Auguste Comte 1798-1857

Auguste Comte 1798-1857


Auguste Comte nacque a Montpellier nel 1798, in una modesta famiglia di tradizione cattolica.
Ricevette una preparazione nel campo delle scienze esatte alla Ecole Polytechnique di Parigi, si distinse per l’ingegno matematico ed il fervore repubblicano. Dovette interrompere gli studi per la caduta di Napoleone.
Divenne allora collaboratore di Saint- Simon, presso il quale ultimò la propria formazione scientifica e filosofica.
Nel 1822 compose il Plan des travaux scientifiques nécessaires pour réorganiser la societè, ripubblicato come Système de politique positive nel 1824.
Morto Saint Simon nel 1825, iniziò un corso di lezioni private coincidente con il Cours de philisophie positive, pubblicato in sei grossi volumi tra il 1830 e il 1842. E si diede molto da fare per accreditare il suo proposito di essere considerato il fondatore della sociologia, ovvero, come egli stesso la definì, la scienza di osservazione dei fenomeni sociali.
Ma tra il 1828 e il 1829 attraversò un periodo di grave crisi nervosa, dovuta alla fatica di scrivere.
Nel 1838 Comte decise di non leggere più nulla, essendosi convinto di aver raggiunto tutta la verità e di non aver altro compito che quella di esporla. Cosa che fece coerentemente, compilando nel 1844 il Discours sur l’esprit positif, vero e proprio manifesto del positivismo.
Tuttavia questo atteggiamento non fu frutto di una semplice svolta, e del raggiungimento di una specie di illuminazione. Covava in Comte ben prima. In realtà, come insegna Nicola Abbagnano, « Comte si vanta di aver seguito una severa igiene cerebrale leggendo il meno possibile, perchè la lettura nuoce molto alla meditazione insieme la sua originalità e la sua omogeneità. E dichiara candidamente: Io non ho mai letto in nessuna lingua nè Vico, nè Kant, nè Hegel, ecc; non conosco le loro opere tranne che per qualche relazione indiretta e alcuni estratti molto insufficienti. » (sta nel V° volume della Storia della filosofia: La filosofia del romanticismo)

Comunque sia, allo scoppio della rivoluzione del ’48, Comte si schierò con i rivoluzionari, credendo di vedere in essi la forza in grado di condurre avanti i propri progetti di trasformazione sociale. Ma, deluso, nel 1851, parteggiò per Napoleone III. Morì nel 1857, dopo aver perso il posto di ripetitore all’Ecole Polytecnique. Negli ultimi anni visse solo grazie ai contributi finanziari dei suoi discepoli ed al pagamento di lezioni private, trovando comunque il tempo per comporre un Appello ai conservatori.
Egli si era sposato con Caroline Massin nel febbraio del 1825 ma, la relazione fu problematica ed infelice, anche perchè non sostenuta da sufficienti entrate economiche. Comte visse sempre al di sotto dell’agiatezza e dovette spesso ricorrere all’aiuto di amici e discepoli per sbarcare il lunario. Ad un certo punto conobbe una donna, Clotilde De Vaux, della quale si innamorò perdutamente e che morì l’anno dopo. Comte idealizzò la De Vaux, ritenendola come il simbolo di tutta l’umanità e da essa trasse spunto per fondare, nel vero senso della parola, una nuova religione dedita al culto dell’umanità.

Si potrebbe quindi parlare di uno squilibrio psichico di Comte, che specie nella fase finale della vita degenerò in pensieri di tipo paranoide. I pareri su questa “spinosa” questione sono discordi, e sono molti gli studiosi che rifiutano di considerare l’idea dei due Comte, quello “buono” e quello “meno buono”, intravvedendo non solo una certa continuità, ma anche una sorta di legittimità teologica del secondo Comte, anche perchè si potrebbe intendere come l’evoluzione dell’idea di un ritorno al cristianesimo primitivo di Saint-Simon.
Personalmente sono più propenso ad accettare l’idea di una involuzione del pensiero comtiano a partire dalla fatidica decisione del 1838 e dalla davvera singolare convinzione di aver raggiunto la totale comprensione del mondo.
Ciò, ovviamente nulla toglie al valore specifico del contributo dato negli anni precedenti, durante i quali, fortunatamente, non aveva ancora capito tutto ma, solo qualcosa.

Come interpretò i cambiamenti del suo tempo
Comte interpretò la propria epoca come un momento di anarchia morale e spirituale , che produceva caos intellettuale.
Il vecchio ordine spirituale non era stato tanto distrutto dalla rivoluzione francese, quanto dal costante sviluppo della scienza che, nel suo progredire aveva insidiato e poi fatto vacillare il sistema di credenze e sentimenti che tenevano assieme l’ordine aristocratico.
Si poteva fare ben poco per arginare questa crisi e rimettere ordine, se non subentrava un nuovo sistema di idee positive. In questo egli quindi trasse direttamente insegnamento da Saint-Simon.
Scrisse: «E’ giunto infine il momento in cui la mente umana, come ultimo risultato di tutte le sue precedenti fatiche, può portare a compimento la costruzione della filosofia naturale riducendo i fenomeni sociali a teorie positive, come è già avvenuto per tutti gli altri fenomeni.» (Early Essays on Social Philosophy, trad inglese di H.D. Hutton, London 1911.)
Ma, appena formulato questo pensiero della filosofia naturale, dev’essergli apparso inadatto, tant’è vero che egli sentì il bisogno di distinguere la filosofia positiva da quella naturale.
Nell’avvertenza alla prima edizione del Corso scrisse:« L’espressione filosofia naturale è usata, in Inghilterra, per designare l’insieme delle diverse scienze di osservazione, considerate fin nelle loro specialità più dettagliate; invece, per filosofia positiva, comparata alle scienze positive, intendo solamente lo studio proprio delle generalità delle differenti scienze, concepite come assoggettate ad un unico metodo e come tali che formano le differenti parti di un piano generale di ricerca.» (Course, I, XIV-XV)
Mentre la filosofia naturale è per Comte lo spirito del dettaglio, l’analisi del particolare e la singola scienza, la filosofia positiva designa l’esprit d’ensemble, ovvero la scienza dell’insieme e l’espressione di “un colpo d’occhio generale sul cammino progressivo dello spirito umano”. (A.Negri – Introduzione a Comte – cit.)

