ARISTOTELE TESINA VITA OPERE PENSIERO

ARISTOTELE TESINA VITA OPERE PENSIERO

Vita, opere e caratteristiche generali del suo pensiero

  1. modifica profondamente lo stile di lavoro del filosofo: egli non può infatti essere identificato con nessuno dei due tipi di pensatori che ci sono noti sino a quel momento, vale a dire con il grande aristocratico destinato al possesso del sapere e alla gestione del potere (alla maniera di Parmenide e Platone) o con i sapienti legati alle tecniche e al demos (come i naturalisti ionici).

Nasce nel 384 a Stagira, una piccola città della Calcidica che è sottoposta all’influsso della Macedonia, regno alle cui vicende la vita di A. è particolarmente legata. Il padre, Nicomaco, era infatti medico di corte del re Aminta III, padre di Filippo e nonno di Alessandro Magno. La professione del padre fu per il giovane A. un incentivo verso quell’interesse per le scienze della natura che rimase costante in tutta la sua attività di ricerca, ma certamente importante fu anche la sua collocazione sociale presso la corte macedone.

Per A., a differenza di Platone, il rapporto con la politica fu sempre indiretto, in quanto in patria il potere era detenuto dalla monarchia macedone, mentre all’estero, soprattutto in Atene, egli come straniero non poteva prendere parte alla vita politica (in questo senso egli prefigura l’intellettuale ellenistico che, in un mondo dominato dalle monarchie assolute, si rifugia nell’individualismo). Egli concepisce ancora la filosofia come organizzazione e sintesi del sapere, da quello logico a quello scientifico e a quello teologico, ma considera la vita etico-politica non più come un fine, ma semplicemente come una parte fra le tante del sapere. Fu proprio la passione per la filosofia come attività essenzialmente teorica a condurre il diciassettenne A. ad Atene, dove nel 367 divenne membro dell’Accademia platonica, grazie anche alla presentazione da parte della corte macedone da cui proveniva (difficilmente un provinciale avvrebbe potuto partecipare a quella grande istituzione senza un’adeguata presentazione). A. entra nell’Accademia attirato non dall’attività politica, ma dalle ricerche logico-scientifiche che vi si conducevano (quando vi entra, Platone è in Sicilia e nella scuola primeggia il grande scienziato Eudosso di Cnido). Rimane nell’Accademia vent’anni, sino alla morte di Platone, ed è per lui un periodo molto ricco, durante il quale compone le sue prime opere scientifiche, tra cui la Fisica.

Nell’anno in cui muore Platone egli abbandona la scuola e si reca presso Ermia, signore di Asso e Atarneo in Asia Minore, un uomo devoto a Filippo di Macedonia: questo abbandono non è dovuto tanto al disappunto per l’elezione di Speusippo a capo dell’Accademia (egli era nipote di Platone, ma d’altra parte A., non essendo ateniese, non avrebbe avuto diritto a possedere la scuola), quanto alla reazione ateniese nei confronti della politica macedone, alla cui corte A. era legato. Ad Asso egli conobbe il giovane naturalista Teofrasto, che era destinato a diventare il suo primo discepolo, col quale si dedicò a ricerche di carattere biologico.

Nel 342 A. fu invitato da Filippo ad assumere l’incarico di precettore del giovane erede al trono, Alessandro, presso la corte macedone. In Macedonia egli si trattenne per diversi anni, ma il suo compito non andò mai oltre quello di un normale insegnante di letteratura e di retorica (è certamente una leggenda medievale quella che parla di un profondo influsso politico del filosofo sul giovane re).

Nel 338 la vittoria ottenuta da Filippo a Cheronea sancisce definitivamente la supremazia macedone sulla Grecia; due anni dopo Alessandro succede al padre sul trono di Macedonia. A. era così libero di tornare ad Atene in tutta sicurezza, grazie alla protezione di Alessandro, ma non si recò certo all’Accademia, dove intanto era divenuto scolarca Senocrate, bensì aprì al Liceo, un ginnasio pubblico aperto all’insegnamento dei filosofi, una sua scuola con corsi regolari (scuola che fu anche chiamata Peripato, e peripatetici i suoi frequentatori, per l’usanza di discutere passeggiando nei giardini del Liceo. L’insegnamento è il secondo polo dell’esperienza di A., dopo la corte. Il Liceo è molto diverso dall’Accademia platonica: fra i condiscepoli non vi è alcun legame religioso o regola di vita, alcun progetto politico cui operare insieme, e molti sono gli stranieri (meteci) che vi prendono parte; nel Liceo non vi è molto spazio per la discussione dialettica, in quanto l’insegnamento di A. è ufficiale e non questionabile, ma vi è più spazio, rispetto all’Accademia, per le ricerche specializzate, condotte da un numero abbastanza ampio di studiosi. Fu durante questo periodo che A. compose la maggior parte delle sue opere.

Nel 323 morì Alessandro Magno e ad Atene riprese vigore il partito antimacedone, per cui A. dovette abbandonare la città al più presto per rifugiarsi nella casa della madre, a Calcide, in Eubea, dove trascorse da solo gli ultimi mesi di vita. Morì nel 322, lasciando all’amico Antipatro la cura del suo testamento, e a Teofrasto la direzione della scuola.

Gli scritti di A. si dividono in due grandi gruppi: essoterici, composti in forma dialogica e destinati al pubblico al di fuori della scuola; esoterici, destinati ai discepoli e quindi patrimonio interno della scuola. Del primo gruppo conserviamo solo qualche frammento, mentre ci è pervenuta la maggior parte delle opere della scuola (le opere essoteriche non erano particolarmente importanti rispetto alla grande produzione scientifica, presente nelle opere esoteriche a noi pervenute). Le opere a noi pervenute sono il frutto della sistemazione loro apportata nel 50/60 a.C. da Andronico di Rodi, che ha garantito l’autenticità della maggior parte di loro, anche se qualche piccola aggiunta o modifica in alcune opere va registrata.

