GUIDO CAVALCANTI DONNA ME PREGA PARAFRASI

GUIDO CAVALCANTI DONNA ME PREGA PARAFRASI


Versi 1 – 4

Donna me prega, – per ch’eo voglio dire

d’un accidente – che sovente – è fero

ed è sì altero – ch’è chiamato amore:

sì chi lo nega – possa ‘l ver sentire!

Una donna me lo chiede, e per questo io voglio scrivere a proposito di un accidente, il quale, spesso, è crudele e acerbo al punto da chiamarsi amore (la costruzione consecutiva si spiega col fatto che la parola “amore” veniva considerata derivante dalla parola “morte”): e chi nega che sia così, possa sperimentare la verità!

Versi 5 – 7

Ed a presente – conoscente – chero,

perch’io no spero – ch’om di basso core

a tal ragione porti canoscenza:

E nella presente circostanza (ossia “per questa trattazione, per questo testo in particolare”) io esigo un lettore esperto, poiché non mi aspetto che l’uomo dall’animo vile, possa sollevare la sua capacità di comprensione fino a comprendere una simile argomentazione:

Versi 8 – 11

ché senza – natural dimostramento

non ho talento – di voler provare

là dove posa, e chi lo fa creare,

e qual sia sua vertute e sua potenza,

infatti, senza una dimostrazione condotta con gli strumenti della filosofia naturale, non riuscirei a dimostrare dove l’amore risieda e cosa lo faccia nascere, e quale sia il suo potere e quale la sua forza,

Versi 12 – 14

l’essenza – poi e ciascun suo movimento,

e ‘l piacimento – che ‘l fa dire amare,

e s’omo per veder lo pò mostrare.

e poi (quale sia) la sua essenza, e ogni moto dell’animo che (l’amore) suscita, e il piacere (ossia “quell’attrazione”) che fa sì che lo si definisca “amare”, e se sia rappresentabile in maniera da poter essere percepito con la vista.

Versi 15 – 18

In quella parte – dove sta memora

prende suo stato, – sì formato, – come

diaffan da lume, – d’una scuritate

la qual da Marte – vène, e fa demora;

L’amore si forma (prende suo stato) e si stabilisce (e fa demora) in quella parte (dell’anima) nella quale si trova la memoria, causato (ossia “trasformato in atto”) nello stesso modo in cui un corpo trasparente (diaffan) prende forma grazie alla luce da un’oscurità proveniente da Marte.

Versi 19 – 20

elli è creato – ed ha, sensato, – nome,

d’alma costume – e di cor volontate.

esso (l’amore) è creato (ossia “non esiste di per sé, ma viene creato, scaturisce da altro”; detto in altre parole l’amore non costituisce una sostanza, bensì un accidente), prende il suo nome dopo essere stato percepito per mezzo dei sensi; (esso costituisce) una disposizione naturale dell’anima e un desiderio del cuore.

Versi 21 – 23

Vèn da veduta forma che s’intende,

che prende – nel possibile intelletto,

come in subietto, – loco e dimoranza.

Esso (l’amore) scaturisce dalla visione di una figura quando questa raggiunge l’intelletto (che s’intende), e si fissa stabilmente (prende loco e dimoranza) nell’intelletto possibile facendone il soggetto dell’amore (L’intelletto possibile è una formulazione di Aristotele, che con questa espressione designa quella parte della mente che svolge i processi di astrazione, ossia che, dalle singole forme, ricava le idee generali, diventa collettiva).

Versi 24 – 25

In quella parte mai non ha possanza

perché da qualitate non descende:

Su quella parte dell’anima (ossia “l’intelletto possibile”) l’amore non ha alcun potere, poiché essa (l’intelletto possibile), non risente dell’effetto delle qualità:

Versi 26 – 28

resplende – in sé perpetüal effetto;

non ha diletto – ma consideranza;

sì che non pote largir simiglianza.

esso (l’intelletto possibile) è un puro e continuo processo di comprensione, non è in grado di provare il piacere, esso si limita a “pensare”, cosicché non offre elementi sensibili di raffronto (ossia “l’amore nulla può sull’intelletto possibile, perché l’amore è una passione e si lega all’anima sensitiva mentre la contemplazione astratta dell’intelletto possibile è esperienza distinta e separata dall’amore”).

