BIOGRAFIA GIOSUE CARDUCCI

BIOGRAFIA GIOSUE CARDUCCI


ASPETTI GENERALI DELLA BIOGRAFIA E DELLA PRODUZIONE POETICA. Giosuè Carducci nacque a Valdicastello (Lucca) nel 1835 e morì a Bologna nel 1907. La sua prima poetica (intorno al 1856) è volta nel senso di una restaurazione classica contro quello che egli considera “la degenerazione della poesia contemporanea”. Negli anni successivi (per più di un decennio), comunque, si occupa contemporaneamente di letteratura e politica, indirizzandosi verso posizioni filorepubblicane ed estremistiche e accentuando il suo radicale laicismo e anticlericalismo (si legga, al riguardo l’Inno a Satana, del 1863). Per queste sue posizioni dovette anche subire una sospensione di due mesi e mezzo dall’insegnamento e dallo stipendio, nel 1868, all’Università di Bologna. La sua prima raccolta e dello steso 1868: Levia gravia (una parte delle cui composizioni confluirà in Juvenilia). Nel 1870 gli morirono il figlioletto di tre anni, Dante, e la madre. Altre raccolte poetiche videro la luce tra il 1871 e Il 1873: Poesie (che poi diverrà Giambi ed Epodi) e Nuove Poesie, accolte con crescente interesse.
Negli stessi anni, Carducci va progressivamente accostandosi alla Monarchia. Tale accostamento sarà definitivo nel 1878 quando, in occasione della visita a Bologna di Umberto e Margherita di Savoia, egli rinuncia al passato repubblicano e dichiara pubblicamente di sostenere i Savoia, mettendo al servizio della causa monarchica la sua poesia. Egli prende coscienza del suo ruolo: l’attività di poeta a ormai inutile in un mondo di cui sono protagoniste le classi medio-borghesi; ma proprio perché inutile, la poesia può diventare preziosa e accompagnarsi, come rivendicazione e compensazione di bellezza, al lavoro grigio e monotono dell’intellettuale, dello studioso e del professore…
Tra il 1877 e il 1889 pubblica tre libri di Odi barbare. Nel 1899, esce la raccolta Rime e ritmi. Nel 1890 viene nominato senatore, con decreto regio. Nel 1904 lascia l’insegnamento e nel 1906 gli viene attribuito il premio Nobel per la letteratura.

Dalla poetica giovanile, manieristicamente classica, Carducci passa – con Giambi ed Epodi – a un rinnovamento stilistico ricco di influssi soprattutto romantici e realistici. Ne deriva una poesia ricca di energia e di veemenza espressiva, nella quale, secondo Sapegno, si troverebbe il miglior Carducci. Il quale, comunque, rifiuta del Romanticismo la visione religiosa del mondo; mentre ne accetta il senso della storia, l’amore della libertà, il culto dei temperamenti forti e passionali. Tale visione, nelle raccolte successive, si farà più “matura”. Carducci, infatti, cercherà di contemperarvi la tradizione (classica e umanistica) italiana con quella del romanticismo (e del decadentismo) europeo, attenuando o eliminando tutti gli elementi politici, polemici e “istintivi”, e indirizzandosi piuttosto verso una valorizzazione più piena dell’ “arte”.


LE “ODI BARBARE”. Comprendono le prime Odi barbare (1877), le seconde (1882) e le terze (1889). La pubblicazione unica avviene net 1893. Ad esse Carducci deve la sua maggiore grandezza.
Carducci chiamò barbare le odi da lui composte con l’intento di riprodurvi l’andamento metrico classico, “per cui tali (barbare, cioè straniere) sarebbero sembrate al giudizio dei Greci e del Romani”.
Il tentativo carducciano si riallacciava a una serie di esperimenti compiuti in occasione del Certame coronario del 1441, per il quale Leon Battista Alberti e Leonardo Dati composero in volgare versi e strofe rifacendosi alla struttura metrica classica. Questi primi esperimenti, come pure molti altri eseguiti nel Cinquecento, si fondavano sulla convinzione che fosse possibile determinare anche per la lingua italiana, come per quelle antiche, la distinzione tra sillabe lunghe e sillabe brevi; e perciò ricreare esattamente gli schemi dei versi quantitativi propri della poesia classica (versi fondati non sul numero delle sillabe e sulla posizione degli accenti – quali sono i versi moderni –, ma sulla complessiva “quantità sillabica” contenuta nel verso, derivante dalla somma di sillabe lunghe e sillabe brevi – due brevi = una lunga – nei limiti di precise regole di successione e sostituzione).
Rivelatosi però inadeguato questo tentativo, ne fu adottato in seguito uno diverso, cercando di riprodurre con versi italiani presi singolarmente o variamente combinati tra loro, il ritmo dei versi latini quale risultava a una lettura non metrica, ma grammaticale, che cioè rispettasse gli accenti naturali delle parole.
Tra coloro che adottarono questo metodo, vi furono – nel Seicento – Chiabrera, Paolo Rolli e Fantoni. E a questo metodo, perfezionandolo con nuove invenzioni formali, si attenne Carducci, che pure aveva studiato a fondo i precedenti, raccogliendone anche un’antologia di esempi (La poesia barbara nei secoli XV e XVI, 1881). Carducci tentò anche l’impresa di costruire l’equivalente del distico elegiaco (esametro + pentametro dattilico): impresa mai tentata in italiano.
Ne seguirono, naturalmente, imitazioni e discussioni che contribuirono a liberare la forma poetica italiana dai suoi tradizionali vincoli metrici, contro i propositi dello stesso Carducci, che inscriveva la restaurazione della metrica antica in un generale programma di restaurazione classicistica.