CARLO CASSOLA

CARLO CASSOLA

CARLO CASSOLA


VITA

Nasce a Roma il 17 marzo 1917. Il nonno era magistrato; il padre, lombardo trapiantato in Toscana, è redattore all’Avanti.
Frequenta il ginnasio e poi il liceo, ma ha un rapporto controverso con la scuola. Giudicherà la sua esperienza scolastica fallimentare, dichiarandosi, in età adulta, a favore dell’autodidattismo.
Sempre più insofferente verso la cultura e la società fasciste dell’epoca, comincia a scrivere, dapprima su fogli scolastici, poi su riviste letterarie.
Nel 1939 si laurea in Legge, ma per gli studi giuridici non ha alcuna vocazione.
Si rivela per lui formativa la lettura di Proust e di Joyce.
Nel 1940 si sposa. Nel 1942 vince un concorso per la cattedra di Storia, Filosofia e Pedagogia nei licei classici e scientifici e negli istituti magistrali. Comincia a insegnare, smetterà nel 1962 per dedicarsi interamente alla scrittura; partecipa alla Resistenza e dopo la Liberazione si iscrive al Partito d’Azione.
Nel 1948 si trasferisce a Grosseto. Nel 1949 rimane vedovo. La morte della moglie lo segna profondamente: si risposerà soltanto anni dopo .
Nel 1968 gli viene assegnata una rubrica sul Corriere della Sera. Nel 1971 è vittima di una crisi cardiaca da cui si riprende, continuando la sua alacre attività di scrittura.
Matura intanto in Cassola una vena impegnata: lo scrittore si batte contro il militarismo, paventa la terza guerra mondiale e l’autodistruzione dell’intera umanità per mezzo del nucleare. Sviluppa il tema ecologista.
Muore, dopo lunga malattia, il 30 gennaio 1987.

Opere

La visita (1942); Alla periferia (1942); Fausto e Anna (1952); I vecchi compagni (1953); Il taglio del bosco (1954-1955); La casa di via Valadier (1956); Viaggio in Cina (saggistica, 1956); I minatori della Maremma (saggistica, 1956); Un matrimonio del dopoguerra (1957); Il soldato (1958); La ragazza di Bube (1960); Un cuore arido (1961); Il cacciatore (1964); Storia di Ada (1967); Tempi memorabili (1967); Ferrovia locale (1968); Una relazione (1969); Paura e tristezza (1970); Monte Mario (1973); Gisella (1974); L’antagonista (1976); L’uomo e il cane (1977); Il paradiso degli animali (1979); Il romanzo moderno (saggistica, 1981);