Egli si propose di effettuare una sorta di rivoluzione scientifica anche nelle scienze politiche e sociali.
Esaminò dapprima molti autori impegnati nella “scienza della società”, soprattutto francesi.
Fu certamente ispirato da Condorcet, per il quale lo spirito umano era capace di perfezionamento indefinito.
«Al perfezionamento delle facoltà umane – aveva scritto Condorcet – non è posto alcun termine e la perfettibilità dell’uomo è realmente indefinita: i progressi di questa perfettibilità – ormai svincolati da ogni potere che volesse arrestarli – non hanno altro termine che la durata del pianeta su cui la natura ci ha collocati. (Esquisse d’un tableau historique, ed 1829 -)
Dopo aver rievocato la “marcia dello spirito umano” dalla preistoria alla rivoluzione francese, Condorcet aveva provato a delineare gli scenari futuri, affermando anche con grande chiarezza perchè bisogna aver fiducia nelle scienze naturali: « Il solo fondamento della credenza nelle scienze naturali è l’idea che le leggi generali, conosciute o ignorate, che regolano i fenomeni dell’universo, sono necessarie e costanti; per quale ragione questo principio sarebbe meno vero per lo sviluppo delle facoltà intellettuali e morali dell’uomo che per le altre operazioni della natura?» ( idem)
Ma soprattutto, anticipando Laplace al punto che il pensiero di questo pare solo una reiterazione di quello del primo vero determinista, Condorcet aveva scritto: «Un’intelligenza che conoscesse lo stato di tutti i fenomeni in un determinato momento, le leggi a cui è sottoposta la materia ed il loro effetto alla fine di un intervallo qualsiasi di tempo, avrebbe una conoscenza perfetta del sistema del mondo. Tale conoscenza supera le nostre forze, ma costituisce il fine a cui devono tendere gli sforzi dei geometri filosofi, che ad essa si avvicineranno sempre più, senza mai sperare di poterla raggiungere.» (idem)
Comte, come vedremo, enuncerà questa costanza delle leggi naturali come un dogma.
Condorcet aveva sperato che la matematica, in particolare il calcolo delle probabilità, potesse venire applicata all’analisi del comportamento umano.
Comte, benchè matematico, cominciò col criticare proprio Condorcet, in quanto la vita sociale è troppo complessa per spiegazioni matematiche. Si potrebbe cogliere in ciò l’embrione di un’istanza antimeccanicistica, in controtendenza rispetto al meccanicismo operante in fisica ed in generale nella filosofia degli scienziati del tempo.
Ma Comte doveva molte delle sue idee sia a Lagrange, sia a Laplace, che erano meccanicisti, sia, soprattutto a Joseph Fourier, un fisico che aveva studiato i processi termici in termini matematici, convinto che solo un progresso della matematica stessa avrebbe condotto a concreti successi anche in campo fisico.
L’idea stessa che si possa dare una scienza della società, scoprendo le leggi naturali del suo funzionamento, insieme al fatto che Comte parlerà di una fisica sociale per definire la sociologia, non dovrebbe pertanto trarci in inganno: nonostante i distinguo, Comte fu ispirato da un’idea regolativa di tipo scientifico-meccanico.
Dal confronto con gli economisti, paladini del nuovo ordine derivante dalla rivoluzione industriale ed assertori del carattere autoregolativo dell’economia e quindi di una liberale politica di laissez-faire, che riduceva al minimo il ruolo dello stato, emerge chiaramente che egli non credeva che la macchina sociale potesse regolarsi da sè.
Pur nutrendo rispetto per Adam Smith e Jean Baptiste Say, Comte trovò angusta per i propri fini la loro concezione sociale, per la quale interesse personale e sociale coincidono.
Comte asserì, in risposta, che non è vero che gli uomini agiscono solo per calcolo. Tuttavia, più tardi egli rivide questa affermazione, bilanciandola con un’altra che la integrava: « La maggioranza degli uomini aspira al potere, quando si trovino nella sua sfera, non come a un fine, ma come a un mezzo. Essi lo apprezzano non tanto per amore dell’autorità, quanto perchè la loro pigrizia e l’incapacità li porta a servirsi degli altri nel perseguimento dei piaceri, anzichè impegnarsi essi stessi nelle fatiche che quelli comportano. »
Inoltre, anche se nel caos sociale vi è una tendenza all’equilibrio, esso non è per nulla automatico e presuppone un ordine morale capace di attenuare gli antagonismi di classe e le rivalità internazionali, di mitigare gli effetti disgregatori della divisione del lavoro sempre crescente.
Sono temi saint-simoniani. Comte pensava che l’economia politica fosse troppo parziale, troppo orientata a cantare le lodi dell’impresa economica, per interpretare correttamente la dinamica sociale.

Che significa positivo?
Per Comte la positività consisteva in un atteggiamento, indubbiamente derivato da Saint-Simon, del tutto opposto a quello della filosofia tradizionale e, come vedremo, centrato sul rovesciamento del rapporto tra immaginazione e osservazione.
Questo consentiva di vincere l’anarchia attraverso una riorganizzazione del sapere basata sulla positività. Positivo è il reale contrapposto al chimerico, l’utile opposto al vano, la certezza opposta all’indecisione, il preciso opposto al vago. «In una parola – scrive Stefano Poggi – la “vera filosofia moderna” – che specula ed agisce ad un tempo – è positiva perchè è volta “non a distruggere, ma ad organizzare”; la “vera filosofia moderna” manifesta come “propria tendenza necessaria” “quella di sostituire dovunque il relativo all’assoluto”. » ( sta in: Stefano Poggi – Il positivsmo – Laterza – ristampa del 1999)
Non solo, il carattere proprio della filosofia moderna consiste nell'”apprezzare il valore che è proprio delle teorie che le sono opposte.”
In queste considerazioni credo sia veramente il contributo fondamentale che Comte diede alla storia del pensiero filosofico.
Affermare, infatti, la relatività del pensiero, significa contestare alla radice il difetto di tutte le teologie e di tutte le metafisiche, ovvero la convinzione che il sapere umano sia in grado di raggiungere la conoscenza assoluta, e che vi sia qualche uomo, particolarmente dotato, in grado di spiegarla ad altri uomini.
« La politica teologica e la politica metafisica, malgrado il loro antagonismo pratico, – scrive Comte – possono qui senza il minimo inconveniente reale essere abbracciate in una considerazione comune, poichè in fondo, dal punto di vista scientifico, la seconda non costituisce in verità che una modifica generale della prima , dalla quale non differisce essenzialmente che per un carattere meno deciso, come abbiamo già riconosciuto per gli altri fenomeni naturali, e come constateremo sempre più nei fenomeni sociali.»
Dopo aver osservato, a tal proposito, che sia in metafisica, che in teologia, vi è “supremazia dell’immaginazione sull’osservazione; e quanto alla dottrina, nella ricerca esclusiva di concetti assoluti”, Comte afferma ancora: «In breve, lo spirito generale di tutte le speculazioni umane, allo stato teologico-metafisico, è necessariamente ideale nel cammino, assoluto nella concezione e arbitrario nell’applicazione. Ora, non si potrebbe in alcun modo dubitare che tali siano ancor oggi i caratteri dominanti dell’insieme delle speculazioni sociali, da qualunque punto di vista si considerino.»
Aggiunge Comte: «Infatti, la filosofia positiva è innanzitutto profondamente caratterizzata, in qualsiasi soggetto, da questa subordinazione necessaria e permanente dell’immaginazione all’osservazione, il che costituisce soprattutto lo spirito scientifico propriamente detto, in opposizione allo spirito teologico o metafisico.» (Corso di filosofia positiva – U.T.E.T. -Torino, 1967 – vol. I pp. 202)

