CANNE AL VENTO GRAZIA DELEDDA

CANNE AL VENTO GRAZIA DELEDDA


Fin dal titolo del romanzo emergono i temi fondamentali di questo ed altri scritti dell’autrice: l’ineluttabilità del destino cui non ci si può ribellare e che piega le persone come se fossero anch’esse fragili canne al vento (proprio le canne rivelano ad Efix che chi non si piega oggi al fato, lo farà domani, e posdomani si spezzerà) a causa della natura debole dell’uomo nei confronti del male unificando la concezione religiosa greco-romana, dove le Moire, che erano superiori anche agli dei(impossibilitati anch’essi a sottrarsi al proprio destino), decidevano le sorti del mondo intero, filando, tessendo e tagliando il filo del destino di tutti i mortali, con la visione del mondo cattolica, pervasa dall’idea di peccato, tanto più se si considera che il libro è ambientato in un paese piccolo dove tutti criticano e giudicano i comportamenti altrui, un luogo dunque dove bisogna vivere tenendo presenti certe regole, in parte ricavate anch’esse da precetti religiosi.  .

Nel romanzo vi è una costante presenza religiosa, che coinvolge tutti i personaggi, sebbene in modo diverso: per alcuni la partecipazione al rito è solo formale, mentre la partecipazione di Efix al culto è più profonda e sentita intimamente. Il suo cattolicesimo però, al pari di quello degli altri compaesani, è intriso dalle antiche superstizioni pagane, sopravvissute ai secoli. Le donne non filano il giovedì sera, temendo la Giobiana, Efix appende al muro una falce contro i vampiri, la vecchia Pottoi si rifiuta di lasciare la casa vuota, poiché ha paura che vi si  possa insediare un folletto. L’idea su cui si basa il romanzo, e cioè il fatto che non sia possibile sottrarsi al proprio destino riecheggia le credenze classiche, dove le Moire, filando, tessendo e tagliando il filo della vita umana, decidevano le sorti dell’umanità e neanche gli dei erano in grado di modificare il Fato.

Tre sono i personaggi principali di quest’opera: Efix, Noemi e Giacinto; anche se il protagonista in senso assoluto è senz’altro Efix, e proprio a quest’ultimo sono, infatti, dedicate l’apertura e la chiusura del libro. Ha un grande amore per i fiori e spesso ne ha uno tra le mani: da questo atteggiamento si possono desumere il suo rispetto ed il suo amore per la natura, nonché la capacità di Efix di sentirsi un tutt’uno con essa, canone questo che la Deledda aveva certamente ricavato dalle letture di stampo romantico, come il Werther.

Tuttavia, la scrittrice predilige una visione del mondo di tipo decadente, scegliendo come valori l’amore nei confronti della famiglia, della casa e delle piccole cose e non l’esaltazione del titanismo della natura, che viene descritta o nei suoi aspetti più rassicuranti, o come popolata da creature mitiche (ad esempio le janas, una sorta di piccole fate; i nuraghi sono chiamati appunto domu de janas, case delle fate ), che possono essere benevole o scortesi nei confronti delle persone e rappresentano una sorta di divinità minori.

 

Descrivendo questa Sardegna ancora impregnata dalle antiche tradizioni e riportando solo marginalmente degli avvenimenti storici che siano in grado di identificare l’epoca in cui il libro si svolge, la Deledda diviene voce di una terra senza tempo, distaccata dal continente e dalla sua cultura e nei cui abitanti predominano i sentimenti forti dell’amore e del dolore.

Per espiare il crimine, dettato dalla passione verso la giovane padrona, commesso ai danni di don Zame, delitto che ha permesso sì la liberazione di Lia, ma che causa danni notevoli alla famiglia Pintor, Efix diventerà il sostegno economico della famiglia, giungendo ad incarnare un sostituto della figura paterna nei confronti del nipote delle sorelle Pintor.

Giacinto non s’intende di cose di campagna, avendo un retroterra più urbano, fatto esemplificato anche dalla sua scelta di utilizzare la bicicletta e non il cavallo. Appare nel complesso un personaggio poco realista, poco concreto e che non è in grado di trarre dai propri insuccessi quegli insegnamenti che potrebbero renderlo più saggio. Solo con Grixenda riesce ad avere un rapporto la cui umanità e il cui sentimento riescono a prevalere sulle differenze sociali, probabilmente perché egli non fa parte della società del paese e non ne condivide i pregiudizi e le usanze.

La figura meglio delineata tra le sorelle Pintor è quella di Noemi, in cui giocano ruoli contrastanti alcuni sentimenti come l’orgoglio e il desiderio di rapporti umani, l’asprezza e la nobiltà d’animo.

Anche il suo rapporto verso Giacinto è uno strano connubio di amore materno e di desiderio e lo stesso matrimonio con don Predu non è vissuto con entusiasmo ma quasi come una forma di dispetto.

Le problematiche sociali, che erano fondamentali nei romanzi naturalisti e veristi (che la Deledda conosceva; ella aveva infatti tradotto Eugenie Grandet di Balzac in italiano), qui compaiono relegate in secondo piano rispetto ai temi sentimentali: l’usura, che affliggerà anche la famiglia Pintor a causa di Giacinto, la malaria, la scarsa industrializzazione, e il banditismo (che diventerà poi il tema centrale di “Marianna Sirca”) sono rappresentati come ovattati e scissi da una dimensione effettiva per divenire parte di un mondo fiabesco ed irreale.