ARTHUR SCHOPENHAUER

ARTHUR SCHOPENHAUER

Artur Schopenhauer nacque a Danzica nel 1788 e sulla sua formazione influirono le dottrine di Platone e di Kant. La sua opera principale fu “Il mondo come volontà e rappresentazione”. Morì a Francoforte nel 1861. Schopenhauer subì gli influssi di molti filosofi e teorie del passato e fu uno dei primi ad interessarsi anche al pensiero orientale. Di Platone, lo attrasse la sua teoria delle idee, come forme eterne sottratte al nostro mondo; di Kant, ammirò l’impostazione soggettivistica della sua gnoseologia. Dell’Illuminismo lo interessarono il filone umanistico e quello dell’ideologia; dal Romanticismo, prese temi di fondo, cioè l’irrazionalismo, la grande importanza data all’arte ed alla musica ed il tema dell’infinito (la presenza nel mondo di un Principio assoluto); ancora sempre dal Romanticismo, Schopenhauer assimilò il tema del dolore, ma mentre il primo aveva tendenze ottimistiche, Schopenhauer era pessimista. Schopenhauer rifiutò inoltre l’idealismo, in quanto secondo lui era una filosofia non al servizio della verità, ma d’interessi volgari, come il successo ed il potere. Infine, nel suo universo spirituale, grande rilievo occupò anche la sapienza dell’antico Oriente. Il punto di partenza della filosofia schopenhaueriana è il dualismo kantiano tra fenomeno e noumeno (cosa in sé). Per Kant il fenomeno era la realtà accessibile all’uomo, mentre il noumeno era un concetto limite, che rammentava i limiti della conoscenza; per Schopenhauer, invece, il fenomeno era un’illusione, un sogno, cioè il “velo di Maya”, mentre la cosa in sé era una realtà nascosta dietro il fenomeno e che il filosofo doveva scoprire. Mentre per il criticismo il fenomeno era l’oggetto della rappresentazione, che esisteva fuori dalla conoscenza, per Schopenhauer esso era una rappresentazione che esisteva dentro la conoscenza. Questa rappresentazione aveva 2 aspetti essenziali ed indivisibili: da un lato il soggetto rappresentante, dall’altro l’oggetto rappresentato. Schopenhauer riteneva anche che la mente dell’uomo era corredata da solo 3 forme a priori, cioè spazio, tempo e causalità, che rappresentava l’unica categoria. Sempre riguardo la rappresentazione, Schopenhauer la considerava come una fantasmagoria ingannevole e di conseguenza vedeva la vita come un “sogno”, al di là del quale esisteva solo la realtà vera. L’uomo, infine, era visto come un “animale metafisico” che doveva interrogarsi sull’essenza ultima della vita. Secondo Schopenhauer, se l’uomo fosse solo conoscenza e rappresentazione (“una testa d’angelo alata senza corpo”), non riuscirebbe mai ad uscire dal mondo fenomenico, cioè dalla rappresentazione esteriore di noi. Poiché però non è solo rappresentazione, ma anche corpo, può viversi anche da dentro. In questo modo, l’uomo può sorpassare il fenomeno ed afferrare così il noumeno. Infatti, l’uomo si rende conto che la sua essenza profonda è la “volontà di vivere”, cioè un impulso che spinge ad essere ed agire. Quindi, per Schopenhauer, il corpo era la manifestazione esteriore delle nostre brame interiori e la volontà di vivere era sia il noumeno dell’uomo, sia la cosa in sé di tutto l’universo (infatti la volontà di vivere è insita in ogni essere della natura). La volontà presentava caratteri contrapposti a quelli del mondo della rappresentazione, perché si sottraeva alle forme a priori. La volontà risultava quindi: – inconscia, quindi s’identificava con il concetto più generale di energia o d’impulso; – unica, poiché sottraendosi allo spazio ed al tempo che hanno il compito di dividere e di moltiplicare gli enti, si sottraeva al “principio d’individuazione”; – eterna ed indistruttibile, poiché non dipendente dal tempo e quindi era un Principio senza inizio ne fine; – incausata e senza scopo, poiché era al di là della categoria di causa e si configurava quindi come una Forza libera e cieca. Infatti la Volontà primordiale non ha una meta oltre se stessa, poiché “la volontà vuole solo la volontà”. Schopenhauer riteneva che l’unica ed infinita Volontà di vivere si manifestava nel mondo fenomenico tramite 2 fasi logiche e distinte: nella prima, la volontà si “oggettiva” in un sistema di idee, di forme immutabili; nella seconda, la Volontà si “oggettiva” nei vari individui del mondo naturale, cioè nella moltiplicazione delle idee. Secondo questo principio, i singoli esseri risultavano semplici riproduzioni del prototipo originario che è l’idea. Infine, il mondo della realtà naturale si strutturava in “gradi” ascendenti: il grado più basso era così costituito dalle forze generali della natura, mentre l’ultimo grado, l’apice, era costituito dall’uomo, nel quale la Volontà diventava pienamente consapevole. Secondo Schopenhauer la vita è dolore; infatti siccome volere significa desiderare qualcosa che non si ha e si vorrebbe avere, il desiderio è quindi assenza, mancanza, ossia dolore. L’uomo risulta essere il più mancante e bisognoso degli esseri, destinato a non avere mai un appagamento definitivo. Il piacere invece è soltanto una momentanea cessazione di dolore, cioè lo scarico da uno stato preesistente di tensione. Quindi mentre il dolore è un dato primario, il