Il modo positivo di filosofare è per Comte una “spontaneità elementare” che coincide con “i primi esercizi pratici della ragione umana.” (Poggi – idem)
In questa rottura con la pratica metafisica di derivare giudizi assoluti, astratti da ogni concretezza, da ogni dato, da ogni osservazione aderente alla realtà, sta la vera novità della filosofia di Comte.

La legge dei tre stadi
Tutte queste considerazioni saranno più chiare, se ricordiamo che fin dalle opere giovanili Comte elaborò una dottrina conosciuta come legge dei tre stadi che contraddistinse la sua filosofia ed in un certo senso ne costituì anche il fondamento. Secondo questa legge lo spirito umano si sviluppa secondo stadi riconoscibili come fase teologica, o fittizia; fase metafisica o astratta, e fase scientifica o positiva.
Lo stadio teologico corrisponde all’infanzia dell’umanità, la quale è portata a cercare le cause prime dei fenomeni in agenti sovrannaturali, cioè negli dei, negli spiriti e nelle anime, nel sovrannaturale ed infine nell’unico Dio della religione monoteistica.
Nello stadio metafisico, che corrisponde a quello della giovinezza e per l’umanità corrisponde al periodo dei principi inaugurato dalla rivoluzione francese ( ma che fu avviato dalla Riforma protestante), gli uomini cercano ancora cause remote e primigenie, ma abbandonano il terreno mitologico per quello dei principi e dei concetti astratti. In Saint-Simon, ad esempio, i diritti dell’uomo, la libertà e l’uguaglianza, erano principi astratti e non principi positivi.
Comte sottolinea come al posto degli dei vengano poste come principi delle entità, entitès. Ogni fenomeno nella fase metafisica è riconducibile a principi di questa natura, siano esse la virtù morali presentate da Platone come idee, siano essi, per l’appunto i principi politici, siano soprattutto i concetti delle scienze nella loro fase metafisica, si pensi all’alchimia ed all’astrologia, principi per i quali, ad esempio, la situazione planetaria determinava il carattere ed il destino dell’individuo.
Infine, nello stadio positivo, che per il singolo corrisponde all’umanità, e per l’umanità coincide con l’inizio della stessa filosofia comtiana (una vera dimostrazione di modestia), gli uomini non cercano più le cause prime e straordinarie, ma si attengono ai fatti, cercando solo leggi di natura e comportamenti costanti, privilegiando osservazione e ragionamento.
La filosofia adeguata a questa nuova fase è la filosofia positiva, il positivismo battezzato da Saint-Simon. Il positivismo rinuncia pertanto ad ogni teologia e metafisica, anche se non le rinnega, riconoscendole, anzi, come necessarie al raggiungimento dello stadio positivo.
Si potrebbero fare molte considerazioni contrarie a questa suddivisione granitica della storia in blocchi. La prima delle quali potrebbe essere quella che siccome teologi e metafisici sono tra noi, e non sono fossili viventi, ma gente attiva, gente che comunica le proprie idee, gente che vive, ed apporta contributi alla conoscenza, forse le cose non sono così semplici.
Il problema è che Comte finì con l’identificare scienza e ragione, o meglio: scienza e logica; cosa che la stessa storia del positivismo mostra come non vera.
Il Saggio sulla libertà di John Stuart Mill, ad esempio, non è metafisico, ma nemmeno può dirsi scientifico; semplicemente pare uno scritto ragionevole, una speculazione intellettuale vivace e profonda su dati, ovvero fatti positivi, che però non ha carattere di certezza garantita da alcuna scienza.
Comte, al contrario di Mill, manifesta un sovrano disprezzo per siffatti ragionamenti empirici. Parlando dell’induzione scriverà: « La sua preponderanza esagerata diventerebbe ben presto rovinosa, consacrando il puro empirismo, tendenza ordinaria delle regole induttive che sono astrattamente concepite. Ma il vero regime positivo scarta naturalmente questo pericolo, per il fatto stesso che non separa mai la logica dalla scienza.» Sistema di politica positiva – I, VII, pp 518)

La dottrina della scienza
La scienza ha per Comte la funzione di stabilire il dominio dell’uomo sulla natura. Ciò non significa che la scienza abbia solo una funzione pratica. Al contrario, Comte riconosce il carattere speculativo della scienza e la distingue nettamente dalla tecnica pratica.
Per Comte è anzi fondamentale distinguere veri filosofi e uomini di scienza dalla equivoca categoria di “quelli che vogliono fungere da intermediari tra filosofi ed ingegneri”. “Ad una tale classe – scrive Antimo Negri – non appartengono né i filosofi, autentici savants, né gli ingegneri. L’uomo di scienza, quello veramente tale, sa di recare offesa alla scienza che coltiva non appena tende ad assumere il ruolo dell’ingegnere. Quest’ultimo ha già a che fare con le operazioni industriali; l’uomo di scienza, invece, deve mantenersi nell’ambito puro delle speculazioni scientifiche.” ( A. Negri – cit)
Questo pensiero che rimarca la discriminazione tra intellettuali puri e intelletti praticoni, tra “teorici” e “pratici”, ovviamente, non aiuta a ricomporre l’individuo nella prassi e verrà severamente contestata da Marx.
Ma nel momento stesso in cui questa divisione assurda viene negata a vantaggio del diritto di ogni individuo ad essere ad un tempo teorico e pratico, è altrettanto vero che sarebbe scorretto non vedere in questa posizione comtiana anche una strenua difesa dell’autonomia della scienza dall’invasività del momento economico, e quindi da una possibile strumentalizzazione della scienza al profitto.

