biografia Jeremy Bentham
biografia Jeremy Bentham
Jeremy Bentham nacque a Londra il 4 febbraio 1748: prima di impegnarsi in un’attività di ricerche filosofico-politiche, esercitò per breve tempo l’avvocatura.
Si impegnò anche in progetti sociali ed economici contro la disoccupazione ed il pauperismo, unendo l’utile all’azione sociale, per così dire, in un’attività imprenditoriale organizzata dal fratello Samuel Bentham ed imperniata sulle Industry-houses, ovvero case di lavoro, nelle quali vennero in un primo tempo impiegati i carcerati, e poi i disoccupati. Le imprese di Samuel Bentham erano ovviamente orientate a ottenere profitti ed a pagare dividendi agli azionisti e non possiamo essere del tutto certi che lo scopo umanitario e filantropico prevalesse su quello economico. Ma è inutile perdersi in moralismi stantii da socialisti da caffè, per dirla con Nietzsche. L’effetto fu quello di assorbire una parte di disoccupati in attività produttive, sottraendoli alla logica dell’assistenza.
Inoltre egli compose un’opera, il Panopticon, nel quale sostenne l’esigenza di modificare il sistema carcerario al fine di renderlo meno costoso e più produttivo.
Questo esempio è importante per capire la rudimentale filosofia di Bentham, peraltro assai poco portato all’analisi economica. (i manuali di storia dell’economia classica sono piuttosto restii, se non silenziosi, sul suo conto)
Egli aveva posto alla base della sua visione filosofica il principio dell’utilitarismo morale. Era il principio già enunciato da Hutchenson e Cesare Beccaria: consentire la massima felicità possibile al maggior numero possibile di individui.
Nella teoria economica di Adam Smith, questo principio si era tradotto in una linea politica di laissez-faire, cioè di liberismo puro, di non intervento da parte dei governi e dello stato nelle questioni economiche e nella dinamica della società civile. Secondo Smith le attività egoistiche dei singoli, orientate alla massimizzazione del profitto, come guidate da una mano invisibile, portavano comunque ad aumentare il benessere collettivo. Per Adam Smith, lo stato migliore era quello minimo, ed il governo migliore quello che non si impicciava nelle questioni economiche e non invadeva la sfera privata.
Ora, secondo Bentham, questa teoria andava corretta, ovviamente in base a delle considerazioni sui risultati pratici conseguiti da una linea di puro liberismo.
Egli credeva nella necessità di una direzione politica, ad un potere capace di mediare ed equilibrare le diverse forze in campo. Ed è questo che lo rende interessante, tutto sommato, anche perchè si pronunciò per l’estensione del diritto di voto alle donne e per un maggiore coinvolgimento della società civile nella politica. Ma questo doveva avvenire, secondo Bentham, muovendo da principi meno astratti.
I diritti dell’uomo affermati dalla rivoluzione francese erano del tutto fittizi. La libertà , ad esempio, se fosse diventato un diritto assoluto, avrebbe annullato la legge, in quanto ogni legge implica una coercizione.
Ma è proprio per favorire la libertà che Bentham sostenne che ogni governo, così come in generale ogni autorità , fosse un male, seppure necessario. Anch’egli avrebbe voluto ridurre al minimo indispensabile l’invasività dello stato e del legislatore nella vita dei cittadini, ma l’azione politica e legislativa era necessaria a ridurre tensioni e conflitti, ad esercitare una mediazione.
Uno dei modi migliori risultava, secondo Bentham, nel far sì che il governo stesso operasse come Dio e come la natura, mediante sanzioni. Il concetto di sanzione è determinate per comprendere la filosofia di Bentham.
Bisogna considerare la sanzione come il risultato pratico dell’azione umana, la quale è a sua volta motivata dal raggiungimento del piacere e dall’evitare il dolore. Questa psicologia materialistica e davvero primitiva risultava, tuttavia, molto efficace per spiegare all’ingrosso un numero considerevole di comportamenti e tipi umani. Si può dire che alla base dell’agire umano vi sia un calcolo preventivo di convenienza, condizionato e determinato dalle esperienze maturate. Questo aspetto fu criticato da Comte, secondo il quale gli uomini non agiscono solo per calcolo, ma in realtà , come al solito, la verità sta un po’ da una parte ed un po’ dall’altra, nel senso che vi sono caratteri diversi, e c’è chi agisce per calcolo e chi no, anche considerando che vi sono diverse sfere della vita, e che lavorare ha sempre e comunque il significato primordiale di andare a caccia per portare a caso il cibo per la famiglia.
