Eumene governatore della Cappadocia Traduzione

Eumene governatore della Cappadocia Traduzione

Eumene governatore della Cappadocia


TESTO ORIGINALE

Alexandro Babylone mortuo cum regna singulis familiaribus dispertirentur et summa rerum tradita esset tuenda eidem, cui Alexander moriens anulum suum dederat, Perdiccae – ex quo omnes coniecerant eum regnum ei commisisse, quoad liberi eius in suam tutelam pervenissent: aberat enim Crateros et Antipater, qui antecedere hunc videbantur; mortuus erat Hephaestio, quem unum Alexander, quod facile intellegi posset, plurimi fecerat -, hoc tempore data est Eumeni Cappadocia sive potius dicta: nam tum in hostium erat potestate. Hunc sibi Perdiccas adiunxerat magno studio, quod in homine iidem et industriam magnam videbat, non dubitans, si eum pellexisset, magno usui fore sibi in iis rebus, quas apparabat. Cogitabat enim, quod fere omnes in magnis imperiis concupiscunt, omnium partis corripere atque complecti. Neque vero hoc ille solus fecit, sed ceteri quoque omnes, qui Alexandri fuerant amici. Primus Leonnatus Macedoniam praeoccupare destinavit. Hic multis magnisque pollicitationibus persuadere Eumeni studuit, ut Perdiccam desereret ac secum faceret societatem. Cum perducere eum non posset, interficere conatus est; et fecisset, nisi ille clam noctu ex praesidiis eius effugisset.


TRADUZIONE

Dopo la morte di Alessandro a Babilonia, le province del re furono spartite tra i suoi intimi e il supremo potere fu affidato a Perdicca, cui Alessandro morendo aveva dato il suo anello; dal che tutti avevano dedotto che avesse affidato a lui il regno, finché i suoi figli fossero usciti di tutela; Crátero e Antípatro infatti, che sembravano venir prima di quello, erano assenti; Efestione, che Alessandro (come si poteva facilmente capire) aveva stimato più di tutti, era morto; in quella circostanza fu consegnata ad Eumene la Cappadocia, o meglio assegnata: infatti era allora in potere dei nemici. Perdicca aveva messo tutto il suo impegno per trarlo dalla sua parte, perché vedeva la grande lealtà ed energia di quell’uomo e non dubitava che se avesse conquistato la sua amicizia, gli sarebbe stato di grande aiuto nei progetti che stava elaborando. Pensava infatti, quello, che all’incirca tutti desiderano nei grandi imperi, impadronirsi e riunire sotto di sé le parti di tutti. Ed invero non tentò di far così solo lui, bensì anche tutti gli altri che erano stati amici di Alessandro. Per primo Leonnato progettò di occupare la Macedonia. Egli con molte e grandi promesse cercò di persuadere Eumene a lasciare Perdicca ed a fare alleanza con lui. Non potendolo portare dalla sua parte, tentò di ucciderlo e l’avrebbe fatto se quello di nascosto, nottetempo, non fosse fuggito dai suoi presidi.


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ETTORE E ANDROMACA

ETTORE E ANDROMACA

Traduzione di Rosa Calzecchi Onesti.


Dunque gli venne incontro, e con lei andava l’ancella, portando in braccio il bimbo, cuore ingenuo, piccino, il figlio d’Ettore amato, simile a vaga stella. Ettore lo chiamava Scamandrio, ma gli altri Astianatte, perché Ettore salvava Ilio lui solo. Egli, guardando il bambino, sorrise in silenzio: ma Andromaca gli si fece vicino piangendo, e gli prese la mano, disse parole, parlò così: “Misero, il tuo coraggio t’ucciderà, tu non hai compassione del figlio così piccino, di me sciagurata, che vedova presto sarò, presto t’uccideranno gli Achei,