Lo scopo della scienza è formulare leggi. Solo la legge permette la previsione, e solo la previsione guida l’azione dell’uomo sulla natura. « Insomma, scienza, donde previsione; previsione, donde azione: tale è la formula semplicissima che esprime in modo esatto la relazione generale tra la scienza e l’arte (l’azione, ndr), prendendo questi due termini nella loro accezione totale.» (Corso di filosofia positiva, vol I)
La ricerca di leggi, precisa Comte, e non di fatti puri e semplici, rappresenta dunque il carattere distintivo dell’impresa scientifica.
Ciò esclude Comte dall’area dell’empirismo e spiega tutte le differenze rispetto al positivismo inglese, che si rifarà espressamente a Bacone ed a Locke, oltre che alla tradizione degli economisti classici, da William Petty ad Adam Ferguson, al suo allievo Adam Smith.
Per Comte – scrive Stefano Poggi – l’empirismo è nemico come il misticismo della scienza positiva. «L’empirismo è infatti capace solo di una “vana erudizione che accumula in modo meccanico fatti senza aspirare a dedurli gli uni dagli altri.” La scienza è scienza perchè, avendo per oggetto la scienza dei fenomeni, supera il piano della semplice osservazione diretta. » ( sta in: Stefano Poggi – Il positivsmo – Laterza – ristampa del 1999)
Questa è una critica che potrebbe riguardare più Hume che tutto l’empirismo.
Comte scrive, addirittura, che : « Si può anche dire generalmente che la scienza è essenzialmente destinata a dispensare , sino al punto in cui diversi fenomeni lo comportano, da ogni osservazione diretta, permettendo di dedurre dal più piccolo numero possibile di dati immediati il più grande numero possibile di risultati. » (Corso…, vol. I)
Infatti scrisse ancora: « Lo spirito positivo, senza misconoscere mai la preponderanza necessaria della realtà direttamente constatata, tende sempre ad aumentare il più possibile il dominio razionale a spese del dominio sperimentale, sostituendo sempre più la previsione dei fenomeni alla loro esplorazione immediata.» (Corso…, vol. I)
Un primo problema consiste in questo, l’idea di scienza che Comte presentò non solo cozza con l’attuale corso delle scienze, ma non rappresentava nemmeno la realtà della scienza ai tempi di Comte, la quale stava per l’appunto passando, come in medicina e biologia, da un metodo fondato su vecchie, presunte, leggi naturali, ad uno fondato sull’osservazione e l’esperimento. Uno dei punti focali del nuovo corso della scienza era stato il chimico Lavoisier. Ma, come vedremo, Comte darà un giudizio piuttosto negativo di Lavoisier.

Per la verità, nel Discours sur l’esprit positif, composto nel 1844 e considerato come il manifesto del positivismo, Comte asserirà qualcosa di leggermente diverso, osservando che lo spirito umano era ormai pervenuto a riconoscere come regola fondamentale che ogni proposizione non riducibile alla pura e semplice enunciazione di un fatto è destituita di ogni senso.
Ed inoltre, affermerà che gli stessi principi di cui si avvale la logica speculativa non sono altro che fatti, sebbene di carattere generale. Nel tempo, dunque, nella concezione della scienza di Comte, sembra che i fatti abbiano ripreso importanza, e le leggi ne abbiano persa.
Poggi descrive questa fase più aperta al metodo empirico, dovuta probabilmente al confronto con Stuart Mill, nei seguenti termini: «E’ vero che le teorie scientifiche tendono a realizzare una rappresentazione sempre più “esatta” di ciò che è oggetto della ricerca. Ma ciò non significa che sia possibile cogliere la “vera costituzione” di tale oggetto: la “perfezione scientifica” è direttamente proporzionale ai nostri “bisogni reali” e si può solo avvicinare ad un “limite ideale”. Tale mancanza di pretesa all’assoluto non comporta però il carattere arbitrario dei mutamenti presentati dalle dottrine scientifiche considerate nella loro evoluzione storica. Le teorie possono mutare, ma nei loro mutamenti danno luogo a teorie corrispondenti, che conservano – e spontaneamente -una attitudine indefinita a rappresentare i fenomeni che stanno alla loro base, potremmo dire, a darne una interpretazione. » (idem)

In altre parole: per Comte le teorie scientifiche elaborate dall’uomo sono relative, mentre le leggi naturali sono costanti. Rispetto a queste ultime, infatti, Comte formula un dogma, presentandolo proprio come dogma.
Il principio della filosofia positiva è il dogma generale dell’invariabilità delle leggi naturali. (Poggi)
In questa contrapposizione tra teoria scientifica, con carattere relativo, e legge naturale, con carattere oggettivo, non posto quindi dall’uomo nelle cose, ma esistente nelle cose, indipendentemente dall’uomo, potremmo avere un reale superamento di Kant e della sua affermazione secondo la quale si può aver scienza solo dei fenomeni, ma non delle cose in sè. Le leggi naturali sarebbero per Comte cosa in sè, o quantomeno una parte rilevante di essa. L’idea è interessante.
Si pensi che, molto più tardi, Max Planck, il fisico che studiò le emissioni di energia da un corpo nero, passò attraverso una simile congettura, la quale rivoluzionò il pensiero kantiano e , in un certo senso, fu alla base della fisica quantistica. Con la quantistica siamo al paradosso che si può avere scienza delle leggi, cioè delle cose in sè, ma non dei fenomeni subatomici, rispetto ai quali varranno il principio di indeterminazione di Heinseberg e quello di complementarietà, almeno per ora…

