recandosi nei pressi della caverna dove si era nascosta la sua presunta madre Sofronia, cede insieme alla donna alla passione amorosa. A questo punto Agilulfo non può più provare la verginità della donna e Torrismondo commette un grave errore che gli costerà la conseguente perdita del titolo.

Nel finale, si scopre che Torrismondo è figlio della regina di Scozia e del Sacro Ordine, mentre Sofronia è figlia del re di Scozia e di una contadina. I due possono vivere il loro amore felici e contenti. A questo punto, Agilulfo, convinto di non poter mai confermare la validità del suo titolo di cavaliere, decide di togliersi la vita, senza così mai venire a conoscenza della verità. Agilulfo in ultimo lascia in eredità la sua bianca armatura al giovane Rambaldo. Il finale è epico. Rambaldo si incontra con Bradamante che, scambiandolo per il cavaliere inesistente cede alle sue lusinghe, ma appena scoperto l’inganno, Bradamante decide di tornare alla vita della clausura in convento. Nel finale del romanzo, Rambaldo parte alla volta del monastero per convincere Bradamante a fuggire con lui. A narrare l’intera vicenda del romanzo è una monaca, suor Teodora, che solo nel finale confessa la sua vera identità, ovvero di essere Bradamante.

Italo Calvino curò la  raccolta di Fiabe italiane, provenienti dalle diverse tradizioni regionali d’Italia, nella metà degli anni Cinquanta. Un paziente e rigoroso lavoro di collezione e classificazione, che tenne impegnato lo scrittore per ben due anni. Un corpus ricchissimo che nacque con l’esigenza di offrire agli italiani un corrispettivo di ciò che in Germania avevano dato i Grimm e non erano bastati – perché non avevano attecchito nell’immaginario popolare, diffondendosi come poi avrebbe fatto Calvino – il veneziano Straparola o il napoletano Basile. Così lo scrittore ligure si immerse in quello che lui stesso definì un “mondo sottomarino”, ancora inesplorato, e lo fece da pioniere curioso, scrupoloso, indefesso.

Certo il lavoro fu tanto: si trattò di raccogliere le fiabe, individuarne le versioni, catalogarle, tradurle dal dialetto. Queste operazioni le compì stupendosi al contempo dell’infinita varietà del materiale e della sua continua ripetizione, tanto che chiamò “tentacolare e aracnoidea” la sostanza dell’oggetto del suo studio.

Si trattava di un materiale così ricco, il nostro, che non aveva nulla da invidiare al tanto celebrato patrimonio fabulistico dei paesi germanici o slavi, eppure era stato così trascurato. Lo scrittore si pone come obiettivo quello di far affiorare dal caos eterogeneo di racconti, episodi, personaggi, temi e motivi, un libro con una sua coerenza, con una sua ragione di esistere che vada al di là della pura e semplice nota di colore folcloristico; e, nello stesso tempo, consapevole della «infinita varietà ed infinita ripetizione» delle storie riportate, il rispetto e la conservazione delle differenze, quelle variazioni di tono che fanno di un semplice canovaccio narrativo l’espressione di una certa realtà storica e sociale, «il “diverso” che proviene dal modo di raccontare del luogo e dall’accento personale del narratore orale».

Una duplice finalità, dunque, come del resto duplice può essere considerata l’intera vocazione letteraria di Calvino, sempre sospesa tra complessità irrisolta e tensione all’esatto, alla semplificazione geometrica; e se da un lato Calvino, memore degli studi di Propp sulla fiaba popolare russa, si fa prendere da «una smania, una fame, un’insaziabilità di versioni e di varianti, una febbre comparatistica e classificatoria», per cui motivi, episodi e personaggi diventano le componenti asettiche di un certo meccanismo narrativo che si ripete in luoghi e tempi diversi, dall’altro cresce e si rafforza in lui la convinzione che «le fiabe sono vere», perché costituiscono una «spiegazione generale della vita» e «sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna».