BEPPE FENOGLIO

BEPPE FENOGLIO


Beppe Fenoglio, nato ad alba nel 1922, ha trascorso in questa città tutta la sua vita, lavorando come impiegato in un’industria vinicola. Ha partecipato attivamente alla resistenza (che costituisce un motivo di fondo, assieme a quello della terra natale, le langhe, della sua produzione narrativa). È morto a Torino nel 1963

Fenoglio ha esordito nel 1952 con il racconto I 23 giorni della città di Alba; altre sue opere importanti sono i romanzi Una questione privata (1963) e Il partigiano Johnny (1968).

 La matena prediletta da Fenoglio, la vita contadina delle Langhe e la guerra partigiana, sembra collocarlo nell’ambito del Neorealismo

(anzi addirittura di un “neoverismo”), in realtà lo scrittore è lontano da entrambe’ le esperienze letterarie. Non

si riscontrano in lui intenti documentari o di polemica sociale in nome di un impegno ideologico progressista, e tanto meno inclinazioni

populiste a proporre il mondo contadino come depositario di valori positivi: la sua visione è ferma, lucida, assolutamente oggettiva ed impassibile.

Corrispettivo perfetto di questo contegno è il taglio narrativo dei romanzi e dei racconti di Fenoglio: una narrazione rapida, essenziale, tutta cose, tutta azione, concentrata in scene fortemente “visive”, di immediata urgenza sensibile, prive di sbavature o indugi. Anche il linguaggio è asciutto, secco e nervoso.


I ventitre giorni della città di Alba – La critica

Su Fenoglio non tarda ad arrivare la grandine, dalle pagine dell’«Unità»: tacciato di qualunquismo piccolo-borghese, di «gretta acredine filistea» e accusato perfino di turpiloquio Fenoglio era sospetto di lesa Resistenza per il suo modo spregiudicato di prendere in carico anche i risvolti meno edificanti della lotta partigiana. Infatti gli eroi dei “Ventitre giorni” sono studenti romantici e individualisti in conflitto con la volgarità dei capi partigiani, oppure soldati-bambini alquanto sbruffoni e incauti o ancora partigiani-ladri increduli della propria condanna persino di fronte al plotone d’esecuzione: a incombere su tutti la guerra civile, trattata come necessità dai risvolti grotteschi, senza commenti lirici, senza la retorica di rito nelle celebrazioni del 25 aprile. Allo stesso modo i racconti di ambiente langhigiano non lasciano spazio alle ansie populistiche o alla preoccupazione storica, ma si affidano all’evidenza della rappresentazione sullo sfondo delle colline, con i «rittani», i «bricchi», le casupole basse e storte e il dialetto a punteggiare un dialogo secco, in una dimensione senza tempo.

Il racconto migliore della raccolta rimane, però, I ventitre giorni della città di Alba. Resoconto cronachistico della velleitaria esperienza di una delle cosiddette “repubbliche partigiane” (alcune circoscritte zone dell’Italia settentrionale che per pochi giorni furono liberate dai partigiani provocando nei fascisti una reazione feroce), lo scritto di Fenoglio vuole essere un’impietosa riflessione sulla Resistenza e, insieme, una denuncia dell’immutabile carattere italiano, con la stessa incancellabile propensione per la retorica e le parole gonfie che accomuna tutte e due le parti (memorabile la conclusione: «i fascisti entrarono e andarono personalmente a suonarsi le campane»). La morale del racconto e il giudizio del narratore sono però già tutti nella celebre frase d’esordio, quell’Alba la presero in duemila il 10 ottobre e la persero in duecento il 2 novembre dell’anno 1944» in cui è riassunta tutta la consuetudine nazionale di stare con il più forte, accodandosi alle vittorie altrui. Fenoglio profonde sugli eventi l’ironia di chi osserva le cose da una posizione distaccata, rivelando uno spiccato talento nel cogliere nel grande affresco della Storia le piccole scene che spesso racchiudono il senso dei grandi movimenti di uomini: requisizioni forzate di auto che trasformano Alba in una generale «scuola di guida»; le file al bordello locale; l’infangamento volontario dei partigiani durante la ritirata, «come se non fossero già abbastanza i segni che era stata dura». Eppure, nonostante il tono assolutamente non apologetico del suo racconto, Fenoglio non giunge mai alla palinodia della sua esperienza di partigiano e rimarrà invece convinto che se la Resistenza non è stata sempre una bella cosa, anzi «un pasticcio», questo pasticcio tuttavia «andava fatto».

All’uscita nelle librerie I ventitre giorni della città di Alba scatenarono una piccola polemica per l’immagine poco edificante che fornivano della Resistenza. Placata la temperie ideologica di quegli anni, non si può invece non ammirare la lucidità dello sguardo di Fenoglio e la sua capacità di racchiudere in poche pagine una feroce disamina del carattere italiano.

Fenoglio è considerato tra i massimi rappresentanti del Realismo. ma ebbe anche la sventura di non essere gradito ai critici marxisti, per quella particolare ironia e singolare distacco con cui rievocò la sua esperienza partigiana.