Questa tensione tra teoria soggettiva e legge oggettiva si esplicitò in alcune considerazioni sullo spirito umano, con immediato carattere storico, che paiono, al contrario, abbastanza criticabili.
Per Comte bisognava guardarsi dall’illusione di penetrare il mistero della produzione dei fatti generali. Era sufficiente guardare alla storia delle scienze per capire che il tentativo dei filosofi di riunificarle in un unico sapere era fallito. E con esso il tentativo di afferrare completamente la struttura della realtà.
Frenare questa tendenza dello spirito, che, secondo Comte, non è forza, ma debolezza, era necessario, onde evitare che l’uomo si facesse un sapere illusorio, a suo uso e consumo. L’indagine scientifica, per Comte, avrebbe messo in evidenza che la realtà del mondo è molto meno legata, nel senso di meno connessa parte a parte, di quanto non lo supponga, o lo desideri il nostro intelletto.
Per questo, in una considerazione, più vicina all’empirismo che al razionalismo, Comte cercò di delimitare lo spazio dell’immaginazione, ma forse intendeva imporre proprio dei limiti alla logica induttiva, a quella deduttiva ed alla ricerca in generale.
E qui occorre valutare questo passo quantomeno inquietante: « …le leggi naturali, vero oggetto delle nostre ricerche, non potrebbero rimanere rigorosamente compatibili, in nessun caso, con una investigazione troppo dettagliata.» (Corso… VI vol. p.638)
Non v’è dubbio che sulla maturazione di questo pensiero esercitò una certa influenza il fisico Joseph Fourier, le cui ricerche sui fenomeni termici avevano condotto ad una presa di distanza dal determinismo meccanicista di Laplace. Per Fourier era necessario sostituire il modello della causa con un modello matematico-descrittivo, che rinunciasse alle spiegazioni e si limitasse a descrivere i processi. Ciò di fatto rimetteva in discussione il primato della meccanica laplaceana, e, semmai rilanciava la funzione essenziale della matematica. E’ singolare, tuttavia che proprio la matematica di Fourier non piacque ai matematici.
Nel 1807 aveva inviato una lunga memoria Sulla propagazione del calore all’Institut de France. Ma Lagrange criticò così aspramente il manoscritto che esso, invece di venir pubblicato, finì in archivio. Solo nel 1822, dopo lunghe revisioni, venne pubblicata la Théorie analytique de le chaleur, opera fondamentale nella storia della fisica.
In questo quadro si spiega l’importante osservazione che svolge Antimo Negri: « […] le spiegazioni positive riguardano e devono riguardare “non le cause generatrici dei fenomeni”, bensì l’analisi esatta delle “circostanze della loro produzione” e la connessione degli uni e degli altri “attraverso relazioni normali di successione e similitudine”. (da Introduzione a Comte – Laterza – Bari, 1997)

Comunque sia, Comte non considerò la distinzione cartesiana tra cosa sono le cose per noi e cosa sono le cose in sè, la quale era di tipo strumentale, cioè dettata dall’uso che facciamo delle cose, quindi dal loro valore d’uso, dalla loro utilità. E gli mosse dalla distinzione kantiana tra fenomeno e noumeno come contrapposizione tra ciò che , come soggetti, percepiamo e razionalizziamo della realtà, e ciò che esiste al di là delle nostre stesse percezioni, cioè il noumeno, o cosa in sè. Occorre ricordare che Kant era molto convinto che noi stessi mettiamo nella realtà gli elementi distintivi della conoscenza, ed io non trovo di meglio che fare un esempio di questo tipo per spiegarlo: quando andiamo a comprare un’auto, noi non la conosciamo per quello che è, ma attraverso categorie che paiono oggettive, ma che sono in realtà state elaborate dall’esperienza umana, cioè le caratteristiche della velocità, della tenuta di strada, del comfort e così via. Dopo, quando la usiamo, la conosciamo anche sperimentalmente, ma anche così, non conosciamo l’auto in sè, ma solo questa auto, le sue prestazioni in quel dato momento, le sue qualità ed i suoi limiti.
le cose vanno ancor peggio in natura, perchè la natura non è un auto, cioè un prodotto tecnologico noto, ma un mistero che ci circonda e di essa sappiamo solo quello che millenni di osservazioni ci hanno trasmesso, secondo le categorie che l’uomo stesso si è dato. Queste categorie sono relative e non assolute, salvo quelle che sono a priori secondo Kant, ovvero quelle di spazio e di tempo.
In proposito Nicola Abbagnano scrive: «Comte riconosce a Kant il merito di aver per primo tentato di sfuggire all’assoluto filosofico “con la sua celebre concezione della doppia realtà, insieme soggettiva ed oggettiva.” Ma lo sforzo di Kant non è stato coronato da successo e l’assoluto è rimasto in filosofia. Soltanto la “sana filosofia biologica” ha fatto constatare che anche le operazioni dell’intelligenza, nella loro qualità di fenomeni vitali, sono inevitabilmente subordinate alla relazione fondamentale tra l’organismo e l’ambiente, il cui dualismo costituisce, sotto tutti i rispetti, la vita. Per questa relazione, tutte le nostre conoscenze reali sono relative da una parte all’ambiente, in quanto agisce su di noi, dall’altra parte all’organismo in quanto è sensibile a questa azione.» (Storia…vol V)
Se siamo il prodotto di questa doppia azione, si deve ammettere l’evoluzione intellettuale dell’umanità e riconoscere che essa è soggetta alla trasformazione graduale dell’organismo. Ogni passo nell’evoluzione comporta il cambiamento delle categorie intellettuali utilizzate in precedenza. Per Comte, dunque, le teorie migliorano con l’evoluzione intellettuale, si badi, e non biologica, perchè Comte rifiutò le teorie trasformistiche lamarckiane, e ci portano ad una più precisa rappresentazione delle leggi naturali.

Il dogmatismo comtiano
Queste idee, secondo Abbagnano, assicurarono per lungo tempo il successo della dottrina della scienza di Comte, ed in effetti, proprio dando un giudizio nel merito, anche a me pare che fin qui, siano, almeno in parte, stimolanti, se non del tutto valide, e feconde.
Tuttavia queste idee, sempre secondo Nicola Abbagnano, servirono come base ad un tentativo di porre limitazioni arbitrarie e dogmatiche alla stessa ricerca scientifica.
Comte polemizzò contro l’eccessiva specializzazione delle scienze, ed avrebbe voluto immobilizzare la scienza sulle sue posizioni più generali ed astratte, sottraendole ad ogni ulteriore dubbio o indagine. Condannò indiscriminatamente tutti i lavori sperimentali che avrebbero portato all’anarchia scientifica.
In definitiva: « [Comte] … vorrebbe determinare per ogni genere di osservazione “il grado conveniente di precisione abituale, al di là del quale l’esplorazione scientifica degenera inevitabilmente, per un’analisi troppo minuziosa, in una curiosità sempre vana e qualche volta gravemente perturbatrice.”
A Comte non passa nemmeno per la testa che è proprio la ricerca minuziosa e la curiosità sempre vana a portare faticosamente le teorie ad approssimare la verità.
Diamo un esempio delle censure comtiane: in astronomia bisogna limitarsi allo studio del sistema solare e limitarsi allo studio delle leggi geometriche e meccaniche dei corpi celesti. Comte giustifica questa limitazione col fatto che la scienza non può perturbare l’armonia costante e necessaria tra i nostri bisogni intellettuali e le nostre conoscenze. In altre parole: guai a turbare la nostra coscienza con immagini e pensieri sconvenienti come la teoria lamarckiana dell’evoluzione, o con l’uso del microscopio per avventurarci nel mondo dei microorganismi.
Nel Sistema di politica positiva e negli scritti minori espressi nella seconda parte della sua vita, Comte accentuò il carattere dogmatico e prescrittivo del suo pensiero sulla scienza.
Avrebbe voluto proscrivere gli studi che non tendono a migliorare o a meglio determinare le leggi dell’esistenza umana. Ciò che non è utile all’uomo, va impedito. L’ottica non deve studiare le interferenze, l’acustica non deve occuparsi degli incroci analoghi alle interferenze ottiche. Il chimico Lavoisier viene accusato di spirito metafisico, i lavori della chimica vengono condannati come dispersivi. « …l’usurpazione della fisica da parte dei geometri, della chimica da parte dei fisici, e della biologia da parte dei chimici, sono semplici prolungamenti successivi di un regime vizioso. » (Sistema di politica positiva)
Esso ha rinnegato il fondamento dell’enciclopedia scientifica e cioè che ogni scienza inferiore non dev’essere coltivata se non in quanto lo spirito umano ne necessita per elevarsi solidamente alla scienza seguente, “fino a a giungere allo studio sistematico dell’Umanità, sola sua stazione finale.” (idem)