A parte questa prima bipartizione delle opere aristoteliche, queste vengono poi suddivise nei seguenti gruppi:

  1. A) Dialoghi di tipo platonico, di cui restano pochi frammenti, come quelli sulle Idee e sulla Filosofia, cui va aggiunta l’esortazione agli studi filosofici rivolta ad un principe di Cipro, nota con il nome di Protrettico.
  2. B) Opere di carattere logico-linguistico, di cui una parte è raccolta nell’Organon: si tratta dell’Interpretazione (breve studio sulle funzioni semantiche del linguaggio), delle Categorie, degli Analitici Primi (sul sillogismo) e Secondi (sulla dimostrazione), e dei Topici, che trattano della dialettica. Altre opere di questo gruppo sono la Retorica (studio dell’argomentazione persuasiva) e la Poetica (teoria della composizione drammatica).
  3. C) Opere fisiche, come la Fisica (teoria generale della natura) e della Meteorologia.

Questi primi tre gruppi di opere si ritiene che siano stati composti prima della morte di Platone nel 347.

  1. D) Opere filosofiche. Si tratta dei vari libri che compongono la Metafisica. Non si tratta di un’opera composta come un trattato unitario, ma di una serie di opere autonome raccolte sotto questo nome da Andronico di Rodi. Il termine Metafisica non compare mai nelle opere di A., e significa libro posto dopo le opere fisiche, oppure vertente sui problemi filosofici della fisica:
  2. E) Opere biologiche. Esse comprendono le Ricerche sugli animali (zoologia), le Parti degli animali (anatomia e fisiologia), la Riproduzione degli animali (genetica ed embriologia), la Locomozioe e il Movimento degli animali.
  3. F) Opere psicologiche. La più importante è lo scritto sull’Anima, integrato da una serie di brevi trattati di psicofisiologia (sulla percezioe, la memoria, il sonno, ecc.) che vanno sotto il nome di Parva Naturalia.
  4. G) Opere etico-politiche, che comprendono l’Etica eudemia e l’Etica nicomachea, la Politica e una raccolta di costituzioni di un centinaio di città greche, di cui ci resta solo la Costituzione di Atene.

La maggior parte delle opere comprese in questi gruppi è stata scritta dopo la fondazione del Liceo.

  1. sostenne nella sua Etica che la vita contemplativa, dedicata solo al sapere teorico, è la forma più alta di esistenza, la sola che avvicina l’uomo alla condizione divina, e il dio di A. è in effetti pensiero e conoscenza. Il fine della conoscenza è la conoscenza stessa: in questo modo A. delinea una nuova figura di intellettuale dedito ad una conoscenza disinteressata. Dal potere politico il filosofo si attende ora solo la protezione necessaria a svolgere serenamente il suo lavoro, mentre in cambio offre un sapere privo di applicazione, che va perseguito solo perchè il desiderio di sapere è coessenziale all’uomo.

Già questi primi elementi ci mostrano come profonde siano le differenze fra A. e Platone, differenze che però non si limitano solo a questi aspetti, ma che vanno quindi approfondite.

La prima differenza è quella che abbiamo appena visto contrapporre una filosofia platonica il cui fine è quello di migliorare la società, ed una filosofia di A. che serve solo ad appagare il bisogno di conoscenza insito nell’uomo. Platone aveva diviso la realtà in due mondi diversi, quello delle Idee e quello in cui viviamo, che ne è solo una copia. Per A. non è possibile invece scindere un mondo empirico da un mondo ideale, in quanto esiste solo il mondo della nostra esperienza quotidiana, che il filosofo ha il compito di indagare. A. sostituisce così al piano verticale e gerarchico del mondo platonico, un piano orizzontale in cui tutte le cose sono poste l’una accanto all’altra. Questo ci permette di capire come mai in A. cada il primato della matematica, che per Platone era disciplina superiore alle altre, in quanto in grado di cogliere la struttura interna del mondo delle idee, mentre nel primo è solo una scienza accanto alle altre.

Oltre al primato di una disciplina sulle altre, cade in A. anche la componente mitica orfico-pitagorica (presente ancora negli scritti essoterici, ma assente da quelli esoterici), per lasciare spazio ad un discorso che si fa sempre più tecnico e rigoroso.

Un’ultima differenza da notare è che in A. la disposizione degli argomenti è sistematica, e le singole discipline vengono affrontate separatamente, anche se spesso vi possono essere delle ripetizioni: in Platone la tecnica del dialogo portava il filosofo ad occuparsi continuamente di tutti i settori del sapere, muovendosi come all’interno di una spirale.

  1. è il filosofo che stabilisce una distinzione dei vari quadri del sapere filosofico che sarà un punto di riferimento costante per la filosofia successiva (metafisica, fisica, psicologia, etica, politica, estetica, logica). Viene così superato il progetto platonico, che consiste nel subordinare le varie scienze l’una all’altra, e si passa all’autonomia delle singole scienze e alla loro indipendenza reciproca. La nuova sistemazione delle scienze avviene allora secondo l’ideale enciclopedico di unificazione del sapere, inteso come possibilità data all’uomo di possedere tutte le conoscenze, e non come riduzione di tutte le scienze a pochi principi universalmente validi.

All’interno di questo progetto enciclopedico la filosofia ha il ruolo importante di strumento che serve a connettere fra loro le varie branche del sapere e ne permette una visione unitaria; si tratta di una filosofia intesa come riflessione sul linguaggio, una filosofia che non costituisce una disciplina autonoma, ma come una premessa e una conclusione ragionata dell’enciclopedia delle scienze, uno specchio degli elementi unitari già presenti nelle altre scienze. Successivamente però la filosofia non si limita più a questa funzione organizzativa, e finisce col creare qualcosa di specifico trasformandosi in discorso su dio, in teologia. Ecco che all’interno della filosofia aristotelica si definisce una zona privilegiata, consistente nella filosofia prima, che è in realtà una cosmologia e una teologia insieme. Al contrario di Platone, però, A. non pretende mai di derivare il mondo da dio, nè di dedurre le scienze dalla teologia; si tratta piuttosto di un tentativo di giustificare l’ordine del mondo come razionale ed immutabile. Nell’enciclopedia di A. la teologia non ha mai un ruolo dominante e così pure nella sua immagine della natura la divinità occupa sempre un posto periferico, in quanto alla base del discorso filosofico vi è sempre il logos, il linguaggio.

Prima di passare ad analizzare la metafisica occorre ricordare che A. ha distinto le scienze in tre grandi branche: scienze teoretiche (che ricercano il sapere per sè medesimo); scienze pratiche (che ricercano il sapere per raggiungere attraverso di esso la perfezione morale); scienze poietiche o produttive (che ricercano il sapere in vista del fare, del produrre determinati oggetti). Le scienze teoretiche, che per A. sono le più alte per dignità, a loro volta sono costituite da metafisica, fisica (che comprende anche la psicologia) e dalla matematica.

LA METAFISICA (O FILOSOFIA PRIMA)

Abbiamo già visto che il termine metafisica non venne coniato da A., ma probabilmente fu usato dai peripatetici, o addirittura da Andronico di Rodi nella fase di sistemazione delle opere aristoteliche. A. usava il termine “filosofia prima” o anche “teologia” in opposizione alla “filosofia seconda” o “fisica” (il termine metafisica apparve ai posteri più pregnante e fu quindi preferito agli altri).

La metafisica aristotelica è la scienza che si occupa delle realtà che stanno al di sopra di quelle fisiche (sostanze separate, come le chiama A.), e che come tali si oppongono a quelle fisiche; metafisica fu poi chiamato, sulla scorta di quello aristotelico, ogni tentativo filosofico del pensiero umano di oltrepassare il mondo empirico per raggiungere un mondo meta-empirico.

  1. diede quattro definizioni della metafisica:
  2. a) la metafisica indaga le cause e i principi primi o supremi;
  3. b) la metafisica indaga l’essere in quanto essere;
  4. c) la metafisica indaga la sostanza;
  5. d) la metafisica indaga Dio e la sostanza soprasensibile.

Queste quattro definizioni sono complementari l’una all’altra, come si può notare ad una analisi più attenta. Chi ricerca le cause o i principi primi deve per forza di cose incontrare Dio, che è la causa e il principio primo per eccellenza. Chiedersi cosa sia l’essere significa chiedersi se esista solo un essere sensibile o anche un essere soprasensibile (essere teologico). Alle stesse conclusioni porta anche la domanda sulla sostanza (esistono solo sotanze sensibili o anche soprasensibili?).

Il problema teologico dunque come problema centrale della metafisica. Capiamo così anche perchè la metafisica sia la forma di sapere più elevata: facendo metafisica l’uomo si avvicina a Dio, non solo perchè lo conosce, ma anche perchè fa quello che fa Dio, che è pura conoscenza.

Tornando alla prima definizione della metafisica (scienza che studia i principi primi) A. afferma che le cause devono essere finite quanto al numero e che per quanto riguarda il mondo del divenire esse sono quattro: 1) causa formale; 2) causa materiale; 3) causa efficiente; 4) causa finale. Le prime due non sono altro che la forma, o essenza, e la materia che costituiscono tutte le cose, che avremo modo di vedere meglio più avanti (ricordiamo che causa per A. è ciò che struttura).

Materia e forma bastano però solo a spiegare l’essere staticamente considerato, mentre se lo consideriamo dinamicamente occorre aggiungere qualcosa alla spiegazione precedente. Un uomo dal punto di vista statico non è altro che carne e ossa (materia) e anima (forma), mentre se vogliamo sapere perchè è nato e perchè si sviluppa occorrono due ulteriori ragioni: la causa efficiente o motrice (il padre che lo ha generato) e la causa finale (il telos, lo scopo cui tende il divenire dell’uomo, la realizzazione della sua essenza).

Per quanto riguarda la seconda definizione della metafisica (intesa come la disciplina che studia l’essere in quanto essere), l’espressione essere in quanto essere significa la sostanza e tutto ciò che, in molteplici modi, si riferisce ad essa. In questo senso allora l’essere o è sostanza, o è affezione della sostanza, o attività della sostanza oppure qualcosa che si riporta alla sostanza. A. chiarisce tutto ciò nella tavola dei significati dell’essere, nella quale vengono indicati quattro possibili significati.

a)L’essere come accidente, ovvero essere casuale, accidentale (per esempio quando dico che l’uomo è musico io non esprimo l’essenza stessa dell’essere uomo, ma qualcosa che all’uomo può capitare casualmente di essere, un mero accidente).

b)L’essere per sè, ovvero l’essenza (detto anche l’essere come categorie), che è il contrario dell’essere come accidente. Le categorie sono dieci (ma di esse solo la prima ha sussistenza autonoma, mentre tutte le altre presuppongono la prima e si fondano sull’essere della prima):

1)sostanza (uomo, cavallo)

2)quantità (lungo due cubiti)

3)qualità (bianco, grammaticale)

4)relazione (doppio, metà)

5)luogo (nel Liceo, al mercato)

6)tempo (ieri, l’anno scorso)

7)posizione (sdraiato, seduto)

8)condizione (ha addosso le scarpe)

9)azione (taglia, brucia)

10)passione (viene tagliato, viene bruciato).