Tuttavia, in Bentham, ciò che alla fine decide è la sanzione all’azione stessa. Vi sono diversi tipi di sanzione. La sanzione fisica segue l’azione quando non entrano in campo nè rapporti con altri essere umani, nè agenti soprannaturali come, ad esempio, Dio.
Per capirci, facciamo esempi banali: grattarsi quando si prova prurito, mangiare o bere, lenire il dolore fisico con unguenti, fare un bagno ecc…
La sanzione morale o popolare deriva dal rapporto con gli altri, è quindi un prodotto delle relazioni sociali.
Infine la sanzione religiosa è quella derivante dall’essere superiore, legislatore dell’universo, cioè da Dio.
Per Bentham il segreto della buona legislazione sta nel far sì che il legislatore umano agisca come Dio, ovvero applicando sanzioni di dolore o di piacere, a seconda di ogni azione umana. E per intenderci, Bentham, aveva ben chiaro che azioni violente non portano alla felicità del maggior numero, se non sono, ad esempio, dirette contro violenti che turbano la pace dei cittadini.
Fin qui la filosofia di Bentham è dunque di esemplare chiarezza.
Le cose cominciano a complicarsi quando Bentham venne di fatto a teorizzare sul problema della morale e della coscienza sociale. Bentham avrebbe voluto fare della morale una scienza esatta, sia in senso sociale, sia in senso proprio. Ma, affermando che la moralità non è determinata dai motivi dell’azione, ma dalle sue conseguenze, produsse in realtà solo qualche confusione.
Che sia ovvio che progettare una rapina non è compiere una rapina, è evidente anche ai sassi. Ma progettare una rapina, seriamente e non per gioco, non è che non abbia conseguenze. Progettare è già agire, è già inclinarsi ed orientarsi in una certa direzione, è già coltivare desideri che in un secondo tempo potranno determinare l’azione immorale, considerato che molto spesso è vero che è l’occasione a fare il ladro.
Questa debolezza nell’impianto teorico di Bentham è dovuta al fatto che egli giudicò fittizie entità come la coscienza ed il senso morale allo stesso modo che poi determinerà la nascita della psicologia comportamentista con Watson. In un certo senso, potremmo anzi dire che Bentham precorse il comportamentismo, perchè il suo sistema di sanzioni non è molto diverso da un percorso di premi e punizioni, di rinforzi (conferme) e di punizioni. La differenza sta nel fatto che mentre Watson ne farà una teoria educativa indipendentemente dalla società , e quindi, ne fosse cosciente o meno non ha importanza, contribuerà a formare degli sprovveduti convinti che un buon comportamento venga sempre premiato, anche in una società ingiusta, al contrario Bentham teorizzò una società giusta, in grado quindi di premiare con giuste sanzioni i comportamenti morali.
Ma anche qui, se si viene ad escludere l’esistenza di una coscienza, se perfino la si vuole negare, si perviene semplicemente ad una filosofia politica nella quale solo alcuni, cioè i governanti, i legislatori, hanno una consapevolezza ed una lungimiranza, mentre il rimanente della società è composto da burattini senza fili, che agiscono secondo i condizionamenti ricevuti oppure gli impulsi non condizionati socialmente.
Il giudizio su questo filosofo diventa legittimo non tanto perchè ora ne sappiamo più di allora, ma perchè Bentham venne, seppure di poco, dopo Kant e dopo l’illuminismo, cioè un livello di speculazione filosofica che questi elementari problemi di esistenza della coscienza morale e sociale aveva già affrontato su un piano più accettabile.
Per dare esattezza alla scienza morale del piacere e del dolore Bentham provò a costruire una ingegnosa ed artificiosa tavola delle motivazioni umane. L’idea non era affatto originale in quanto Christian Wolff, il più grande di tutti i filosofi dogmatici, secondo Kant, aveva già progettato una psicometria nel tentativo di fornire “una conoscenza matematica dell’anima umana”.