Il ruolo della filosofia e la successione delle scienze.
Per Comte, proprio nel quadro della nuova filosofia positiva da lui inaugurata, il ruolo stesso della filosofia si riduce notevolmente.
Essa ha solo più il compito di studiare le relazioni e le connessioni tra le varie scienze, ed in particolare di scoprire i principi comuni ad esse. Non è più la filosofia un sapere distinto dalla scienza, quale pretendeva di essere la metafisica, ma un sapere di sapere, di sapore universale, che dovrebbe inoltre porsi al servizio della politica e offrirle i suggerimenti necessari a trasformare l’intera società. In ciò si troverà che le posizioni di Engels sulla filosofia espresse nell’Antidühring, non saranno poi così distanti da queste, nonostante Marx le avesse trovate, in prima istanza, semplicemente criticabili.
“Come uomo di partito” Marx prese “una posizione assolutamente ostile” al comtismo e in una lettera ad Engels scrisse che occorreva occuparsene “poichè gli inglesi ed i francesi facevano tanto chiasso intorno a questo tizio”. (Lettera 7-7-1866 – Carteggio Marx-Engels, vol IV – Roma 1950-1953) E “come uomo di scienza” Marx nutrì “una molto mediocre opinione” di Comte.
La sociologia comtiana apparve a Marx non come una scienza sociale borghese, come l’economia classica, ma come una vera e propria ideologia reazionaria.

Ovviamente anche le singole scienze, secondo Comte, si sono sviluppate secondo la legge dei tre stadi, ma siccome nell’evoluzione dello spirito umano, ognuna di esse giunse al suo stadio positivo in tempi diversi, Comte affermò che ciò dipendeva dalla semplicità del loro oggetto. Arrivarono prima quelle con oggetto più semplice e più generale, e per ultime quelle che hanno per oggetto temi complessi e più particolari.
Per questo la scienza arrivata prima all’appuntamento con lo stadio positivo fu la matematica, che era già positiva ai tempi dei greci perchè passò molto presto dalla metafisica pitagorica alla positività euclidea.
In età moderna giunse ad uno stadio positivo la fisica celeste, ovvero l’astronomia, grazie a Copernico, Galileo, Kepler e Newton. In seguito fu la fisica, considerata da Comte come scienza della terra e delle forze inorganiche, suddivisa da lui stesso in una statica, cioè scienza dell’equilibrio delle forze, ed in una dinamica, ovvero lo studio dei movimenti prodotti dalle forze.
La chimica era per Comte un ramo particolare della fisica, quella che studia la composizione elementare dei corpi.
Sia la fisica che la chimica erano pervenute allo stadio positivo grazie al ricorso alla matematica compiuto da scienziati come Pascal e Newton in campo fisico.
Per ultima venne la biologia, che Comte considera ancora come un’estensione della fisica terrestre, la quale affronta lo studio della parte organica della materia, cioè gli esseri viventi. Anch’essa comprende una statica, l’anatomia, ed una dinamica, o fisiologia, che si dedica in particolare allo studio degli organismi.
Ora, per Comte, toccava allo studio delle società umane, cioè alla sociologia, uscire dalle secche della metafisica e dei principi astratti proclamati dalla rivoluzione francese, per entrare in una fase positiva.

La sociologiacome fisica sociale
La statica sociale è lo studio fondamentale delle condizioni di esistenza di una società.
Qualsiasi sistema esige coerenza ed armonia interna. Il suo carattere non intellettuale ma, affettivo, è emblematico nell’unità di base, che non è l’individuo, ma la famiglia. Nella famiglia va cercata la divisione del lavoro basata sul sesso e sull’età.
Nella famiglia deve trovarsi quella solidarietà sociale, union véritable, sostanzialmente morale e del tutto secondariamente intellettuale, che è diretta a soddisfare senz’altro l’insieme dei nostri istinti di simpatia, indipendentemente da ogni preoccupazione circa la cooperazione attiva e continua per il raggiungimento di un fine qualsiasi.
Comte si oppone al divorzio, postula la subordinazione della donna all’uomo e quella dei figli ai genitori.
Si oppone alla libertà illimitata, che considera un principio non scientifico, sia all’uguaglianza, che considera causa di disordine e di anarchia. Comte non crede che qualsiasi individuo possa svolgere qualsiasi funzione. Da questo tipo di posizioni emergono le riserve comtiane nei confronti delle dottrine democraticiste e socialiste del ’48 e si spiega anche il suo successivo appoggio a Napoleone III.