Questo elenco non va inteso come qualcosa di definitivo, in quanto su questo argomento A. ritornò più volte: è possibile infatti trovare delle classificazioni leggermente diverse, in cui al posto della categoria della sostanza (ousia) vi è quella del che cos’è, mentre altre volte le categorie non sono dieci ma sei o sette. Le categorie sono le classi ultime in cui si può dire che ricade tutto ciò che esiste oppure è reale. Per quanto riguarda l’uso di questa dottrina, A. vi fa ricorso quando deve classificare classi di oggetti oppure significati dei termini. Riguardo poi alla sostanza, la prima delle categorie, A. la divise in primaria e secondaria, e affermò che solo le sostanze primarie sono sostanze nel vero senso del termine (per sostanza primaria A. intende l’individuale, ovvero l’uomo individualmente considerato, questo o quel cavallo e così via): è ovvia allora la polemica con il pensiero di Platone, il quale affermava invece che vera sostanza sono le Forme (le Idee), ovvero i generi e le specie delle cose, quelle specie e generi che invece per A. avevano un’importanza secondaria.

c)Essere come vero e non-essere come falso. Si tratta dell’essere logico (a differenza del precedente che era un essere ontologico), che indica l’essere del giudizio vero e il non-essere del giudizio falso; è un essere puramente mentale, che ha sussistenza solo nella ragione e nella mente che pensa (mentre il precedente esisteva a prescindere dalla mente che lo pensava).

d)Essere come potenza e atto. Un esempio di questa importante definizione è dato dalla statua di marmo già scolpita, che è in atto, mentre il blocco di marmo che l’artefice sta scalpellando è in potenza; il frumento maturo è frumento in atto, mentre la pianticella verde è frumento in potenza (vale a dire che può diventare ciò che ancora non è, mentre l’essere in atto si caratterizza come l’attuarsi di ciò che prima era solo in potenza). Sarà bene ricordare anche che, attraverso questo significato dell’essere, A. risolverà definitivamente l’aporia eleatica per la quale il non-essere non esiste e di conseguenza nemmeno il movimento, perchè inteso come passaggio dal non-essere all’essere: la soluzione è proprio insita nel concetto di atto e potenza, in quanto il non-essere di cui parlava Parmenide altro non sarebbe se non un non-essere relativo, nel senso che una cosa è sè stessa e al tempo stesso non è tutte le altre. Il movimento si spiegherà poi come passaggio dalla potenza all’atto.

Le categorie che abbiamo elencato sopra sono le supreme divisioni dell’essere, l’originaria distinzione cui si appoggia necessariamente la distinzione degli ulteriori significati.

Il fatto che la prima categoria sia fondamentale, in quanto le altre si debbono riferire ad essa e non possono esistere senza di essa, porta A. ad affrontare il problema della sostanza.

I predecessori di A. avevano dato al problema della sostanza diverse soluzioni, spesso antitetiche. Alcuni avevano visto nella Materia sensibile l’unica sostanza (i Naturalisti); altri, come i platonici, avevano indicato negli enti soprasensibili la vera sostanza (Forma); gli uomini comuni consideravano sostanza nel vero senso del termine le cose concrete, l’individuo, fatti ad un tempo di materia e forma. A questo punto il problema fondamentale che A. si pone è determinare cosa sia veramente sostanza, se solo le cose sensibili o anche quelle soprasensibili. Ma prima di dire cosa sia veramante sostanza occorre dire cosa è la sostanza. A. decide allora di partire dalle cose sensibili, perchè sono più vicine a noi e nessuno potrebbe contestarle, per giungere a scoprire la sostanza (ousìa).

Per A. sono sostanza (ousìa) a diverso titolo la forma, la materia e il sinolo (unione di materia e forma). In questo modo egli concede una parte di ragione a tutti i suoi precedessori, notandone il limite nella unilateralità e nell’escludenza.

E’ sostanza la forma: forma secondo A. è l’intima natura delle cose, l’essenza delle cose (forma dell’uomo è la sua anima, vale a dire ciò che fa sì che egli sia un essere razionale, mentre la forma dell’animale è l’anima sensitiva, e quella delle piante è l’anima vegetativa). Per A. le cose sono conoscibili solo nella loro essenza. La forma di cui parla A. non va confusa con la forma platonica, perchè la prima è un costitutivo della realtà, mentre la seconda è una qualità trascendente la realtà stessa. La forma poi, non va dimenticato, è attuazione di ciò che è solo in potenza, realizzazione della materia.

La materia può essere però definita sostanza allo stesso modo, in quanto la forma senza di essa non avrebbe alcuna concretezza, mentre la materia senza forma sarebbe potenzialità indeterminata. La materia, che è il sostrato della forma, è quindi altrettanto sostanza quanto la forma.

Il sinolo, per concludere, non è altro che l’unione di forma e materia, quindi tutte le cose concrete sono sinoli. Il sinolo è quindi sostanza a sua volta.

Dovendo poi stabilire quale dei tre elementi sopra visti sia sostanza più degli altri, A. afferma che dal punto di vista empirico la sostanza per eccellenza è il sinolo, mentre da un punto di vista metafisico,lo è la forma, perchè è principio e fondamento, mentre il sinolo è fondato da altro. In definitva possiamo dire che l’essere nel suo significato più forte è la sostanza, e che questa in un senso impropio è materia, in un senso più proprio è sinolo e per eccellenza è forma. Per questo A. chiama la forma causa prima dell’essere, perchè informa la materia e fonda il sinolo.

E’ importante sottolineare la differenza fra l’eidos (idea) di Platone e l’eidos (forma) aristotelica. L’idea di Platone è l’universale inteso come genere delle cose (animale è un termine comune astratto che non ha realtà, ed esiste solo in una determinata forma o nell’uomo); l’idea di A. è una immanente struttura ontologica della cosa, esiste nella cosa, ma solo la nostra mente la astrae da essa (è un trascendentale, per usare un linguaggio che sarà kantiano). L’idea di A. non è universale da un punto di vista ontologico, ma lo diventa da un punto di vista logico (perchè allora si tratta di un concetto pensato dalla mente, che non esiste nella realtà, ed assomiglia quindi alla specie).