Versi 29 – 31

Non è vertute, – ma da quella vène

ch’è perfezione – (ché si pone – tale),

non razionale, – ma che sente, dico;

esso (l’amore) non è una facoltà (virtù nel senso di “facoltà”, “capacità” dell’essere umano), ma deriva da quella facoltà che è perfezione (perché tale è considerata), e non intendo la perfezione razionale, bensì quella sensitiva;

Versi 32 – 34

for di salute – giudicar mantene,

ché la ‘ntenzione – per ragione – vale:

discerne male – in cui è vizio amico.

esso (l’amore) spinge il giudizio al di fuori del modo sano di ragionare (ossia “in quanto passione l’amore impedisce un sano esercizio del giudizio”), poiché il desiderio si sostituisce alla ragione: fa cattivo uso del discernimento colui al quale la passione si lega intimamente (colui “al quale il vizio è amico”).

Versi 35 – 37

Di sua potenza segue spesso morte,

se forte – la vertù fosse impedita,

la quale aita – la contraria via:

Dalla potenza dell’amore consegue spesso la morte, se, per caso (forte: lat. forte, fortasse) la virtù che sostiene l’uomo contro la morte (la virtù vitale), viene troppo ostacolata nel suo operare:

Versi 38 – 41

non perché oppost’ a naturale sia;

ma quanto che da buon perfetto tort’è

per sorte, – non pò dire om ch’aggia vita,

ché stabilita – non ha segnoria.

e ciò, non perché l’amore sia contro natura, ma a seconda di quanto si venga per ventura distolti dal sommo bene (buon perfetto: inteso come “la felicità”, “il senso della vita”), non si può affermare che si viva davvero, perché non si ha padronanza certa (stabilita segnoria) su di sé.

Verso 42

A simil pò valer quand’om l’oblia.

Alla stessa conclusione può condurre il fatto che ci si dimentichi del sommo bene (ossia “che si smarrisca il senso della vita”, “che si perda di vista lo scopo della vita”).

Versi 43 – 45

L’essere è quando – lo voler è tanto

ch’oltra misura – di natura – torna,

poi non s’adorna – di riposo mai.

L’amore si verifica (l’esser: si ha l’amore) quando il desiderio diventa tanto intenso da oltrepassare i limiti naturali e non si accompagna mai ad un momento di pausa.

Versi 46 – 49

Move, cangiando – color, riso in pianto,

e la figura – con paura – storna;

poco soggiorna; – ancor di lui vedrai

che ‘n gente di valor lo più si trova.

Esso trasforma il riso in pianto, fa mutare il colorito, stravolge l’aspetto esteriore per effetto della paura; è incostante, inoltre si potrebbe osservare che esso si incontra più frequentemente tra le persone di animo nobile.

Versi 50 – 53

La nova – qualità move sospiri,

e vol ch’om miri – ‘n non formato loco,

destandos’ ira la qual manda foco

(imaginar nol pote om che nol prova),

La nuova condizione (la condizione dell’innamoramento) provoca sospiri e impone che si guardi un oggetto (la donna) indefinito (ossia “che non ha ancora ricevuto forma dall’intelletto possibile”), il che causa l’insorgere di una collera che fa ardere (non lo può immaginare chi non lo prova direttamente),

Versi 54 – 56

né mova – già però ch’a lui si tiri,

e non si giri – per trovarvi gioco:

né cert’ha mente gran saver né poco.

(ed impone) che non ci si muova, sebbene si sia attratti verso di esso (verso l’oggetto del desiderio), e al contempo che neppure ci si distolga da esso, al fine di trovare sollievo, mentre la mente non comprende nulla di quanto accada.

Versi 57 – 59

De simil tragge – complessione sguardo

che fa parere – lo piacere – certo:

non pò coverto – star, quand’è sì giunto.

Da un simile condizione (da simil complessione) l’amore fa nascere (tragge: tira fuori, fa scaturire sugli occhi dell’innamorato) uno sguardo tale che l’attrazione è evidente: esso non può più rimaner nascosto una volta che è giunto a questo punto.

