ARISTOFANE LE RANE

ARISTOFANE LE RANE

ARISTOFANE LE RANE


Nelle rane la tradizionale struttura delle commedie aristofanee viene rispettata nei contenuti ma non nella sequenza.

La parabasi, ad esempio, cioè il movimento del coro verso gli spettatori (ovvero la sezione in cui il poeta, rompendo la finzione scenica faceva dire al coro tutto quello che voleva, avesse o no attinenza al tema della commedia) precede l’agone, il contrasto tra due personaggi (in questo caso quello tra Eschilo e Euripide).

Prologo e parodos, invece, cioè le scene di sviluppo della favola, si trovano regolarmente all’inizio così come a concludere la commedia c’è l’esodo (Dioniso, contrariamente all’iniziale proposito decide di portare con sé sulla terra Eschilo.

Nella commedia possono essere riconosciuti alcuni espedienti comici classici, riscontrabili in seguito nella commedia plautina come lo scontro tra lo schiavo e il padrone (Xantia e Dioniso) e le piccole rivincite che il primo riesce ad ottenere sul secondo [SERVO :<<Ma il non averti picchiato quando pur fosti colto sul fatto : quando affermavi, mentre eri schiavo, di essere padrone !>>-XANTIA :<<Eh, l’avrebbe pagata cara !>>-SERVO :<<E’ stato proprio un colpo da schiavo, cosa che io faccio con tanto gusto>>].

La comicità della seconda parte della commedia risulta, però, molto più originale e dimostra una grande padronanza del mezzo teatrale da parte di Aristofane che seppe rendere esilarante per un pubblico non sempre raffinato una diatriba letteraria tra i due più grandi tragediografi dell’antica Grecia.

Euripide accusa Eschilo di aver utilizzato nelle sue opere un linguaggio fin troppo complesso e ripetitivo e si proclama come colui che ha alleggerito la tragedia dei pesanti parametri indicati da Eschilo [EURIPIDE :<<…Appena ricevetti l’arte tragica da te per prima cosa la resi sottile, essa che era tutta gonfia di turgidezze e di paroloni pesanti…>>].

Inoltre si assume il merito di aver introdotto per la prima volta nella tragedia il prologo e il canto monodico [EURIPIDE :<<…e l’alleggerii dapprima con versettini e digressioni e con bianche bietole, propinandole succo di ciarle che filtravo dai libri e quindi la nutrii con delle monodie, aggiungendovi un infuso di Cefisofonte. Poi non cianciavo a vanvera, né irrompendo mescolavo ogni cosa, ma il primo ad uscire, per primissima cosa diceva nel mio dramma l’origine del dramma>>.] Altra accusa rivolta ad Eschilo è quella di una scarsa musicalità.

Eschilo, viceversa, accusa il primo di aver reso la tragedia una forma d’arte rivolta alla gente più meschina [SERVO :<<…Euripide, diede una rappresentazione ai grassatori, ai tagliaborse, ai parricidi, ai foramuri…>>], di avere creato una poesia poco musicale e prevedibilissima dal punto di vista metrico (indimenticabile a tal proposito il <<perdette l’ampollina>> che Eschilo adatta ad ogni verso che Euripide recita). Inoltre condanna gli eroi euripidei per avere delle caratteristiche fin troppo umane (nulla a che vedere, ad esempio, con i semidei di Sofocle).

Nelle parole di Euripide sono evidenti alcune spie (<<ciarle filtrate dai libri>> ad es.) che ci mostrano la volontà di Aristofane di colpire quello che subito dopo di Socrate rappresentava la seconda spina nel fianco di Atene, e lo dimostra anche attribuendo ai suoi discorsi un carattere alquanto ingenuo.

Aristofane nello scontro tra la somma dei valori del buon tempo antico e il sofismo socratico di Euripide, mostra di schierarsi nettamente dalla parte di Eschilo del quale le soluzioni indicate corrispondono ai valori sui quali si costituiva allora il sentimento della polis democratica dei nobili e dei contadini :ne sono simbolo gli opliti di Maratona. Di questa immagine della polis Aristofane si serve per un confronto con quella del suo tempo ormai mutata per lo sviluppo dei commerci e dell’industria e per l’apparizione di un ceto nuovo. Anche in questo caso Aristofane esce dalla storia, scambiando una forma di organizzazione politica, corrispondente ad una struttura sociale, per una acquisizione durevole e accusando Euripide e la cultura dei sofisti di provocare la corruzione e la decadenza dei grandi ideali politici ed etici eschilei.

Aristofane, pur attraverso una rappresentazione tendenziosa, coglie gli elementi stazionari della società attica del suo tempo :si tratta, in sostanza, di una visione del mondo abbastanza semplice che trova un sostegno strutturale nella classe degli agricoltori e che si riassume in una concezione idealizzata della polis, in cui i valori etici e politici indicati sono quelli di Eschilo, considerati acquisizioni perpetue : la loro alterazione o modificazione non è rinnovamento ma corruzione. Al suo tempo, Aristofane vedeva una concreta realizzazione della polis nella società rurale che gli appariva perciò esemplare per la sua fedeltà agli ideali e per la sua immobilità. E appunto la ricerca di questa immobilità si traduce nella fuga dalla storia o dal mondo <<storico>> degli uomini ; e ancora, l’incapacità a comprendere la storia come vuoto profondo sociale e culturale, produce la distorsione (o <<banalizzazione>>) degli avvenimenti in una prospettiva personalistica.

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