La ragazza di Bube
L’opera utilizza le strutture narrative tipiche del romanzo ottocentesco di impianto naturalistico.
La vicenda si svolge fra il 1944 e il 1948, con l’epilogo che si protrae fino a raggiungere la metà degli anni ’50. È un momento storico incandescente della nostra vita nazionale; il tema è quello della Resistenza e della violenza ad essa collegata.
Mara è una ragazza del popolo vivace, volubile e sicura di sé. I giorni che trascorre nella quiete della provincia toscana sono uguali, ripetitivi, noiosi.
Bube è un partigiano comunista ed è amico di Sante, il fratellastro di Mara morto durante la guerra di liberazione. Un giorno Bube arriva in camion per salutare la famiglia dell’amico caduto. Mara, poiché il padre è assente, è costretta a intrattenerlo. Bube è timido, impacciato; dalla gente è soprannominato “Il Vendicatore”, un ruolo cui resta inchiodato e che causerà la sua rovina.
Mara e Bube si mettono insieme, con la benedizione del padre di lei e l’opposizione della madre. Per Mara, che è molto gelosa della propria libertà, il fidanzamento è una sorta di evasione dall’oppressivo e frustrante clima familiare.
Un giorno Bube, con la pistola che porta sempre con sé, uccide il figlio del maresciallo di un paese vicino. Lo uccide accecato dall’istinto di vendetta. I compagni di partito gli consigliano di fuggire. Mara lo segue, fanno l’amore, si confidano, concepiscono progetti di matrimonio. Ma il nascondiglio di Bube non è sicuro: deve riparare all’estero, i due amanti devono separarsi.
Insofferente della vita di Monteguidi, Mara, maturata intanto dall’amore e dalla nostalgia dell’amante, va a servizio a Poggibonsi. Qui rimane affascinata dalla vivace vita cittadina: Esce con l’amica Ines e conosce Stefano, un giovane serio e onesto, che le confessa il suo amore. Mara lo respinge; si sente legata a Bube, anche se ormai lo ha quasi dimenticato.
Stefano insiste e Mara si abbandona all’idillio, consapevole della sua provvisorietà.
Bube, costretto a fuggire dalla Francia, dove si era rifugiato, viene arrestato al confine e tradotto nel carcere di Firenze. Mara lo va a trovare e si rinforza in lei il convincimento di restargli fedele: il suo posto è “[…] accanto a Bube. Per sempre”.
La giustizia borghese fa il suo corso: nel processo, Bube viene condannato a quattordici anni. Forse egli non è il solo responsabile delle proprie azioni delittuose. La sua mano è stata armata da altri che ora circolano liberi. Senza padre, senza una figura maschile di riferimento che gli facesse da guida, il giovane si è fatto mettere su da chi non voleva esporsi e così si è rovinato.
La notizia del matrimonio di Stefano accresce lo sconforto di Mara, che si sente beffata dalla vita.
Sette anni dopo, Mara attende la scarcerazione di Bube; non è più la ragazza superficiale di un tempo, è diventata dolce e comprensiva. Per lei rimane, in conclusione di romanzo, un barlume di speranza:
“[Mara] pensava che aveva fatto la metà del cammino e che alla fine della strada ci sarebbe stata la luce”.

Gli intellettuali di sinistra e i critici marxisti considerarono il romanzo reazionario e diffamatorio nei confronti della Resistenza. L’opera, infatti, non è “impegnata”, non si immerge totalmente nella Storia collettiva, che rimane sullo sfondo, ma dà rilievo a storie e destini individuali.
Cassola non si piega a quella visione idealizzata della Resistenza cui indulge la produzione narrativa neorealista.
L’autore rappresenta nel suo romanzo il mondo popolare e paesano. I due personaggi principali, Mara e Bube, appartengono al ceto proletario, al mondo degli umili. Le loro passioni e i loro sentimenti sono semplici ed elementari. Ma, mentre in Mara trionfa la pietà, in Bube prevale la violenza.
Mara, per giudizio quasi unanime della critica una delle figure femminili più riuscite della letteratura italiana, almeno di quella recente, è la vera protagonista del romanzo.
La sua educazione sentimentale la porta, attraverso le esperienze dell’amore prima e del dolore poi, a una maturazione esistenziale e morale. In uno scatto di autocoscienza, Mara rinuncia alle gioie dell’amore e della gioventù in nome della fedeltà verso Bube.
Qualche critico ha visto nella scelta di Mara un’imposizione moralistica operata dall’autore, una rinuncia, effettuata in nome del senso del dovere, che contraddice l’indole spontanea, ribelle e sfrontata della ragazza, così come viene descritta nella prima parte del romanzo.
Ma forse Cassola, superando il suo consueto pessimismo, ci vuole indicare, con l’evoluzione del suo personaggio, la possibilità sempre presente nell’uomo di un riscatto e di un cambiamento
Il linguaggio del romanzo rispecchia il realismo di Cassola. Il vocabolario è povero, essenziale. Lo stile cerca di tradurre in lingua il dialetto toscano delle classi popolari; un’operazione linguistica che apparenta Cassola al Verga de I Malavoglia o a Pratolini di Metello.
Cassola conferma in questo romanzo la sua inconfondibile cifra stilistica: periodare breve, prevalenza della paratassi, lessico e fraseologia molto comuni. Parsimonioso l’uso di aggettivi e avverbi; dominano la chiarezza, la semplicità e l’uniformità della pagina.
Due sono i piani riconoscibili su cui si snoda la narrazione: quello “oggettivo”, in cui i personaggi parlano usando il discorso diretto e quello “soggettivo”, ossia la voce dell’autore. I dialoghi sono scarni, spesso ispirati alla banale quotidianità.

