BONIFACIO VIII RIASSUNTO

BONIFACIO VIII RIASSUNTO

BONIFACIO VIII RIASSUNTO


Bonifacio VIII nacque ad Anagni nel 1235 da una delle più cospicue famiglie della città. Al secolo Benedetto Castani, studiò diritto a Bologna prima di accettare una serie di incarichi nell’amministrazione pontificia. Fu eletto Papa col nome di Bonifacio VIII, il giorno della vigilia di Natale del 1294 dal Conclave radunatosi nel Castelnuovo di Napoli, in base alla costituzione di Gregorio X sull’elezione pontificia, dieci giorni dopo il “gran rifiuto” di Celestino V.

Alla sontuosa e solenne cerimonia di incoronazione, che ebbe luogo il 23 gennaio del 1295 in San Pietro a Roma, erano presenti tutti i nobili romani e re Carlo II con suo figlio Carlo Martello.

Su quest’elezione, in ogni modo, aleggiava l’ombra del sospetto che Celestino V fosse stato costretto ad emettere la bolla della propria abdicazione. Come noto, Celestino V, fu imprigionato nella rocca di Fumone, nei pressi di Ferentino, poiché si ritenne che sarebbe stato meglio che egli non circolasse liberamente. L’ordine di cattura fu eseguito da Guglielmo l’Estandard. Morì il 19 maggio 1296.


Il primo, vero e proprio, atto politico di Bonifacio VIII fu quello di ratificare il trattato (precedentemente vergato da Celestino V) tra Carlo II e Giacomo II d’Aragona, in base al quale la Sicilia si sarebbe riunita al regno angioino.

A dire il vero i siciliani non avevano l’intenzione di rinunciare alla loro autonomia e, in seguito, riconobbero come loro unico signore Federico (già governatore di Sicilia da quando suo fratello Giacomo II era re di Aragona) e lo elessero re nel 1296 nel duomo di Palermo. Da questo momento la Sicilia sarebbe diventata un avamposto per l’espansione spagnola nel Mediterraneo. Questo fu un grande smacco per Bonifacio VIII ma non fu l’unica sconfitta che la sua politica anacronistica e accentratrice avrebbe subito, convinto com’era della “plenitudo potestatis” della sua sovranità, che poteva spaziare anche nell’ambito temporale, proprio per la concezione tipicamente medievale della sua origine divina. Questi suoi principi furono esternati nella bolla Clericis laicos, emessa nel 1296, con la quale egli minacciava di scomunicare i laici che avessero imposto tasse agli ecclesiastici, senza il consenso della Chiesa di Roma, diffidando gli stessi ecclesiastici a versare tali oboli.

In Germania e in Inghilterra i sovrani si uniformarono a tale disposizione; in Francia, invece, il re Filippo il Bello emanò due editti contrari, con l’approvazione dei vescovi francesi.

Davanti a tale irrigidimento, che avrebbe potuto portare a Bonifacio VIII gravi ripercussioni economiche, autonomistiche e politiche, il pontefice fece retromarcia, autorizzando il re a riscuotere le imposte del clero solo in casi di emergenza.

Anche in Italia Bonifacio VIII avrebbe dovuto fare i conti con l’ostilità di alcuni membri dell’aristocrazia romana, in particolare con la famiglia Colonna: i due cardinali Giacomo e Pietro dichiararono nulla la sua elezione e montarono contro il papa un’opposizione sia da parte del popolo che del clero, che si estese anche all’ordine degli Spirituali Francescani, il cui portavoce, Jacopone da Todi, inveì contro Bonifacio VIII chiamandolo “novello anticristo”.


Il 10 maggio 1297 i Colonna e gli Spirituali, con il “manifesto di Lunghezza”, dichiararono nulla l’elezione papale. La reazione di Bonifacio VIII fu aspra e violenta: i due cardinali furono destituiti e in una bolla definiti “dannata stirpe e del loro dannato sangue”. Il papa ordinò la confisca dei loro beni, li scomunicò, espellendoli dallo Stato della Chiesa e li umiliò pubblicamente; le rocche di Zagarolo e di Palestrina furono distrutte; Jacopone imprigionato in un convento e scomunicato; i beni dei Colonna furono divisi fra i Caetani e gli Orsini.

In questo clima di pace ritrovata Bonifacio VIII indisse il Primo Giubileo della storia della cristianità. Con la bolla Antiquorum habet fidem, del 22 febbraio 1300, concedeva l’indulgenza plenaria a chi nell’anno in corso e in ogni futuro centesimo anno, avesse visitato le basiliche di San Pietro e di San Paolo in Roma, con l’intento redimere i peccati e le pene per i peccati. Il Giubileo fu istituito come anno della riconciliazione tra i contendenti e della conversione della penitenza sacramentale.. Il tema dell’indulgenza era stato peraltro già affrontato durante le crociate, nel corso del ‘200, secolo di altissime manifestazioni spirituali ed artistiche: proprio mentre San Bernardo di Chiaravalle parlava di un “anno” di perdono rivolto ai combattenti della seconda crociata, il monachesimo cistercense innalzava le meravigliose chiese abbaziali di Fossanova e Casamari, in stile gotico, slanciato ed austero.
Quest’evento fu di portata storica: duecentomila pellegrini affluiti, secondo le stime dei cronisti dell’epoca. Lo stesso Dante fa riferimento a notevole afflusso di massa sia per la Veronica, sia per il Giubileo.