La materia è potenza, potenzialità, nel senso che è capacità di assumere la forma (il bronzo è potenza della statua perchè è effettiva capacità di ricevere la forma della statua). La forma si configura invece come atto, attuazione di quella capacità che prima era solo in potenza. Tutte le cose che hanno materia hanno maggiore o minore potenzialità, mentre se esistono degli esseri immateriali questi possono essere considerati atti puri. A. chiama l’atto anche con il nome di entelechia, che significa perfezione, realizzazione attuantesi. L’atto è superiore alla potenza. Grazie alla dottrina della potenza e dell’atto A. ha potuto risolvere il problema eleatico del movimento (che è un passaggio dall’essere in potenza all’essere in atto), ma soprattutto ha potuto dimostrare l’esistenza della sostanza soprasensibile.

Un altro problema importante che A. deve affrontare è quello sull’esistenza o meno di una sostanza prima. Per rispondere a questo quesito egli parte dall’analisi del tempo e del movimento. Se tutte le sostanze fossero corruttibili, allora non esisterebbe nulla di incorruttibile, ma tempo e movimento sono sicuramente incorruttibili, in quanto non possiamo chiederci cosa esistesse prima e dopo il tempo, in quanto prima e dopo sono già tempo (è bene ricordare che anche Kant applicherà la sua critica al concetto di tempo, e da questo trarrà risultati rivoluzionari). Lo stesso discorso vale per il movimento in quanto per A. il tempo è una determinazione del movimento, per cui l’eternità del primo postula l’eternità del secondo. Ma un tempo e un movimento eterni possono sussistere solo se sussiste un Principio primo che ne sia la causa. Questo Principio deve essere eterno (se eterno è il Principio, eterna deve essere la causa), immobile (solo l’immobile può essere causa del mobile, come A. ha dimostrato nella Fisica: ciò che è mosso deve per forza essere mosso da qualcos’altro, e così facendo noi risaliamo la serie delle cause sino a trovare la causa prima, perchè infatti non si può pensare di ripetere questo processo all’infinito senza trovare appunto qualcosa che muove senza essere mosso a sua volta da altro, e questa è appunto la causa prima) e scevro di potenzialità, vale a dire atto puro (se avesse potenzialità potrebbe anche non muovere in atto, per cui non potremmo spiegare il movimento eterno dei cieli).

Il Principio primo che abbiamo così finalmente delineato è il Motore Immobile (o sostanza prima). Mentre tutte le cose muovono essendo mosse, il Primo Motore muove attraendo le cose a sè, vale a dire non con una causalità efficiente (la mano che muove un corpo) ma con una causalità finale. In base a questa teoria il mondo non ha avuto cominciamento, perchè ammettere che prima ci fosse il caos vorrebbe dire dare priorità alla potenza sull’atto; Dio è eterno e da sempre quindi attrae il mondo a sè, per cui il mondo è eterno.

Questo Principio è puro pensiero, vita contemplativa, pensiero di pensiero, in quanto Dio pensa la cosa più eccellente, cioè sè stesso.

  1. chiama il Principio primo anche Dio: sembrerebbe trattarsi dunque di una forma di monoteismo, ma A. introduce altri motori immobili per spiegare il diverso movimento delle sfere celesti, motori che sono sì inferiori al primo, ma che possiedono le stesse caratteristiche. Questo non deve stupire, perchè nella mentalità del greco tutto ciò che è incorruttibile è divino (questi motori verranno trasformati dal medioevo in intelligenze angeliche motrici).

Dio non conosce gli uomini, in quanto questi sono esseri imperfetti, e Dio vedrebbe dimunuire la sua importanza. Il Dio aristotelico non crea e, per mostrare le differenze rispetto al Dio cristiano, non ama l’uomo, sempre perchè secondo A. questo vorrebbe dire che Dio non è quel principio supremo da lui delineato in precedenza.

LA FISICA

La seconda scienza teoretica per A. è la fisica o “filosofia seconda”, la quale ha come oggetto di indagine la sostanza sensibile (che è seconda rispetto a quella soprasensibile che è “prima”), intrinsecamente caratterizzata dal movimento, così come la metafisica aveva ad oggetto la sostanza immobile. Non bisogna lasciarsi trarre in inganno dalla parola fisica, che per noi indica la scienza della natura quantitativamente intesa, mentre in A. è la scienza delle forme e delle essenze, una sorta di metafisica dal sensibile.

E’ nella fisica che A. spiega il movimento, il quale, come abbiamo già visto, non è altro che il passaggio dall’essere in potenza all’essere in atto; il movimento quindi non richiede il non-essere come affermava Parmenide. La generazione è un assumere la forma da parte della materia, mentre la corruzione è il perdere la forma e l’alterazione è un cambiamento della qualità. Alla base di ogni movimento vi è la struttura ilemorfica della realtà, vale dire la struttura materia-forma.

Gli oggetti sono e si muovono non nel non-essere, ma in un luogo; questo non va confuso con il recipiente, perchè mentre il primo è immobile, questo è mobile. Il luogo è quindi lo spazio.

Per quanto riguarda il tempo, celebre è l’affermazione di A. che dice che “il tempo è il numero del movimento secondo il prima e il poi”, percezione che suppone l’anima.

  1. ha diviso il mondo sensibile in due sfere: mondo sublunare e mondo sopralunare. Nel primo vi sono tutte le forme di movimento, mentre nel secondo vi è solo il movimento circolare. Il mondo sublunare è costituito dai quattro elementi (terra, aria, acqua e fuoco), mentre quello sopralunare è costituito dall’etere, detto anche quinta sostanza o quintessenza, perchè si aggiunge agli altri quattro elementi. Il movimento dei quattro elementi è rettilineo, mentre quello dell’etere è circolare (questa teoria sarà poi accolta dal pensiero medievale). Per quanto riguarda la matematica, A. nutre verso questa disciplina un interesse assai inferiore rispetto a quello mostrato da Platone. Gli oggetti matematici non sono per A. entità reali come erano stati per Platone, nè qualcosa di irreale: essi sussistono “potenzialmente” nelle cose sensibili e la nostra ragione li separa mediante l’astrazione. Essi cioè sono enti di ragione che “in atto” sussitono solo nella nostra mente, grazie alla nostra capacità di astrazione, mentre in “potenza” sussistono nelle cose come loro proprietà intrinseche.

