BELLUM CIVILE

BELLUM CIVILE

Il titolo ci viene tramandato anche come “Pharsalia” poiché lo stesso Lucano, per augurare fortuna a questi suoi versi scrisse :”Pharsalia nostra vivet” (vivrà la nostra Farsalia). Il poema è incompiuto a causa della breve vita dell’autore e si pensa dovesse essere impostato su modello dell’Eneide, cioè in XII libri con al VI libro una predizione affidata al regno dei morti, che effettivamente è rappresentata dall’episodio della maga Eritto. In esso si parla della guerra civile tra Cesare e Pompeo protrattasi dal 49 a.C. al 48 a.C. e culminata con la vittoria dei cesariani sui pompeiani. L’episodio centrale dell’opera è la famigerata battaglia di Farsalo, in Tessaglia e la fine del poema, incompiuto, corrisponde al 48 a.C. con la rivolta di Alessandria e Cesare in difficoltà. Probabilmente l’intento era di arrivare a conclusione con un episodio solenne, come poteva essere l’esemplare suicidio di Catone (46 a.C.) o l’uccisione di Cesare alle Idi di marzo del 44 a.C. in quanto proprio quest’ultimo episodio viene varie volte preannunciato.

TEMI E PERSONAGGI

Lucano sta analizzando uno degli episodi più nefasti dell’intera storia della civiltà romana: la guerra civile. Il suo intento è quello di mostrare le bestialità derivate dal abbandono dei vecchi valori d’un tempo. non è il solito poeta che vuole lodare ed esaltare la civiltà romana, ma vuole anzi maledire un episodio che ha visto “fratelli” massacrarsi a vicenda e spargere il loro stesso sangue: un inutile guerra fratricida. Egli individua nell’opera varie cause di questa guerra scellerata (bellum nefandum), ed esse sono in parte personali, cioè derivanti dai singoli condottieri, Cesare e Pompeo, e in parte più generali. Tuttavia Lucano sente di poter far derivare quelle personali, cioè il desiderio di primeggiare e di prevalere l’uno sull’altro dei due contendenti, da quelle generali della corruzione dei costumi. La guerra descritta è una continua violazione delle norme che avevano fatto dei Romani una grandissima civiltà: la pietas e le norme sociali e religiose, e ciò che più addolora l’autore, ed egli lo mostra con grande incisività, è il disprezzo mostrato dai contendenti verso il vincolo di consanguineità che li lega (e nell’opera è più volte sottolineato il rapporto di fratellanza), rappresentato emblematicamente dalla parentela che lega i due condottieri: essi erano adfines. Cesare infatti era il padre di Giulia, defunta moglie di Pompeo, e malgrado ciò i due non avevano avuto la possibilità di consolidare il loro rapporto poiché era scomparso anche il figlioletto avuto da Giulia. Se lei fosse sopravvissuta, si rammaricava Lucano, sarebbe nata una fortissima alleanza e unione di sangue tra i due ma purtroppo così non è stato possibile e i due però, nell’opera vengono spesso chiamati come “suocero” o “genero” per sottolineare quel rispetto cui stanno venendo meno per la loro sete di sopraffazione.

