CANTO XXVI DELL’INFERNO ULISSE

CANTO XXVI DELL’INFERNO ULISSE


L’ottava bolgia risplende di fiamme; ogni fiamma incorpora un peccatore. In questo girone infernale sono condannati i Consiglieri Fraudolenti, coloro cioè, che usarono l’intelligenza per ordire inganni.

Avvolti da una fiamma bifida stanno Ulisse e Diomede. Ulisse è qui condannato, quale principale ispiratore dell’inganno perpetrato ai danni dei Troiani tramite il cavallo di legno.
Dante chiede a Virgilio di poter parlare alle due ombre avvolte nella fiamma, ma la sua guida lo frena, ricordandogli che si tratta di Greci, quindi di uomini superbi.
È Virgilio stesso che avvia il dialogo, chiedendo loro come trovarono la morte. Ulisse inizia allora il suo racconto.

Congedatosi dalla maga Circe, l’eroe greco, spinto dalla sete di conoscenza e incurante degli affetti famigliari, raccoglie un esiguo drappello di vecchi compagni e salpa con una nave.
Giunti alle colonne d’Ercole (lo stretto di Gibilterra), egli incita i suoi marinai a superarle:

fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.

L’imbarcazione procede dunque il suo viaggio, oltre i confini del mondo conosciuto, sino ad avvicinarsi alla montagna del Purgatorio. I marinai esultano, ma la loro gioia dura poco: dalla montagna un turbine di vento investe la nave, che naufraga miseramente nell’oceano.

Interpretazioni contraddittorie si sono succedute nei secoli su questo canto e in special modo sulla figura dell’Ulisse dantesco. Si tratta di un ribaldo senza rimorsi o di un eroe?
I commenti più recenti propendono per questa seconda ipotesi: Ulisse rappresenterebbe l’aspirazione all’assoluto, sarebbe il campione dell’umanesimo integrale. Un personaggio moderno, affamato di conoscenza e di avventure, sorretto dal libero pensiero, insofferente ai dogmi e alle verità rivelate.

La volontà di conoscere è la qualità essenziale dell’uomo; vivere privi di questa aspirazione costituisce non un’esistenza umana, ma un’esperienza bestiale. Ulisse è abitato da una energia prometeica; riconosce la sconfitta del suo ultimo tentativo di sfidare i limiti imposti dalla divinità, ma non si pente.
In qualche modo egli rappresenta un modello umano che si contrappone all’uomo medioevale, chiuso nelle sue certezze sul cosmo e su Dio.

Dante è turbato dall’incontro con l’eroe greco. Secondo Benedetto Croce egli riconosce se stesso in Ulisse. Le loro imprese, in effetti, si assomigliano: anche Dante si è “imbarcato” in un viaggio incerto e temerario, che ha i connotati della follia.