piacere è solo una sua funzione derivata; infine il piacere vince il dolore annullandosi, poiché quando viene meno lo stato di tensione del desiderio, cessa anche il godimento. Schopenhauer pone come terza situazione la noia, che subentra quando viene meno il desiderio. Quindi la vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente fra il dolore e la noia, passando attraverso l’intervallo fugace ed illusorio del piacere e della gioia. Poiché la Volontà di vivere è manifesta in tutte le cose, il dolore investe ogni creatura. Quindi Schopenhauer giunge ad un pessimismo cosmico di tutta la filosofia, poiché il male non si trova solo nel mondo, ma nel Principio stesso da cui esso dipende. Alla natura quindi interessa solo la sopravvivenza della specie e come manifestazione di ciò, l’amore. Secondo Schopenhauer l’amore è basilare per l’individuo, ma il suo fine è solo quello dell’accoppiamento; però l’amore procreativo viene inteso anche come vergogna, peccato: infatti esso commette il maggiore dei delitti, cioè la perpetuazione di altre creature destinate a soffrire. Un altro aspetto della filosofia schopenhaueriana è la critica, il rifiuto delle varie forme di ottimismo con cui gli uomini tendono a nascondere a se stessi la cruda realtà del mondo. Il primo, è il rifiuto dell’ottimismo cosmico, che interpreta il mondo come un organismo perfetto, provvidenzialmente governato da Dio. Questa visione è per Schopenhauer falsa, poiché la vita è costituita da forze irrazionali ed il mondo è il teatro dell’illogicità. Un altro è il rifiuto dell’ottimismo sociale, che si basa sulla tesi della bontà e socievolezza dell’uomo. Per Schopenhauer, invece, i rapporti umani sono sostanzialmente basati sul conflitto ed il tentativo di sopraffazione reciproca. Quindi se gli uomini vivono insieme è per bisogno e lo Stato con le sue leggi esiste solo per una necessità di difesa dagli istinti aggressivi umani. Ultimo è il rifiuto dell’ottimismo storico; per Schopenhauer la storia non è una vera e propria scienza ma risulta inferiore anche all’arte e alla filosofia. Infatti gli storici, studiando gli uomini, perdono di vista l’uomo e cadono nell’illusione che gli uomini realmente mutano di epoca in epoca; invece per Schopenhauer il destino degli uomini presenta caratteri essenziali (nascita- sofferenza- morte), al di là del tempo e della storia. Schopenhauer rifiuta e condanna il suicidio per 2 motivi: 1) il suicidio è un atto di affermazione della Volontà stessa, poiché si nega la vita ma non la volontà; 2) il suicidio sopprime unicamente l’individuo, cioè una manifestazione fenomenica della Volontà di vivere, ma lascia intatta la cosa in sé. Quindi l’unica risposta al dolore del mondo è nella liberazione della Volontà stessa di vivere, e si attua attraverso 3 tappe fondamentali: l’arte, la morale, l’ascesi. Per Schopenhauer l’arte è una contemplazione disinteressata delle idee e sottrae l’individuo alla catena infinita dei bisogni con un appagamento immobile e compiuto. Di conseguenza, l’arte risulta catartica per essenza, in quanto l’individuo più che vivere contempla la vita e si eleva al di sopra della Volontà, del dolore e del tempo. La musica è vista come un’arte a parte, poiché non riproduce le idee, ma si pone come immediata rivelazione della volontà a se stessa. Per Schopenhauer la musica è l’arte più profonda ed universale, capace di metterci a contatto con le radici stesse della vita e dell’essere. Inoltre, essa tocca direttamente l’anima e si avvicina alle idee eterne. Nonostante tutto, però, la funzione liberatrice non è eterna, ma temporanea e parziale: quindi quando termina la sua funzione, ritorna il dolore. La morale implica un impegno nel mondo a favore del prossimo: infatti essa è un tentativo di superare l’egoismo e di vincere l’ingiustizia, che è fonte di dolore. Per Schopenhauer l’etica nasce da un sentimento di “pietà”, con cui sentiamo come nostre le sofferenze altrui; quindi la pietà nasce squarciando i veli del nostro egoismo e compatiamo il prossimo, identificandoci con il suo dolore. La morale si concretizza in giustizia e carità. La giustizia consiste nel non fare il male e nell’essere disposti a riconoscere agli altri ciò che siamo pronti a riconoscere a noi stessi. La carità consiste nel fare del bene al prossimo. Ai massimi livelli la pietà consiste nell’assumere su di sé il dolore cosmico; ma comunque essa resta attaccata alla vita e non è quindi una liberazione totale da essa. L’ascesi, che nasce “dall’orrore dell’uomo per l’essere”, è l’esperienza per la quale l’individuo, cessando di volere la vita ed il volere stesso, si propone di estirpare il proprio desiderio di esistere, di godere e di volere mediante una serie di accorgimenti al culmine dei quali sta il nirvana. Quindi l’ascesi è un allontanarsi man mano da sé, mentre il nirvana è l’assenza totale di volontà; quindi dimenticando noi stessi, ci distacchiamo da noi e di conseguenza anche dal nostro dolore. Infine se il mondo con tutte le sue sofferenze e le sue illusioni è un nulla, il nirvana è un tutto, cioè un oceano di pace o uno spazio luminoso di serenità.

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