Come si può intuire, nell’opera, i personaggi principali sono Cesare Pompeo, uomini diversi che ci vengono presentati subito nel primo libro, Cesare come desideroso di raggiungere al più presto le vette del potere personale, travolgendo ogni ostacolo che trova per strada, sfrenatamente ambizioso e aggressivo, paragonato ad un fulmine che atterrisce e brucia tutto ciò che si trova davanti; Pompeo invece è l’uomo timido che ha già raggiunto il potere e si vede privare di esso e del favore del popolo, paragonato ad una vecchia quercia ormai senza foglie, le cui radici ormai non hanno più vigore, ma che tuttavia conserva il peso e l’onorabilità della sua vecchiaia. Andando avanti nella vicenda, il poeta prenderà decisamente parte verso Pompeo svelando le responsabilità reciproche del conflitto e dandoci un ritratto ancora più approfondito dei due contendenti. Cesare appare ancora come una personalità molto forte, dura e decisa, con una Fortuna alle spalle straordinariamente favorevole che ne aiuta le imprese, ma, nonostante ciò, è il personaggio negativo poiché incarna le aspirazioni più abiette e contrarie al regime repubblicano vigente: aspirava al potere personale. Voleva emulare Alessandro Magno, capace di dominare sul mondo intero, e Lucano arricchisce la sua caratterizzazione con i tratti tipici del tiranno, associato alla sfera animale coi suoi comportamenti eccessivi e sfrenati e con il suo assoluto disprezzo per la pietas. Pompeo invece emerge come personaggio non interamente positivo, seppur appoggiato dall’autore perché si presenta come difensore di ragioni politiche e culturali giuste. Anche lui ha i suoi difetti, ma li ha sempre mantenuti entro il limite del ragionevole, e inoltre combatte contro Cesare anche per motivi personali, poiché cerca di difendere la propria libertà evitando di diventare schiavo. Tra i due personaggi principali, di spicco, vi è una terza figura, quella di Catone, che è solo abbozzata, ma che probabilmente doveva essere completata con la stesura degli ultimi libri. Da ciò che emerge dall’opera egli incarna i tratti tipici della moderazione e del senso di misura, espressione del glorioso passato di Roma, ed è significativa la sua appartenenza ai pompeiani sconfitti che incarna il sorpasso dei vecchi costumi travolti dalla completa degenerazione della storia. Inoltre egli è il rappresentante della coerenza e perfezione morale, poiché le sue scelte politiche sono giuste e il motivo che lo spinge alla guerra è la convinta difesa della tradizione romana.

Come si può notare, Lucano ha cercato di tramandarci una sorta di epica paradossale, trattando, invece di un mito o di una grande impresa remota, recente storia e fatti di sangue che hanno macchiato indelebilmente la mente del popolo romano. Viene rovesciato il vecchio modo di scrivere opere, raccontando vizi, violenza, empietà, tirannia, invece che decantando virtù, eroi ed imprese mitiche. Lucano spera che la sua opera possa rinnovare la memoria di uno scellerato vincitore, e che i futuri lettori sappiano rivolgere le loro simpatie sugli sconfitti pompeiani, perciò possiamo dire che l’intento dell’autore è puramente moralistico o anche una sorta di ammonizione alla luce di ciò che già è accaduto. Perciò dà liberamente sfogo ad espressioni di sdegno e di disapprovazione e interviene spesso nella narrazione in spazi appositi del testo. Da sottolineare che nell’opera poi, manca completamente ogni dimensione divina, non c’è spazio per le divinità che non interferiscono mai nel racconto; chi interferisce invece è sicuramente la Fortuna poiché la sfera divina viene scetticamente esclusa, ma anche, se ammessa, non avrebbe mai potuto tollerare tale massacro. Ancora, altri elementi da ricordare sono la presenza invece di pratiche magiche, descritte soprattutto nella scena della Tessaglia dove la maga Eritto fa possedere il corpo di un soldato caduto per affidargli una profezia, proprio come, quasi, accadeva nel VI libro dell’Eneide. Lucano poi, per quanto riguarda le scene di prodigi, divinazione e altri fenomeni prodigiosi, pur riportandole, mostra scetticismo e talvolta tenta di spiegare razionalmente e scientificamente tali avvenimenti. Infine c’è un punto nell’opera che ha suscitato varie interpretazioni e discussioni: si trova quando l’autore rivolge delle lodi all’imperatore Nerone: visto l’amore per il paradosso mostrato in tutto l’arco dell’opera, non è da escludere che esse siano da leggere in chiave ironica in quanto risulterebbe improbabile e molto forzato nella narrazione, un tale “incastonamento” di una tradizionale lode e dedica