La dinamica sociale diviene in Comte una vera e propria filosofia della storia centrata sull’idea di progresso.
Nell’antichità e nel medioevo l’umanità è vissuta nello stato teologico. Il potere materiale era concentrato nelle mani dei militari e quello spirituale dai sacerdoti. Questo stadio è entrato in crisi con la Riforma Protestante – secondo Comte – ma solo la Rivoluzione francese ha aperto la via, praticamente, allo stadio metafisico della storia umana.
Ma il momento rivoluzionario è solo un momento critico, una fase di delicata transizione. Per di più, questa transizione non ha avuto fino ad allora gli esiti sperati. Un nuovo ordine “positivo” – secondo Comte – potrà realizzarsi solo nella età nuova uscita dalla sconfitta di Napoleone I, grazie alla diffusione della filosofia positiva. Tutta la vita sociale dovrà essere governata dalla scienza, quindi dal sapere positivo; il potere politico dovrà essere affidato agli industriali, dovrà sparire ogni forma di schiavitù, sia quella antica, sia quella moderna basata sullo sfruttamento coloniale del mondo e dei capitalisti sugli operai.
Se questi sono gli auspici, occorre tuttavia considerare che non si tratta solo di proclami demagogici fatti da un balcone.
Comte non fu mai, nemmeno ai tempi della svolta mistica, un agitatore politico.
Dietro a questa sequela di slogan c’è un’analisi per certi aspetti grossolana e per altri sorprendentemente fine; dice ad esempio che “la cooperazione volontaria, lungi dall’aver dato origine alla società, la presuppone”.
L’idea di progresso non può essere disgiunta da quella di società. Essa spiega il sorgere di uomini di genio, quelli che Hegel aveva definito “individui della storia cosmica” e l’interpretazione che ne da Comte è analoga a quella hegeliana.
Scrive in proposito Nicola Abbagnano: «Gli uomini di genio non sono che gli organi propri del movimento prederteminato, il quale, nel caso di una loro mancanza, si sarebbe aperto altre vie. Il progresso realizza un perfezionamento incessante, per quanto non illimitato, del genere umano; e questo perfezionamento segna la ” preponderanza crescente delle tendenze più nobili della nostra natura.” » (Abbagnano -idem)
Il progressivo perfezionamento non implica che vi sia nelle età precedenti una qualche imperfezione. Come in Hegel la storia è in ogni suo momento ciò che deve essere.
Anzi, dichiara che senza sua necessaria compiutezza la storia stessa sarebbe incomprensibile. A tal proposito non esita a citare De Maistre: “tutto ciò che è necessario esiste.”

Tuttavia non mancano in Comte anche motivi di preoccupazione; sono le ragioni per cui la storia del progresso reclama la nascita della sociologia.
Con il progredire della divisione del lavoro, i legami morali che tengono unita una società vanno allentandosi e s’impone un più vasto controllo sociale per supplire alle carenze di armonia sociale, che diviene sempre meno automatica. Una vera scienza sociale, dunque, lungi dal presupporre nella società moderna la naturale identità degli interessi, coglie nell’evoluzione industriale la tendenza verso la dissoluzione dei vincoli di solidarietà sociale di fronte all’interesse personale e di classe, e passa alla prescrizione di rimedi sociali necessari essendo consapevole, per la conoscenza della statica sociale, che gli elementi che compongono l’organismo sociale non possono venire astratti senza danno dal funzionamento del tutto.
Sotto questo punto di vista il futuro regime sociologico appare inevitabile. Ed è inquietante che esso manifesti diversi punti in comune con la Repubblica platonica. Il regime sociologico imporrà una restrizione delle libertà, in particolare dovrà essere limitata e persino abolita la libertà di ricerca, di indagine e di critica.
Scrive Comte: «Storicamente considerato il dogma del diritto universale, assoluto e indefinito di esame è solo la consacrazione, sotto forma viziosamente astratta comune a tutte le concezioni metafisiche, dello stato passeggero della libertà illimitata, nel quale lo spirito umano è stato spontaneamente collocato per una conseguenza necessaria dell’irrevocabile decadenza della filosofia teologica, e che deve durare naturalmente fino all’avvento sociale della filosofia positiva.» Detto in soldoni: la filosofia positiva dovrà fare quello che teologia e metafisica non possono più fare, ovvero mantenere l’ordine. Quale prova di sfiducia più grande nel cosiddetto spirito umano e nel progresso? La verità era che Comte temeva il progresso e non era affatto sicuro che lo spirito umano fosse quello da lui descritto.
Con questi presupposti si comprende assai meglio il conclusivo delirio mistico della parabola comtiana.

Il delirio nella religione dell’umanità
Nel finale della sua grama esistenza Auguste Comte abbandonò completamente il nostro mondo per volare in una dimensione mistico-religiosa. Convinto del ruolo insostituibile della religione, forse perchè gli uomini hanno necessità di oggetti di culto e di riti per orientarsi, e perchè pensava ad un ruolo repressivo o educativo della religione, in sostanza moralistico, egli propose di sostituire la vecchia religione con una nuova e si fece apostolo di questa.
Ora che un ateo si proponga di fondare una religione è cosa che può lasciar perplessi od incuriosire, a seconda dei casi.
Io credo che la storia di quest’ultima fase sia così psichicamente inquinata che non sarebbe del tutto fuori luogo stendere un pietoso velo e consegnare il dossier agli psichiatri. Si pensi solo al fatto che Comte morì a causa di emoraggia interna dovuta a debolezza e la debolezza era dovuta ad un’assurda dieta, una sorta di digiuno mistico.
Comte fondò una chiesa, della quale si proclamò Sommo Pontefice, proclamò santi e beati alcuni scienziati ed il bello di questa storia è che la chiesa trovò adepti in Inghilterra e Brasile e sopravvisse alla morte di Comte per alcuni decenni.
La divinità della nuova religione era per Comte l’umanità stessa, tema non nuovo perchè affrontato con ben altri mezzi speculativi da David Strauss in Germania.
Il problema è che Comte, avrebbe potuto svolgere una vera critica della religione, ed invece, non solo non ci provò nemmeno, ma ripropose il tentativo che da sempre caratterizza i grandi paranoici: farsi Dio essi stessi, o male che vada, o profeti o sommi sacerdoti di qualche principio. Forse non è nemmeno esatto parlare di una religione senza Dio perchè, in fondo, il Grande Essere di cui parla Comte, non è altro che il secondo Adamo di cui parlò San Paolo nella Lettera ai Romani, ovvero il Sommo Sacerdote che immola sè stesso all’umanità tutta secondo l’interpretazione della complessa teologia della Lettera agli Ebrei.
Va da sè che se questa interpretazione è vera, Comte non fece che portare alle estreme conseguenze la teologia paolina dell’immanenza divina nell’uomo, una teologia che ha come passo successivo, a mio parere inevitabile, la divinizzazione dell’uomo, anzichè l’unico vero senso attribuibile al cristianesimo dei vangeli, ovvero l’umanizzazione di Dio, il vero Dio che decide di farsi uomo per ricomporre l’alleanza rotta unilateralmente dagli uomini, e che da essi venne rifiutato.
Ora, che uno ci creda o no, non è un problema. Il problema è che si è ad una mistificazione del cristianesimo se si presenta Cristo come un tizio che si immola ad un Dio assetato di sangue, ovvero l’umanità assetata di altruismo di Comte.

