CATULLO CARME 5 TRADUZIONE

CATULLO CARME 5 TRADUZIONE


 vivamus mea Lesbia. atque amemus.
rumoresque senum severiorum
omnes unius aestimemus assis.
soles occidere et redire possunt.
nobis cum semel occidit breuis lux 5
nox est perpetua una dormienda.
da mi basia mille. deinde centum.
dein mille altera. dein secunda centum.
deinde usque altera mille. deinde centum.
dein cum milia multa fecerimus 10
conturbabimus illa ne sciamus
aut ne quis malus invidere possit
cum tantum sciat esse basiorum.


TRADUZIONE

Godiamoci la vita mia Lesbia, e amiamoci
e non teniamo in alcun conto
le critiche dei vecchi più severi.
I giorni possono tramontare e rinascere:
noi, non appena è tramontata la nostra breve vita,
dobbiamo dormire un’unica notte senza fine.
Dammi 1000 baci poi 100
poi di nuovo 1000 poi ancora altri 100,
poi ancora altri 1000, poi altri 100,
poi quando ne avremo accumulati molte migliaia
li confonderemo per non sapere la somma
o perché nessun maligno possa gettarci il malocchio,
sapendo che è cosi grande il numero dei nostri baci.



Commento:

Carme di fondamentale importanza, il 5, per saggiare, intorno alla tematica dell’amore, la novità delle posizioni dei poetae novi rispetto a quelle del mos maiorum. L’amore è vissuto da Catullo come l’esperienza capitale della propria vita, capace di riempirla e di darle un senso. All’eros non è più riservato lo spazio marginale che gli accordava la morale tradizionale (come ad una debolezza giovanile, tollerabile purché non infrangesse certe limitazioni e convenienze soprattutto di ordine sociale), ma esso diventa centro dell’esistenza e valore primario, il solo in grado di risarcire la fugacità della vita umana (G.B.CONTE, Letteratura latina, Firenze, Le Monnier, 1987, p.118).


Versi 1-3 A tutti i tradizionalisti (rappresentati nel carme dai senes severiores del v. 2) Catullo oppone la sua nuova filosofia della vita, condensata nell’equazione vivere uguale amare, e dichiarata con energico piglio al v.1. Il poeta esorta la sua donna a vivere intensamente (vivo ha qui un significato più pieno e forte del solito) e ad amare. La vita, dunque, per Catullo coincide nella sua più vera essenza con la passione amorosa. Notevole è la disposizione dei due verbi all’inizio e alla fine del medesimo verso.
Con la terza esortazione (aestimemus: v.3) Catullo invita a non tener conto (nota l’efficace accostamento omnes unius ad inizio di verso!) i rimbrotti dei vecchi troppo severi (non sfugga la chiusa allitterante senum severiorum, occupante per intero la tripodia trocaica dell’endecasillabo) di coloro, cioè, che, vuoi per ragioni anagrafiche, vuoi per un radicato conservatorismo morale, non riescono proprio a giustificare l’equazione vivere davvero uguale amare, definita dal poeta al v.1. Dunque la vera vita non è quella indicata dal mos maiorum e spesa al servizio della comunità, nei ranghi della politica o in quelli dell’esercito, bensì quella al cui centro sta la realazione con la donna amata, vissuta con un’intensità tanto vera da non aver bisogno dei vincoli giuridici del matrimonio.

Versi 4-6 In questi tre versi il poeta giustifica il suo nuovo sentimento della vita. Questa va vissuta intensamente nel vortice della gioia amorosa, perché destinata a spegnersi presto nel buio di una notte senza fine, non valendo per l’uomo quel ritmo, mai smentito, che vale, invece, per la natura (“i soli possono tramontare e risorgere”: v.4). Lux e nox (equivalenti rispettivamente a vita e morte secondo una metafora comune nel linguaggio poetico) sono collocati alla fine (e il monosillabo finale è davvero una raffinata rarità metrico-stilistica) e all’inizio di due versi successivi, quasi a marcare ulteriormente la loro opposizione semantica.

Versi 7-9 La giustificazione dei vv.4-6 ha fatto dimenticare, con le sue immagini di morte, l’invito ad amare con cui si era aperto il carme. Catullo sente perciò ancora più intensa la necessità dello slancio passionale ed invita Lesbia a sommergerlo di baci (dal congiuntivo esortativo dei primi tre versi si passa all’ordine, deciso e risoluto dell’imperativo da: v.7), senza sosta (cfr. usque del v.9 che vale, appunto, “di continuo”). Notevole è senz’altro l’anafora di deinde (anche nella forma ridotta preconsonatica dein), ripetuto, nel giro di tre versi, per ben cinque volte: con tale procedimento stilistico il poeta intende sottolineare, tenendone per altro puntuale conto, l’incessante e (almeno fino al v.9) inarrestabile flusso di basia (il termine basium, forse di derivazione celtica, è introdotto nella lingua letteraria da Catullo) proveniente da Lesbia.

Versi 10-13 Non importa, sembra dire nei versi precedenti Catullo, la forma assunta dall’amore, ma la sua sostanza, la sua profondità: la calda passione (una vera cascata di baci è quella richiesta nei vv 7-9), vissuta con sincera intensità, è la sola a dare vero significato alla nostra esperienza terrena, destinata a spegnersi nel buio di una notte senza più giorno (vv.4-6). I baci travolgono Lesbia e Catullo, ma sarà prudente, quando saranno migliaia, non tenerne più il conto (come invece accadeva nei versi precedenti: cfr. l’uso dei numerali nei vv.7-9) per non saperne il numero (e, probabilmente, spaventati da esso smettere) oppure perché qualcuno, venuto a conoscenza della grande quantità di baci, non getti malevolo sugli amanti il malocchio.


FONTE: http://victorian.fortunecity.com/university/513/catullo.html)

FONTE: http://www.rossovenexiano.com/blog/gaio-valerio-catullo-carmen-v-gaio-valerio-catullo-carme-5

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