LA PSICOLOGIA

Gli esseri animati si differenziano da quelli inanimati perchè posseggono un principio che dà loro la vita, e questo principio è l’anima. L’anima è definita da A. come entelechia prima di un corpo fisico che ha la vita in potenza. A. distingue tre tipi di anima: anima vegetativa, (tipica delle piante), anima sensitiva (presente negli animali insieme alla vegetativa) e anima razionale (presente negli uomini insieme alle due precedenti).

L’anima vegetativa presiede alla riproduzione, che è lo scopo di ogni forma di vita nel tempo.

L’anima sensitiva ha diverse funzioni, tra cui la sensazione (questa è spiegata da A. sempre in base alla coppia di concetti potenza e atto, per cui la facoltà sensitiva è capacità di sentire potenziale che diventa in atto a contatto con l’oggetto sensibile), l’appetizione e il movimento.

L’anima intellettiva permette appunto l’intellezione, in quanto permette di ricevere le forme intelligibili e di assimilarle. L’intelligenza è capacità/potenzialità di conoscere le forme pure; queste a loro volta sono contenute in potenza nelle sensazioni e nelle immagini della fantasia; occorre quindi qualcosa che traduca in atto questa doppia potenzialità. Sorse così quella distinzione, divenuta fonte di innumerevoli discussioni nell’antichità e nel medioevo, fra “intelletto potenziale” e “intelletto attuale” (detti anche intelletto attivo e intelletto passivo). L’intelletto attivo è nell’anima, è il divino in noi. Questo intelletto, pur non potendo essere identificato con Dio come molti hanno fatto, ha le caratteristiche del divino. Questo intelletto rappresenta la dimensione metempirica, soprafisica, spirituale che è in noi.

ETICA E POLITICA

Dopo le scienze teoretiche, nella sistemazione del sapere, vengono le “scienze pratiche”, che riguardano la condotta degli uomini e il fine che essi vogliono raggiungere. Lo studio della condotta o del fine dell’uomo come singolo è l’etica, mentre lo studio della condotta o del fine dell’uomo come parte di una società è la politica.

Tutte le azioni umane tendono a “fini” che sono “beni”; questi a loro volta sono sottoposti ad un “fine ultimo”, che è il “bene supremo”, che tutti gli uomini chiamano felicità. Questa felicità non è la stessa cosa per tutti: per la moltitudine è godimento, mentre per alcuni è l’onore e per altri consiste nell’ammassare ricchezza (questa per A. è la più assurda di tutte le vite, perchè è contro natura, in quanto la ricchezza è solo un mezzo per qualcos’altro e non può quindi essere un fine.

Il bene supremo realizzabile dall’uomo consiste nel perfezionarsi in quanto uomo; l’uomo che vuole vivere bene deve vivere secondo ragione, in quanto il bene dell’uomo consiste in una attività dell’anima secondo la sua virtù. Per A. i valori supremi sono quelli dell’anima, anche se riconosce un valore ai beni materiali (non danno la felicità, ma la loro assenza può compromettere in parte quella felicità).

La virtù etica consiste nel ridurre la facoltà del desiderio, che è una parte dell’anima, ai dettami della ragione; questa virtù si ottiene con l’abitudine, vale a dire con la ripetizione di una serie successiva di atti. La virtù diventa così un abito, un modo di essere. Le passioni e i sentimenti tendono all’eccesso o al difetto; la ragione, intervenendo, deve porre la giusta misura, che è la via di mezzo o “medietà fra i due eccessi (il coraggio ad esempio è una via di mezzo fra la temerarietà e la viltà, la liberalità lo è fra prodigalità e avarizia. Questa medietà non va intesa nel senso di mediocrità, ma nel senso di culmine, valore, in quanto è la vittoria della ragione sugli istinti. Fra tutte le virtù etiche spicca la giustizia.

La perfezione dell’anima razionale in quanto tale è detta da A. virtù dianoetica. Questa si divide in due parti: se l’anima razionale si rivolge alle cose mutevoli abbiamo la saggezza (phrònesis), mentre se si rivolge alle cose immutabili abbiamo la sapienza. La prima consiste nel deliberare bene intorno a ciò che è bene o male per l’uomo, la seconda è scienza teoretica, in modo particolare metafisica. Proprio esercitando questa seconda virtù l’uomo si avvicina a Dio: la vita contemplativa di cui parla A. può portare l’uomo verso Dio.

  1. ha anche il merito di aver superato l’intellettualismo socratico: egli si è accorto infatti che una cosa è conoscere il bene, e un’altra il fare e attuare il bene. Egli afferma che quando vogliamo raggiungere determinati fini, noi stabiliamo mediante la deliberazione quali mezzi siano necessari al loro raggiungimento. La scelta opera poi su questi mezzi per metterli in atto. Siccome la scelta riguarda i mezzi e non i fini, questa ci rende sì responsabili, ma non ci rende buoni o cattivi, perchè l’essere buoni o cattivi dipende, secono A., dai fini, e questi sono oggetto di volizione. La volontà poi vuole sempre il bene, ma quello vero e non quello apparente; solo l’uomo virtuoso sa riconoscere questo bene. Il ragionamento si chiude così in un circolo vizioso, dal quale il filosofo non riesce ad uscire in quanto è assente il concetto di libero arbitrio, concetto che verrà introdotto più tardi dal pensiero cristiano.
  2. ha definito l’uomo un “animale politico”, un essere cioè che non può fare a meno di vivere in una comunità di uomini. Per A. sono però cittadini solo quelli che possiedono tempo libero sufficiente per potersi dedicare all’amministrazione della cosa pubblica: di conseguenza non sono cittadini i coloni, i membri di una città conquistata, gli operai e molti altri. Questi ultimi anzi servono ai primi per aiutarli a realizzare i loro progetti. La situazione politica del momento storico in cui vive è forse il motivo per cui A. giunge a teorizzare la schiavitù, affermando che lo schiavo, che è tale per natura, è uno strumento ancora più degli altri. Lo schiavo secondo lui doveva essere catturato non nelle guerre fra Greci, ma in quelle contro i Barbari, dato che questi sono per natura inferiori.