Conclusioni

Anche se è possibile riconoscere nella produzione narrativa di Cassola un periodo in cui l’elemento storico, collettivo entra negli intrecci (si fa riferimento, almeno nelle opere, la cui stesura avviene fra il 1946 e il 1960, alla Resistenza e al clima sociale e politico dell’Italia di quegli anni), i suoi romanzi e i suoi racconti si concentrano principalmente sui destini individuali, sullo scorrere quotidiano della vita, colto nel suo riflettersi nell’interiorità dei personaggi.

La formazione di Cassola è essenzialmente letteraria ed estranea agli importanti movimenti culturali che caratterizzarono il Novecento: il marxismo, la psicoanalisi, il crocianesimo. Egli predilige la lettura e lo studio degli autori russi, Tolstoj e Dostoevskij, e francesi, Proust, Flaubert e Stendhal. Tra gli italiani predilige Verga e Tozzi.. Il filosofo i cui libri frequenta maggiormente è Henri Bergson.

La narrativa di Cassola si concentra sulla grande capacità dello scrittore di cogliere e rappresentare il fluire della vita, facendo ricorso all’elegia e alla poetica del “subliminare” (definizione dell’amico Manlio Cancogni) e della memoria. Il racconto deve, nelle intenzioni di Cassola, rendere il battito della vita.

La sua può essere definita una “metafisica del quotidiano”. I suoi racconti e romanzi, che non è azzardato definire intimisti, danno valore al minimale, ai piccoli gesti quotidiani, ai dialoghi banali e ricorrenti, alle modeste parole che si pronunciano mentre si compiono amari destini.
Grande potere ha infatti il destino, nel dipanarsi delle vicende umane, ma più ancora il caso.
Cassola, che definisce “esistenziale” la propria narrativa, descrive soltanto di ciò che conosce bene: antieroi piccolo borghesi, gente comune e spesso mediocre, storie di provincia in apparenza insignificanti, attimi di felicità sempre fugaci, routine noiose e, al limite, rassicuranti, sorde disperazioni, solitudini irrimediabili, dignitosi squallori, insomma il normale dolore che accompagna l’umana esistenza.
Non esistono i grandi fatti contrapposti a quelli minimi, anzi sovente sono proprio questi ultimi che assumono una rilevanza maggiore.
I luoghi geografici che Cassola ritrae, e in cui vengono ambientate le storie raccontate, sono quelli in cui realmente lo scrittore è vissuto: Volterra, Cecina, Roma.

Grande attenzione ha riservato Cassola all’universo femminile: protagoniste della sua narrativa sono di preferenza giovani donne, le cui aspirazioni e speranze entrano in collisione con le asperità e le disillusioni dell’esistenza.

Si ha come l’impressione che le donne siano, per costituzione naturale, per la dimensione affettiva e sentimentale che le contraddistingue, più capaci degli uomini di cogliere, nella sua immediatezza, l’essenza dell’esistenza, al di là di obiettivi esteriori, clamori, condizionamenti storici e politici.

Il linguaggio rappresenta un elemento di continuità nella narrativa di Cassola. Si mantiene costante nel tempo. Si è parlato, a proposito dello stile di Cassola, di “grado zero della scrittura”. La lingua impiegata è scarna, povera di aggettivi, familiare, colloquiale; il periodo è costruito con frasi brevi e coordinate. Molti vocaboli sono presi dal dialetto toscano.