Versi 60 – 62

Non già selvagge – le bieltà son dardo,

ché tal volere – per temere – è sperto:

consiegue merto – spirito ch’è punto.

Le bellezze sono come frecce capaci di provocare le ferite d’amore, ma solo a patto che esse non siano rozze, poiché il desiderio è messo alla prova dal timore: e quell’animo che viene trafitto (dalla freccia d’amore) acquista pregio (si ingentilisce e perfeziona).

Versi 63 – 66

E non si pò conoscer per lo viso:

compriso – bianco in tale obietto cade;

e, chi ben aude, – forma non si vede:

dunqu’elli meno, che da lei procede.

E (l’amore) non è visibile agli occhi: sin dal suo concepimento, il colore bianco viene meno in tale oggetto (nell’amore), e chi ha bene ascoltato avrà senz’altro compreso che, se non si può vedere la forma, tanto meno si potrà vedere l’amore, che dalla forma discende.

Versi 67 – 70

For di colore, d’essere diviso,

assiso – ‘n mezzo scuro, luce rade.

For d’ogne fraude – dico, degno in fede,

che solo di costui nasce mercede.

Privo di colore, altro da una sostanza (in quanto “accidente”), posto in un mezzo oscuro, (l’amore) respinge la luce. In tutta sincerità (for d’ogne fraude), io affermo, meritevole di fiducia, che solo da un amore siffatto nasce ricompensa.

Versi 71 – 75

Tu puoi sicuramente gir, canzone,

là ‘ve ti piace, ch’io t’ho sì adornata

ch’assai laudata – sarà tua ragione

da le persone – c’hanno intendimento:

di star con l’altre tu non hai talento.

Tu canzone, puoi andartene in tutta sicurezza, ovunque ti piaccia, poiché io ti ho elaborata in modo tale che la tua argomentazione sarà ampiamente elogiata dalle persone competenti: e quanto alle altre, tu stessa non hai desiderio di stare tra loro.

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PARAFRASI ALBATROS

PARAFRASI ALBATROS

di Charles Baudelaire


Parafrasi:
Spesso, per divertirsi, i marinai catturano un albatro, uno di quegli imponenti uccelli di mare che seguono, con lentezza compagni di viaggio, le navi in volo sugli aspri abissi. Il re del cielo! Non fanno in tempo a posarlo sul ponte che subito, goffo, impacciato, comincia a portarsi dietro le ali grandi e bianche come se fossero remi. Povero viaggiatore alato, com’è fiacco e sgraziato – e ridicolo e brutto, lui poco fa così bello! Uno gli mette la pipa nel becco, un altro, zoppicando, fa il verso allo sgraziato che volava. Il Poeta è come lui, principe delle nuvole che sta nella parte più alta del cielo e ride di quelli che tentano di colpirlo. In terra, fra grida di scherno, solo, con le sue ali da gigante non riesce a camminare.

Analisi e Commento:
Il senso di disagio provocato dalla violenta trasformazione socio-economica dell”800 si è manifestato in due diverse poetiche nell’opera di Baudelaire. La prima, quella del simbolismo, è generata da un forte desiderio di ritrovare quel forte legame tra le società pre-industriali e la natura. Sono poste in risalto le analogie tra uomo e natura e accostati i diversi messaggi sensoriali provenienti dal mondo naturale, espressi attraverso la figura retorica della sinestesia. La seconda, l’allegorismo, deriva dal tentativo di sottolineare il profondo distacco della vita rispetto alla nuova realtà industriale, proponendo al lettore spunti di riflessione che richiedono un’attività razionale per essere compresi.

Egli paragona sé stesso (e il poeta in generale) all‘albatro, quell‘uccello che è magnifico ed elegante in volo, ma sgraziato e goffo quando tenta di muoversi a terra. Sí, perché ogni poeta si sente forte e potente mentre compone, peró dalle persone “normali“ viene lasciato in disparte e deriso (“…è il Poeta che, avvezzo alla tempesta, si ride dell‘arciere: ma esiliato sulla terra, fra scherni, camminare non puó per le sue ali di gigante“).

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