Nella Storia della psicologia E. Pewzner e J.F. Braunstein scrivono in proposito: « Curiosamente, i primi esempi che Wolff da di questa psicometria riguardano soprattutto i gradi di piacere o di pena, piuttosto che i gradi della sensazione. Wolff s’iscrive così in una corrente propria dell’illuminismo che tende a naturalizzare la questione della morale proponendo di fondarlo su un calcolo: il bene deve poter essere oggetto di una conoscenza scientifica. Così pensavano Maupertuis, nel suo Saggio di filosofia morale (1749) che sarà criticato da Kant, o J.H. Lambert, che proponeva di fondare una “agathologia” (scienza del bene) che dovrebbe potersi trasformare in una “agathometria” (misura del bene)…»
Forte di questi precedenti, Bentham provò a organizzare la sua agathometria in tre sezioni.
Nella prima egli presentò gli elementi (intensità , durata, sforzo ecc…) che dovrebbero permettere la misurazione della quantità di piacere conseguibile.
La seconda selezionò le varie qualità di piaceri, e di dolori, stabilendo una specie di graduatoria.
Nella terza illustrò come esistano diverse “sensibilità umane” al piacere ed al dolore. Il lavoro di Bentham incentivò tuttavia più lo sviluppo della cosiddetta psicologia scientifica che un nuovo quadro di filosofia morale a base psicologica. Unico suo allievo fu James Mill, che sviluppò gli aspetti associazionistici della psicologia, anche se, per la verità , tutta la filosofia inglese successiva risentì sempre di una certa influenza utilitaristica. Ancora nel novecento filosofi come G.E. Moore e Bertrand Russell insistettero sul tema della felicità .
Stuart Mill fu piuttosto critico nei confronti del pensiero di Bentham, osservando che le sue concezioni erano primitive e riguardavano esemplari umani privi di coscienza, rettitudine, senso dell’onore e del dovere.
Non per soddisfare una semplice curiosità , ma proprio per questioni di genealogia del pensiero, è utile riportare che sia Marx che Engels, in gioventù, considerarono Bentham come il nesso tra il materialismo di Helvetius e Robert Owen. Come scrive Eric. J Hobsbawm nel saggio Marx, Engels e il socialismo premarxiano: « E in effetti entrambi giunsero a proporre l’inclusione di Bentham – se non altro come conseguenza di ciò che appariva dalla Political Justice di William Godwin – nella loro progettata Biblioteca dei più eccellenti scrittori stranieri. » (sta in: Storia del marxismo, vol. I -Einaudi – Torino, 1978)
Nel Capitale, tuttavia, Marx tornò su Bentham con un giudizio alquanto diverso: « Il principio dell’utile non è stato un’invenzione di Bentham, il quale non ha fatto che riprodurre senza nessuno spirito quel che Helvétius ed altri francesi del secolo XVIII avevano detto con spirito. Per esempio se si vuol sapere che cos’è utile ad un cane, bisogna studiare a fondo la natura canina. Ma questa natura stessa non si può dedurre dal “principio dell’utile”. Applicato all’uomo, se si vuol giudicare ogni atto, movimento, rapporto, ecc., dell’uomo secondo il principio dell’utile, si tratta in primo luogo della natura umana in generale, e poi della natura umana storicamente modificata, epoca per epoca. Bentham non ci perde molto tempo. Egli suppone, con la più ingenua banalità , che l’uomo normale sia il filisteo moderno e in specie il filisteo inglese.» (Il capitale, libro I, p. 749 nota)
Una tantum, si può concordare con Marx e con Stuart Mill: entrambi, pur essendo assai poco entusiasti dell’uomo normale e concreto, seppero comprendere che è la coscienza che fa la differenza e che essa è possibile (il che non significa che c’è già ) in tutti gli uomini e non solo in alcuni privilegiati.
Bentham condensò il suo pensiero in diversi trattati, tra cui l‘Introduzione ai principi della morale e della legislazione del 1789.
Può solleticare l’interesse il titolo di un’opera precedente di argomento economico: Difesa dell’usura del 1787.