BIOGRAFIA ARTHUR RIMBAUD

BIOGRAFIA ARTHUR RIMBAUD

FONTE:https://arthurrimbaud.jimdofree.com/biografia/

Jean-Nicolas-Arthur Rimbaud è un caso limite nel mondo della letteratura. Dopo aver fermamente creduto nel potere magico della poesia, nella possibilità del poeta di «cambiare la vita», di farsi creatore di nuovi mondi, di diventare attraverso una «lunga, immensa e ragionata sregolatezza di tutti i sensi, un veggente… il grande Infermo, il grande Criminale, il grande Maledetto – e il sommo Sapiente» alla conquista dell’ignoto; dopo aver scritto fra i 15 e i 19 anni l’opera più rivoluzionaria e folgorante della letteratura francese e aver scandalizzato la società artistica del tempo, abbandona improvvisamente la poesia. Si dà a una vita di viaggi e commerci. Rinuncia all’avventura spirituale e si butta in quella materiale.

  L’«angelo dannato» del poeta Paul Verlaine (con cui vivrà un’intensa e burrascosa relazione sentimentale) nasce il 24 ottobre 1854 in una piccola cittadina di provincia, Charleville, nelle Ardenne francesi, figlio di una madre inflessibile imbevuta di religiosità e di un padre militare che presto abbandonerà la famiglia.

  Fanciullo fantasioso e sensibile, Arthur si segnala per la sua straordinaria precocità intellettuale. Scrive già a dieci anni brevi prose e componimenti poetici in latino che gli valgono l’ammirazione di compagni e professori, oltre a numerosi premi accademici. Ma nell’animo dell’enfant prodige fermentano oscuri sentimenti di rivolta, che lo porteranno a ripudiare ferocemente le tradizioni sociali, letterarie e religiose.

  Il 1870 è l’anno delle evasioni e della definitiva conversione alla poesia. Il quindicenne Rimbaud prende il treno per Parigi per assistere alla caduta di Napoleone III. La grande avventura si conclude  ingloriosamente in carcere: il poeta ribelle viene sorpreso senza biglietto. Liberato grazie all’intervento dell’affezionato professore Izambard, Rimbaud ritenta il colpo dieci giorni dopo: si reca a piedi fino a Bruxelles, dove spera di trovare lavoro come redattore. Ma anche questa fuga fallisce e rientra immediatamente a Charleville. Terza fuga nel febbraio 1871, a Parigi. Dopo quindici giorni di allucinato girovagare per la città sconvolta dall’assedio dei prussiani, Arthur è costretto a tornarsene a casa a piedi.

  Nel settembre del 1871, la fuga definitiva. Meta: sempre l’agognata Parigi (Charleville lo soffoca nella sua mediocrità). Il poeta Verlaine, al quale ha spedito alcuni suoi versi e una lettera di disperata invocazione, lo ha chiamato a sé: «Venite cara, grande anima!». E lui approda immediatamente a casa sua. I due poeti cominciano a vivere insieme un’esaltante vita bohèmienne, fatta di una turbolenta intimità, di follie, discussioni letterarie e soprattutto: Poesia. Il genio e le intemperanze di Rimbaud sbalordiscono gli ambienti culturali.

  È tra il 1869 e il 1872 che scrive quasi tutti i brani poetici poi raccolti sotto il titolo di Poesie. In seguito comporrà le visionarie ed enigmatiche Illuminazioni. Durante un temporaneo riavvicinamento tra Verlaine e sua moglie, Rimbaud se ne va in Belgio, ma l’amico, che non può più fare a meno di lui, lo raggiunge. I due si stabiliscono in Inghilterra, dove cercano di sbarcare il lunario dando lezioni di francese e facendo traduzioni. Ma la miseria, l’estrosa irrequietezza di Rimbaud, l’eterno senso di colpa e le continue lamentele di Verlaine corrodono presto il loro rapporto.

  È il dicembre del 1872: Rimbaud rientra a Charleville, poi raggiunge ancora una volta Verlaine che è solo e ammalato a Londra. Breve periodo di tranquillità, poi nuovo litigio. Rimbaud raggiunge la sua famiglia a Roche e comincia a comporre Una Stagione all’Inferno (1873), la sua sconvolgente autobiografia spirituale.  

  La rottura definitiva con Verlaine viene consumata in Belgio, dove i due amici si sono ritrovati per un ennesimo incontro: Verlaine, «vergine folle» abbandonata dal «demone» Rimbaud, spara all’amico (lieve ferita alla mano) e viene condannato a due anni di carcere.

  Arthur torna a Roche, si rinchiude nel granaio di casa e porta a termine Una Stagione all’Inferno. Dopo, non scriverà più niente. Abbandona la letteratura per sempre. Perché? È un mistero che nessuno riuscirà mai a chiarire. È come se si fosse esaurito il suo tentativo di «farsi veggente», il suo selvaggio furore ribelle, e questo fallimento avesse provocato in lui il disgusto per la poesia incapace di fargli «varcare la soglia».

  Compie lunghi viaggi a piedi per l’Europa. S’incammina alla volta di Brindisi, ma fra Livorno e Siena viene colpito da insolazione e rimpatriato (1875). La sua vita si fa frenetica: nel 1876 si arruola nell’armata coloniale olandese, s’imbarca, raggiunge Giava e diserta. Rientra in Francia e riparte quasi subito per Vienna; si reca a Colonia, Brema (tenta di arruolarsi nella marina americana), poi Stoccolma, Copenaghen, salpa per Cipro e infine per l’Africa. Viaggia e commercia (armi, pellami e spezie) nello Yemen e in Etiopia. Colpito da cancrena al ginocchio destro, affronta un dolorosissimo calvario per rientrare in patria, dove gli viene amputata la gamba. Ma non c’è più nulla da fare: si spegne dopo atroci sofferenze il 10 novembre 1891.

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