Per quanto riguarda i vari modi in cui può essere organizzato uno stato, A. considera tre forme di governo: la monarchia (governo di un solo uomo), l’aristocrazia (governo di pochi uomini) e la politìa (governo della maggior parte), cui corrispondono tre forme di degenerazione che si verificano quando chi governa lo fa secondo il proprio interesse e non secondo quello comune, e che sono la tirannide, l’oligarchia e la democrazia. Democrazia per A. significa demagogia, vale a dire che non è giusto che poichè tutti sono uguali nella libertà, questi lo debbano essere anche in tutto il resto. A. delinea anche la Città ideale, frutto del rispetto di quelle idee che sono alla base della sua filosofia.

  1. si occupa anche del problema dell’educazione: egli propende per un’educazione che inizi nella famiglia ed è contrario alla moltitudine dei maestri privati, in quanto vorrebbe una scuola gestita dallo Stato. Accetta il modello di educazione della paideia ateniese (leggere, scrivere, commentare gli autori antichi, fare ginnastica e musica), ma nel Liceo egli aggiunge alcune discipline che considera importanti come la grammatica, la retorica, matematica, fisica, biologia, psicologia, ma soprattutto logica, metafisica ed etica.

L’ideale aristotelico è quello di un’educazione “liberale”, non utilitaria, per liberi e non per schiavi, in quanto suppone una condizione economica privilegiata e tempo libero sufficiente. Alla domanda “a che serve la filosofia” A. risponde che il pregio della filosofia consiste proprio nel suo servire solo a se stessa, a nulla d’altro; ma essa mira a rendere l’uomo libero, padrone di sè, non servo delle passioni. Grazie alla filosofia l’uomo coltiva razionalmente le virtù, quelle etiche del “giusto mezzo” e quelle dianoetiche che ne realizzano il più alto destino. Alla fine di questa analisi risulta chiara quella differenza fra la filosofia di Platone e quella di A. per cui la prima ci appare più rivolta verso l’alto, mentre la seconda, nonostante i riferimenti alla metafisica, ci appare più concreta; questa differenza è peraltro mostrata molto bene dal dipinto di Raffaello in cui è raffigurata la “Scuola d’Atene”, dove Platone indica col dito il cielo e A. tiene invece la mano in avanti parallela al suolo.

LOGICA, RETORICA E POETICA

  1. colloca la logica al di fuori dello schema in cui ha suddiviso le altre scienze. La logica mostra come proceda il pensiero quando pensa, quale sia la struttura del ragionamento, quali gli elementi di esso, come sia possibile fornire dimostrazioni, quali tipi di dimostrazione esistano, di che cosa sia possibile fornire dimostrazioni e quando. Per questo la logica verrà indicata col termine “Organon” (termine che fu introdotto da Alessandro di Afrodisia), in quanto vuole fornire gli strumenti mentali necessari per affrontare qualsiasi tipo di indagine. A. non usa comunque nemmeno il termine logica (che fu introsdotto da Cicerone), bensì quello di analitica: questa spiega il metodo con cui noi, partendo da una data conclusione, la risolviamo negli elementi da cui deriva, cioè nelle premesse e negli elementi da cui scaturisce e, quindi, la fondiamo e la giustifichiamo.

Il primo elemento che incontriamo nella logica aristotelica sono le categorie: dal punto di vista metafisico le categorie rappresentano i significati fondamentali dell’essere, mentre dal punto di vista logico esse sono i supremi generi ai quali deve essere riportabile qualsiasi termine della proposizione. Se dico “Socrate corre” e scompongo questa proposizione, trovo che “Socrate” rientra nella categoria della sostanza, mentre “corre” in quella del fare; se dico “Socrate è nel Liceo”, “nel Liceo” rientra nella categoria del “dove”. La prima categoria (la sostanza) funge sempre da soggetto e solo impropriamente da predicato (Socrate è un uomo, cioè è una sostanza). Le altre categorie fungono sempre da predicati della prima categoria, in quanto devono essere sempre riferite al soggetto. Per quanto riguarda il problema della verità e della falsità, finchè abbiamo solo i termini isolati della proposizione non possiamo parlare nè dell’uno, nè dell’altra, in quanto solo nel giudizio che connette i singoli termini e forma la proposizione abbiamo verità o falsità.

Le categorie sono i generi cui sono riconducibili i termini in cui scomponiamo la proposizione, quindi sono qualcosa di primo e non ulteriormente riducibile, che non può quindi nemmeno essere definito perchè non esiste nulla di più generale cui poter ricorrere per determinarle. Definire per A. vuol dire non tanto spiegare il significato di una parola, quanto determinare che cos’è l’oggetto che la parola indica. La definizione è il discorso che esprime la sostanza delle cose. Una definizione può essere valida o non valida, ma non vera o falsa, perchè, come detto prima, vero e falso si hanno solo nel giudizio. Per fare un esempio di definizione proviamo a definire l’uomo: occorrono allora a questo punto il “genere prossimo” e la “differenza specifica”; il genere prossimo di uomo è “animale”; la differenza ultima poi fra uomo e animale è la razionalità.