L’enorme traffico di pellegrini e gli abbondanti proventi finanziari, derivanti dalle offerte e dall’incremento turistico, rafforzarono il prestigio di Bonifacio VIII, che vedeva i principi di tutto il mondo prostrarsi ai suoi piedi come davanti a un essere divino.

Egli stesso rinforzò questa sua immagine di sovrano spirituale e temporale, mostrandosi ai pellegrini con le insegne imperiali, esclamando: “Io sono Cesare, io sono l’Imperatore”.


Anche Filippo il Bello aderiva a questa idea di “cesarismo”: sopra di sé egli non considerava sovrano nessuno, assumendo talora atteggiamenti apertamente anticlericali, con atti di usurpazione verso i beni della Chiesa francese. Nel 1299 aveva firmato un’alleanza con il nuovo re di Germania, Alberto d’Asburgo, accusato da Bonifacio VIII di aver assassinato Adolfo di Nassau e, per questo, invitato a presentarsi a Roma. Il papa, con la bolla Salvator Mundi, del 1301, ritirò a Filippo i privilegi concessi in precedenza mentre successivamente, con la bolla Ausculta fili, convocò per il 10 novembre il re e l’episcopato francese per un concilio che definisse i rapporti tra Stato e Chiesa, precisando che solo Dio era al di sopra di ogni monarca.

Nell’aprile 1302 Filippo convocava a Parigi gli Stati Generali, in cui si ribadiva che il re non era soggetto a nessun’altra autorità e in cui si diffidava l’episcopato francese dal partecipare al Concilio; nonostante ciò 39 vescovi francesi vi presenziarono e a loro il re confiscò i beni.

Contro di lui, il 18 novembre 1302, Bonifacio scaglia la bolla di condanna Unam Sanctam che stabiliva che “nella potestà della Chiesa sono distinte due spade, quella spirituale e quella temporale; la prima viene condotta dalla Chiesa, la seconda per la Chiesa, la prima per mano del sacerdote, l’altra per mano del re ma dietro indicazione del sacerdote. Il potere spirituale é superiore a quello temporale”. Filippo, sentendo odore di scomunica, inviò in Italia Guglielmo di Nogaret con l’ordine di condurre il papa prigioniero in Francia. E’ il 3 settembre 1303, Nogaret, affiancato da Sciarra Colonna, lo trova ad Anagni, maestosamente seduto sul trono, coi paramenti sacri: qui avviene un’aggressione nei suoi confronti, si tramanda uno “schiaffo” del francese col guanto di ferro. E’ un momento di eccezionale portata storica, in quanto ne prima ne dopo nella storia della cristianità, vi fu una affronto così grande nei confronti di un pontefice.

Anche se Caetani non era un papa amato e sospettato per di più di simonia dallo stesso Dante, lo stesso poeta fiorentino considerò l’offesa come rivolta a Cristo stesso (Purgatorio, XX, 86-90): “veggio in Alagna intrar lo fiordaliso, e nel vicario suo Cristo esser catto. Veggiolo un’altra volta esser deriso; veggio rinovellar l’aceto e ‘l fele”. Tutti insorsero contro il sacrilegio. La borghesia cristiana di Anagni liberò il suo concittadino, ma quando Bonifacio VIII rientrò in Roma, sotto la protezione degli Orsini, era già distrutto sia moralmente sia politicamente, essendo stato violato il dogma del potere assoluto del papato.

Morì, infatti, pochi giorni dopo, l’11 ottobre 1303. Le sue spoglie vengono sepolte in San Pietro, nella cappella Caetani, costruita dietro sua commissione da Arnolfo di Cambio.

Roma intanto si era ripopolata ed era diventata splendida. Mai prima d’allora un papa si era fatto ritrarre da vivo in statue e dipinti: a Orvieto, Firenze, Bologna, Anagni e nel Laterano in sculture di marmo e di bronzo, nell’affresco di Giotto, attualmente conservato a Milano, che lo ritrae dalla loggia di San Giovanni mentre proclama il Giubileo. Egli fu uno dei papi più energici nella lotta per l’affermazione del primato della Chiesa sul potere temporale dei re e imperatori.

Con lui finisce la teocrazia, la divinizzazione della propria sacra persona, in antitesi con il ruolo di “servus servorum Dei” indicato da San Gregorio Magno. Ma con lui inizia anche la strada del rinnovamento, con il Giubileo, un’occasione ecumenica unica di penitenza e di riconciliazione spirituale.