Canto I Paradiso Riassunto

Canto I Paradiso Riassunto

La terza cantica inizia con una solenne proposizione che esalta l’onnipresente gloria di Dio, la quale risplende nella luce dell’Empireo e in forme diverse in tutto l’universo. Il poeta afferma di essere stato nell’Empireo e di aver visto cose che nessun uomo saprebbe ridire, perché la memoria è incapace di seguire lo slancio della mente nel suo sprofondarsi in Dio. Egli descriverà pertanto i suoi labili ricordi delle realtà vedute. Invoca l’aiuto di Apollo per poter conseguire l’alloro poetico: finora lo hanno soccorso le Muse, ma per descrivere il Paradiso gli è necessario l’ausilio di Apollo e quella forza con cui egli vinse Marsia. Se il Dio gli concederà di rappresentare anche una pallida immagine della visione rimastagli impressa nella memoria, egli, Dante, potrà incoronarsi di quell’alloro così raramente ricercato e meritato da poeta o imperatore e il suo esempio potrà essere di sprone ad altri artisti, che invocheranno Apollo con voce più degna. Nel momento in cui Dante e Beatrice ascendono in cielo, il sole si trova su un punto dell’orizzonte che, intersecandosi con l’equatore celeste, il coluro equinoziale e l’eclittica, forma tre croci. Nel Purgatorio la mattina è inoltrata e sulla terra è sera. Beatrice, rivoltasi a settentrione, fissa gli occhi nel sole più intensamente di un’aquila e Dante la imita, potenziato nelle sue virtù dall’essere nel Paradiso terrestre, la dimora creata da Dio per l’uomo. E tuttavia non a lungo riesce a sostenere lo splendore: il sole sfavilla << qual ferro che bogliente esce dal fuoco >> e gli pare, anzi, che la sua luce sia raddoppiata. Beatrice continua a fissare il suo sguardo nel sole e Dante rivolge gli occhi al volto della donna amata: in questa contemplazione si sente trasumanare, come il pescatore Glauco che mangiando un’erba divenne dio. Il poeta è incapace di esprimere questo suo intimo cambiamento se non con l’esempio mitologico, né sa se la sua ascesa si compisse con l’anima o anche col corpo. L’eterno moto dei cieli, con l’ineffabile armonia delle sfere celesti, attrae la sua attenzione, mentre gli appare un immenso lago di luce. Ed eccolo chiedere a Beatrice la causa del << suono >>, dell’armonia, e del <<grande lume»; e la santa guida gli spiega che non è più sulla terra, ma sta salendo con la velocità della folgore verso il cielo, che è il luogo delle anime. Ma un altro dubbio sorge nella mente del poeta: come può egli, col corpo, salire attraverso l’aria e il fuoco? E Beatrice, con materna pietà, esaudisce il suo desiderio di sapere. Tutte le cose hanno un ordine che è il principio che le rende simili a Dio; tutti gli esseri sono ordinati secondo il piano divino, più o meno vicini al creatore; essi si muovono nell’universo secondo il loro particolare istinto verso fini diversi; questo istinto domina il fuoco, facendolo salire alla sua sfera, gli animali irrazionali, gli uomini e gli angeli, e financo tiene insieme le parti della terra; ed è lo stesso istinto che porta Dante e Beatrice verso l’Empireo. E come l’opera  d’arte spesso non corrisponde all’idea dell’artista, perché la materia è sorda alla forma, così avviene che l’uomo, col suo libero arbitrio, si allontana dal bene, deviando dall’impulso naturale che lo guiderebbe a Dio. Dante non deve meravigliarsi di salire al cielo — conclude Beatrice — come non si meraviglierebbe nel vedere l’acqua di un ruscello scendere dal monte alla valle; dovrebbe semmai stupirsi se, libero dal peccato, fosse rimasto in terra. Detto questo, Beatrice rivolge i suoi occhi al cielo.