Contro il soggettivismo e lo psicologismo: Geymonat su Comte
Su Comte scrisse osservazioni assai interessanti e “fuori dal coro” Ludovico Geymonat ( sta in: Filosofia e filosofia della scienza – prima edizione 1960 – Feltrinelli – Milano,1960).
Riporto questo lungo passaggio perchè evidenzia alcuni meriti comtiani con concisione e lucidità che ben si prestano a considerazioni conclusive.
Tra l’altro: « Cercherò di provare come – accanto a molte scorie – si trovino nel suo pensiero, a proposito del problema dell’unità e distinzione delle scienze, alcuni spunti ricchi di rara modernità.
Innanzi tutto è il suo stesso punto di partenza che mi sembra assai degno di rilievo. Esso non è più costituito – come negli Enciclopedisti – da una una teoria generale delle facoltà conoscitive dell’uomo che, secondo Comte, imprimerebbe alla sistematizzazione del sapere un carattere pericolosamente soggettivistico (sono ben note le critiche del nostro contro lo “psicologismo” e l'”astrattivismo” di tutta la filosofia empiristica inglese); il punto di partenza della classificazione comtiana è invece l’analisi delle scienze (considerate quali fenomeni incontestabili del mondo moderno) e dal laborioso processo attraverso cui sono costituite.
Con ciò il fondatore del positivismo francese esprime la presa d’atto – da parte del pensiero filosofico europeo – della nuova realtà storica del mondo moderno; le scienze esistono, si sviluppano in base a proprie leggi, posseggono una indiscutibile certezza comprovata dai loro continui successi, improntano di sè la la nostra civiltà. Non ha senso pretendere di fondarle su indagini (di natura psicologistica o di natura metafisica) intorno alla mente umana; bisogna, al contrario, ricavare la soluzione dei classici problemi del conoscere dallo studio oggettivo delle scienze. Uno di questi problemi concerne, ad esempio, la possibilità di pervenire a conoscenze universali intorno all’esperienza: alcuni filosofi pensarono di risolverlo in base ad un ipotetico “principio di induzione”, altri in base a forme a priori dello spirito; Comte sostiene invece che, così posto, il problema non regge. In realtà, secondo lui, tali conoscenze sono semplicemente il frutto del graduale, progressivo affermarsi delle scienze: finchè queste – con le loro leggi sempre più numerose e più solide – non esistevano, le pretese “conoscenze universali intorno all’esperienza” non erano che pure illusioni e il problema della loro possibilità non era altro che un problema astratto, tipicamente metafisico. Esso va dunque sostituito dall’indagine ben più precisa sull’origine e sul determinarsi del concetto di legge entro la ricerca scientifica.
Orbene, basta un breve sguardo alla ricerca scientifica del proprio tempo – Comte vive infatti nella prima metà dell’Ottocento, entro l’ambiente della celebre Ecole Polytechinique di Parigi – per convincere il Nostro che la scienza si è venuta determinando, nel suo graduale sviluppo storico, non come scienza unica ma come complesso di varie scienze. In altri termini: la molteplicità delle scienze costituisce per lui un fatto storico, certo ed inoppugnabile. Il problema non sarà quindi quello di dimostrare – a partire da uno studio astratto della facoltà conoscitive dell’uomo – come la nostra conoscenza possa articolarsi in rami tra loro diversi; ma di dimostrare in che senso e su quale fondamento si possa ancora parlare oggi – malgrado l’effettiva esistenza di varie scienze – di una loro relativa unità. Occorrerà, cioè, esaminare con una rigorosa precisione le differenze di metodo e di oggetti delle singole scienze, le leggi del loro sviluppo interno , i nessi dell’una con l’altra, per decidere se esse formino un insieme disorganico di nozioni moltiplicabili all’infinito, o se invece formino un tutto organico, sostanzialmente unitario nella sua molteplicità.
E’ ben nota la risposta che Comte si ritenne in grado di dare alle questioni sovraccennate. Anzitutto egli credette di poter distinguere nettamente fra le scienze fondamentali ( in numero di sei, poi accresciuto a sette per l’aggiunta dell'”etica”) e le discipline particolari che sorgono e si moltiplicano nell’ambito delle precedenti, sulla base di distinzioni puramente tecniche e non di principio.
Il problema di una sistemazione rigorosa sorgerebbe – secondo lui – solo relativamente alle scienze fondamentali, non alle discipline secondarie, e si troverebbe risolto dalla famosa classificazione (matematica, astronomia, fisica, chimica, biologia, sociologia) fornita di un indiscutibile carattere di naturalità, perchè fondata sull’esame dei vari ordini di fenomeni e sulle loro reciproche dipendenze. Dal punto di vista metodologico, i legami tra le varie scienze consisterebbero essenzialmente in ciò: che i risultati di ciascuna fungerebbero da strumenti per le successive; dal punto di vista della dinamica storica, ognuna di esse si svolgerebbe secondo tre stadi (teologico, metafisico, scientifico) e non potrebbe elevarsi dal primo al 2° di questi, o dal 2° al 3°, se analogo trapasso non fosse già stato compiuto dalle scienze che la precedono nell’anzidetta classificazione. Alla base dell’intera gerarchia sta la matematica; al vertice sta la sociologia ( a cui – come già si è detto – Comte aggiungerà nell’ultima fase del suo pensiero, la morale), che conclude il sistema e ne garantisce l’organicità attraverso le leggi della statica e della dinamica sociale (innanzi tutto attraverso la ricordata legge dei tre stadi, fondamentale per lo sviluppo di ciascuna scienza e dell’intera società.»


Bibliografia consigliata
Antimo Negri – Introduzione a Comte – Laterza – Bari, 1997
L. Kolakowski – La filosofia del positivismo – Laterza – Roma-Bari, 1974
S.Poggi – Il positivismo – Laterza – Bari, ristampa del 1999
Nicola Abbagnano – La filosofia del Romanticismo – in Storia della filosofia – TEA – volume V
A cura di Palo Rossi – Storia del pensiero scientifico – TEA – 6 volumi
E. Garin -La cultura italiana tra ‘800 e ‘900 – Laterza – Bari, 1962
Pietro Rossi ( a cura di ) Positivismo e società industriale – Loescher – Torino 1973
A. Comte – Corso di filosofia positiva – trad. parziale di L. Geymonat e M. Quaranta – Radar – Padova – 1967
L. Geymonat – Filosofia e filosofia della scienza – Feltrinelli – Milano, 1960
J.C. Green – Biologia e teoria sociale – sta in : Evoluzione: biologia e scienze umane – a cura di Giuliano Pancaldi – Mulino – Bologna, 1976

19 luglio 2001 – 14 gennaio 2002 – Guido Marenco –

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