Il suo primo volume, I ventitré giorni della città di Alba, contiene 12 racconti nati in gran parte dalla sua esperienza di partigiano, oltre che dalla sua attenzione ai problemi della vita contadina e alla situazione sociale, su cui la Resistenza era passata senza quasi nulla cambiare. La pagina in cui si descrive la prima sfilata dei partigiani entrati vincitori ad Alba potrebbe offendere un marxista per la sua dissacrazione della Resistenza:

Fu la più selvaggia parata della storia moderna: solamente di divise ce n’era per cento carnevali. Fece un’impressione senza pari quel partigiano semplice che passò rivestito dell’uniforme di gala di colonnello d’artiglieria cogli alamari neri e la bande gialle e intorno alla vita il cinturone rossonero dei pompieri col grosso gancio… tutti, o quasi, portavano ricamato sul fazzoletto il nome di battaglia. La gente li leggeva come si leggono i numeri sulla schiena dei corridori ciclisti; lesse nomi romantici e formidabili, che andavano da Rolando a Dinamite. Cogli uomini sfilarono le partigiane, in abiti maschili, e qui qualcuno tra la gente cominciò a mormorare -Ahi povera Italia! -, perché queste ragazze avevano delle facce e un’andatura che i cittadini presero tutti a strizzar l’occhio. I comandanti che su questo punto non si facevano illusioni, alla vigilia della calata avevano dato ordine che le partigiane restassero assolutamente sulle colline, ma quelle li avevano mandati a farsi fottere e s’erano scaraventate in città.

E’ proprio l’ ironia che sottolinea il distacco artistico di Fenoglio e che fa di un fatto di cronaca di guerra un racconto grottesco e drammatico insieme.

Ovviamente il racconto si fa drammatico quando i partigiani sono costretti ad abbandonare la città di Alba e a ritirarsi sulle colline inseguiti dal numero stragrande di fascisti. Eppure anche in queste pagine Fenoglio non evita le sue punte umoristiche e grottesche, accanto a quelle pietose.

Nell’opera si riflette la sua vicenda autobiografica, la sua esperienza di giovane intellettuale, che matura la decisione di farsi partigiano in un clima di sopraffazioni e di violenze; non si tratta soltanto di un racconto partigiano, bensì di una attenta analisi sulla maturazione in un giovane intellettuale della sua presa di coscienza della realtà politica e umana in circostanze drammatiche e paradossali.

A proposito dei Ventitrè giorni non si riuscì o non si volle capire che l’oggetto di quella demistificante ironia era il comportamento umano in tempo di guerra e non quello di una delle parti in conflitto.

Nel primo gruppo di racconti, incentrati sulla vita partigiana, l’opposizione armata al fascismo è rappresentata nelle sue luci e nelle sue ombre: la drammaticità degli eventi, i dubbi di chi decide di farsi partigiano i un clima di sopraffazioni e di violenza, le contraddizioni della guerra civile, le sue implicazioni politiche. In questa realistica descrizione dei partigiani, assolutamente veritiera, priva di giudizi personali e fortemente coinvolgente per la spontaneità di contenuti e di stile sembra però mancare un elemento ovvero l’insieme degli aspetti di carattere storico e morale che sono necessarie basi per la formazione del movimento antifascista e senza i quali la guerra partigiana si riduce ad una semplice avventura vissuta quasi senza senso. La compassione commovente che accompagna alcune scene, la lucidità con cui sono riportati alcuni significativi avvenimenti e le poche notizie sul codice militare e sulle strategie di battaglia dei partigiani non resero sufficientemente il carattere politico della resistenza, così almeno agli occhi dei partiti politici di sinistra. Se a ciò si aggiunge la disperazione dei partigiani, l’esplosione dei loro istinti sanguinari, l’incoscienza dei più giovani, le sconfitte, la paura e la fuga, tutti elementi coraggiosamente dichiarati da Fenoglio, si può intuire come mai il primo giudizio dei critici marxisti all’opera non fu affatto lusinghiero. Infatti essi sostenevano che la problematica della resistenza era stata trattata in maniera “qualunquista, falsa e meschina” e presentava partigiani “senza un preciso retroterra politico-ideologico”. Si coglie poi negli stessi racconti un senso di sgomento e forse anche di riprovazione di fronte alla lotta partigiana : Fenoglio sembra quasi rimproverarsi di avervi partecipato e pare affermare che l’inquietudine del dopoguerra nasca proprio da quei giorni.

Lo stile, aspetto più qualificante e contraddittorio dello scrittore, è costituito da più componenti. Esso risente molto dell’estraneità dell’autore ai circoli letterari che non lo rese condizionato da schemi rigidi e prefissati, come avrebbero voluto i politici di sinistra, ma anche dall’ammirazione per la cultura e la civiltà anglosassone che lo portò alla lettura di grandi autori inglesi come Coleridge, Melville e Conrad. Essi influenzarono tra l’altro anche il suo lessico che risulta essenziale, diretto e spontaneo e contribuisce a riportare gli eventi con chiarezza senza cadere nella retorica e nell’enfasi. Vi sono punti, poi, in cui il tono si fa quasi ironico ed epico-burlesco, e questo per la schiettezza antieroica che caratterizza alcuni passi, quelli più fraintesi e criticati. Un esempio può essere la descrizione dell’entrata dei partigiani ad Alba in cui i loro capi appaiono goffi, impreparati ad organizzarli ed incapaci di risolvere i problemi di difesa e di amministrazione civile. In questo caso Fenoglio è molto abile a recuperare quei dati che sfuggono alla ricostruzione storica o, meglio, che gli autori delle ricostruzioni storiche tacciono: le requisizioni forzate di auto che trasformano Alba in una “scuola guida”, le file di partigiani al bordello locale, il popolo che applaude i partigiani ma fa fatica a fare lo stesso coi capi. Il tono risulta invece più drammatico quando i partigiani si trovano in difficoltà o vengono colti nel momento della loro morte.