balzandoti contro tutti: oh, meglio per me scendere sotto terra, priva di te; perché nessun’altra dolcezza, se tu soccombi al destino, avrò mai, solo pene! Il padre non l’ho, non ho la nobile madre. Il padre mio Achille glorioso l’ha ucciso, e la città ben fatta dei Cilici ha atterrato Tebe alte porte; egli uccise Eezione, ma non lo spogliò, ché n’ebbe tema in cuore; e lo fece bruciare con le sue armi belle, e gli versò la terra del tumulo sopra; piantarono olmi intorno le ninfe montane, figlie di Zeus egioco. Erano sette i miei fratelli dentro il palazzo: ed essi tutti in un giorno scesero all’Ade di freccia, tutti li uccise Achille glorioso rapido piede, accanto ai buoi gambe storte, alle pecore candide. La madre – che regnava – sotto il Placo selvoso – poi che qui la condusse con tutte le ricchezze, la liberò, accettando infinito riscatto, ma là in casa del padre, la colpì Artemide arciera. Ettore, tu sei per me padre e nobile madre e fratello, tu sei il mio sposo fiorente; ah, dunque, abbi pietà, rimani qui sulla torre, non fare orfano il figlio, vedova la sposa; ferma l’esercito presso il caprifico, là dove è molto facile assalir la città, più accessibile il muro; per tre volte venendo in questo luogo l’hanno tentato i migliori compagni dei due Aiaci, di Idomeneo famoso, compagni degli Atridi, del forte figlio di Tideo: o l’abbia detto loro chi ben conosce i responsi, oppure ve li spinga l’animo stesso e li guidi!” E allora Ettore grande, elmo abbagliante, le disse: “Donna, anch’io, sì, penso a tutto questo; ma ho troppo rossore dei Teucri, delle Troiane lungo peplo, se resto come un vile lontano dalla guerra.

Né lo vuole il mio cuore, perché ho appreso a esser forte sempre, a combattere in mezzo ai primi Troiani, al padre procurando grande gloria e a me stesso. Io lo so bene questo dentro l’anima e il cuore: giorno verrà che Ilio sacra perisca, e Priamo, e la gente di Priamo buona lancia: ma non tanto dolore io ne avrò per i Teucri, non per la stessa Ecuba, non per il sire Priamo, e non per i fratelli, che molti e gagliardi cadranno nella polvere per mano dei nemici, quanto per te, che qualche acheo chitone di bronzo, trascinerà via piangente, libero giorno togliendoti: allora, vivendo in Argo, dovrai per altra tessere tela, e portar acqua di Messeide o Iperea, costretta a tutto: grave destino sarà su di te. E dirà qualcuno che ti vedrà lacrimosa: -Ecco la sposa d’Ettore, ch’era il più forte a combattere fra i Troiani domatori di cavalli, quando lottavan per Ilio!- Così dirà allora qualcuno, sarà strazio nuovo per te, priva dell’uomo che schiavo giorno avrebbe potuto tenerti lontano. Morto, però m’imprigioni la terra su me riversata, prima ch’io le tue grida, il tuo rapimento conosca!” E dicendo così, tese al figlio le braccia Ettore illustre: ma indietro il bambino, sul petto della balia della cintura si piegò con un grido, atterrito dall’aspetto del padre, spaventato dal bronzo e dal cimiero chiomato, che vedeva ondeggiare terribile in cima all’elmo. Sorrise il caro padre, e la nobile madre, e subito Ettore illustre si tolse l’elmo di testa, e lo posò scintillante per terra; e poi baciò il caro figlio, lo sollevò fra le bracia, e disse, supplicando a Zeus e agli altri numi: “Zeus, e voi numi tutti, fate che cresca questo mio figlio, così come io sono, distinto fra i Teucri,

così gagliardo di forze, e regni su ilio sovrano; e un giorno dica qualcuno: -E’ molto più forte del padre!-, quando verrà dalla lotta. Porti egli le soglie cruente del nemico abbattuto, goda in cuore la madre!” Dopo che disse così, mise in braccio alla sposa il figlio suo; ed ella lo strinse al seno odoroso, sorridendo fra il pianto; s’intenerì lo sposo a guardarla, l’accarezzò con la mano, le disse parole, parlò così: “Misera, non t’affliggere troppo nel cuore! nessuno contro il destino potrà mai gettarmi nell’Ade; ma la Moira, ti dico, non c’è uomo che possa evitarla, sia valoroso o vile, dal momento ch’è nato. Su, torna a casa, e pensa all’opere tue, telaio, e fuso; e alle ancelle comanda di badare al lavoro; alla guerra penseran gli uomini tutti e io sopra tutti; quanti nacquero ad Ilio” Parlando così, Ettore illustre riprese l’elmo chiomato; si mosse la sposa sua verso casa, ma voltandosi indietro, versando molte lacrime; e quando giunse alla comoda casa d’Ettore massacratore, trovò dentro le molte ancelle, e ad esse tutte provocò il pianto: piangevano Ettore ancor vivo nella sua casa, non speravano più che indietro dalla battaglia sarebbe tornato

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