Quando uniamo i termini fra loro e affermiamo o neghiamo qualcosa di qualcos’altro, allora abbiamo il “giudizio”. Il giudizio è l’atto con cui affermiamo o neghiamo un concetto di un altro concetto e la sua espressione logica è l’enunciato o proposizione. Il giudizio è la forma più elementare di conoscenza, quella forma che ci fa conoscere il nesso fra un predicato e un soggetto. Vero e falso si hanno col giudizio: il vero si ha quando si congiunge qualcosa che è veramente congiunto (o si disgiunge ciò che è disgiunto), mentre il falso si ha nel caso contrario. Il giudizio è sempre quindi o un’affermazione o una negazione. Non tutte le frasi interessano la logica: invocazioni, preghiere, esclamazioni e simili riguardano il discorso retorico e poetico. Nella logica rientra solo il discorso apofantico o dichiarativo.

  1. passa poi a definire il ragionamento: questo non consiste nel negare o affermare qualcosa di qualcos’altro (questi sono solo giudizi), ma si ha solo quando passiamo da giudizi ad altri giudizi, collegandoli con nessi causali per cui alcuni sono antecedenti e altri conseguenti. Il sillogismo è il ragionamento perfetto, in cui la conclusione cui si perviene è la conseguenza che scaturisce, di necessità, dall’antecedente. L’esempio più famoso di sillogismo perfetto è quello in cui abbiamo una premessa maggiore che dice “Se tutti gli uomini sono mortali”, una premessa minore che afferma “e se Socrate è un uomo” e una conclusione che dice “allora Socrate è mortale”.

Questa prima forma di sillogismo è chiamata sillogismo generale: la sua caratteristica principale è quella di prescindere dal contenuto di verità delle premesse. Diverso da questo è il sillogismo scientifico o dimostrativo, che riguarda anche il contenuto di verità delle premesse. Queste infatti devono essere vere e prime, cioè non bisognose a loro volta di ulteriori dimostrazioni. Tutto ciò pone naturalmente un problema fondamentale nel pensiero aristotelico, vale a dire l’origine di premesse vere e come possiamo conoscerle, dal momento che non possiamo ottenerle attraverso ulteriori sillogismi, chè altrimenti procederemmo all’infinito.

Il sillogismo è un processo deduttivo, in quanto ricava da verità universali verità particolari. Per quanto riguarda il modo in cui cogliere queste verità universali A. indica due possibilità: l’induzione, attraverso la quale dal particolare si ricava l’universale (si tratta del processo astrattivo), e l’intuizione, che è il coglimento puro da parte dell’intelletto dei principi primi (in questo modo A. ammette l’intuizione intellettiva come prima di lui aveva fatto Platone).

Ogni scienza avrà poi dei principi suoi propri e dovrà occuparsi di quegli elementi che sono di sua competenza. Accanto a questi principi specifici ve ne sono però alcuni che sono comuni alle varie discipline, come il principio di non contraddizione (non si può affermare o negare dello stesso soggetto nello stesso tempo e nello stesso rapporto due predicati contraddittori) e quello del terzo escluso (non è possibile che ci sia un termine medio tra due contraddittori). Questi principi sono definiti trascendentali, nel senso che valgono per ogni forma di pensiero in quanto tale, e sono indimostrabili (si dimostrano da soli, in quanto chi volesse negarli nello stesso tempo li affermerebbe), in quanto ogni dimostrazione li presuppone.

Quando le premesse del sillogismo anzichè essere vere sono soltanto probabili, cioè fondate sull’opinione, allora abbiamo il sillogismo dialettico (si tratta di un tipo di sillogismo che ci insegna a discutere con gli altri).

Quando le premesse non sono fondate nemmeno sull’opinione abbiamo il sillogismo eristico.

Quando il sillogismo è tale solo in apparenza abbiamo il paralogismo, che è un ragionamento errato.

LOGICA E POETICA

Secondo A. la retorica non ha lo scopo di ricercare la verità, compito che spetta alla filosofia e alle scienze particolari, ma ha lo scopo di scoprire quali siano i modi e i mezzi per persuadere.

Per quanto riguarda la poetica invece, A. ricorre a due concetti in particolare per spiegarla: mimesi e catarsi.

  1. si oppone alla posizione platonica sull’arte (che considerava l’arte un’imitazione dell’imitazione, quindi un allontanamento dal vero) e afferma che la mimesi artistica non riproduce passivamente la parvenza delle cose, ma ricrea le cose secondo una nuova dimensione, quella del possibile e del verosimile.

Inoltre, mentre la natura dell’arte consiste nella imitazione del reale secondo la dimensione del possibile, la sua finalità consiste nella purificazione delle passioni. L’arte insomma ci scarica dell’emotività e delle tensioni che accumuliamo, provocando una piacevole sensazione di benessere (sensazione emotiva che Platone aveva condannato).

Conclusioni

La sorte della scuola di A. non fu molto felice: a causa di alcune vicissitudini il suo pensiero non fu più studiato per diversi secoli. Dopo di lui già il suo principale discepolo, Teofrasto, non si mostrò all’altezza del maestro, soprattutto quanto a capacità di insegnamento delle dottrine. I discepoli che fecero seguito a Teofrasto poi furono ancora meno capaci di portare avanti la tradizione aristotelica.

L’altro fatto che causò la decadenza rapida del Peripato fu che Teofrasto, quando morì, lasciò alla Scuola solo gli edifici del Peripato, mentre destinò la biblioteca a Neleo di Scepsi, che a sua volta portò i testi in Asia Minore. Le opere di A. iniziarono così un lungo pellegrinaggio che si concluse solo quando, in epoca romana, Andronico di Rodi provvederà alla loro definitiva sistemazione. Nel frattempo però nel pensiero greco il ruolo di protagonista fu assunto da nuove correnti di pensiero e l’aristotelismo fu messo da parte.