AUGUSTO RACCONTA LE SUE GESTA

AUGUSTO RACCONTA LE SUE GESTA

Augusto, non avendo trovato un cantore delle sue gesta, scrisse da sé le proprie lodi nell’opera Res gestae divi Augusti, nella quale, come potrai notare, il princeps sottolinea soprattutto di aver sempre rifiutato – pur potendo farlo – di divenire monarca assoluto dell’impero romano.

In consulatu sexto et septimo, postquam bella civilia exstinxeram, per consensum universorum potitus rerum omnium, rem publicam ex mea potestate in senatus populique Romani arbitrium transtuli. Quo pro merito meo senatus consulto Augustus appellatus sum et laureis postes aedium mearum vestiti publice coronaque civica super ianuam meam fixa est et clupeus aureus in curia Iulia positus, quem mihi senatum populumque Romanum dare virtutis clementiaeque iustitiae et pietatis causa testatum est per eius clupei inscriptionem. Post id tempus auctoritate omnibus praestiti, potestatis autem nihilo amplius habui quam ceteri qui mihi quoque in magistratu conlegae fuerunt.Tertium decimum consulatum cum gerebam, senatus et equester ordo populusque Romanus universus appellavit me patrem patriae idque in vestibulo aedium mearum inscribendum et in curia Iulia et in foro Augusto sub quadrigeis, quae mihi ex senatus consulto positae sunt, censuit.

Augusto, Res gestae 6. 13-27


TRADUZIONE

Durante il (mio) sesto e settimo consolato1, dopo che avevo soffocato le guerre civili, pur essendomi impadronito del potere assoluto per consenso unanime, trasferii la (gestione della) cosa pubblica dalle mie mani2 alla sovranità del senato e del popolo romano. E per questo mio merito, per deliberazione del senato, fui chiamato Augusto, e gli stipiti della mia casa (furono) ornati di alloro per decisione pubblica, e la corona civica3 fu appesa sopra la mia porta, e (fu) posto nella curia Giulia uno scudo d’oro, e dall’iscrizione di quello scudo risulta che il senato e il popolo romano me lo donavano4 per la (mia) virtù, clemenza, giustizia e religiosità. Dopo di allora5 fui superiore a tutti per autorità, ma di potere non ne ebbi affatto più degli altri, che (anzi) mi furono anche colleghi nelle magistrature. Quando esercitavo il tredicesimo consolato, il senato, l’ordine equestre e tutto il popolo romano mi chiamarono6 “padre della patria” e stabilirono7 che questo (appellativo) dovesse essere scolpito nel vestibolo della mia casa, nella curia Giulia e nel foro (di) Augusto, sotto le quadrighe che mi furono dedicate per deliberazione del senato.

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