APPUNTI SU NEWTON

APPUNTI SU NEWTON

IL METODO INDUTTIVO

Le ricerche sulla luce sono compiute con un metodo induttivo. Sulla descrizione di questo metodo, sulla documentazione degli esperimenti e sul loro rapporto con le teorie che vengono for­mulate, Newton insiste particolarmente negli scritti di ottica, che proprio per questo assumono grande rilievo.

NEWTON 5: IL metodo induttivo

Come in matematica, così nella filosofia naturale lo studio delle cose difficili, mediante il ,metodo analitico, dovrebbe sempre precedere il metodo sintetico. Questa analisi consiste nel fare esperimenti e osservazioni e trarre da questi, mediante l’induzione, conclusioni generali, non ammettendo contro di esse obiezioni, salvo che siano derivate da esperimenti o da altre_ verità certe. Perché nella filosofia sperimentale non bisogna tener conto delle ipotesi. E sebbene il trarre per induzione principi generali dagli esperimenti e dalle osservazioni non equival­ga a dimostrarli, tuttavia è questo il miglior modo di ragionare che la natura consenta, e può considerarsi tanto più saldo quanto più l’induzione è generale. E se nessuna eccezione sorge dai fenomeni, si può enunciare una conclusione universale. Ma se, in seguito, dagli esperimen­ti sorgerà qualche eccezione, allora si dovrà affermare una conclusione in accordo con queste eccezioni. Mediante questo metodo analitico possiamo procedere dalle cose composte alle co­se semplici, dai movimenti alle forze che li producono e in generale dagli effetti alle loro cause, e dalle cause particolari a quelle più generali, fino a giungere alle cause generalissime. Questo è il metodo analitico; quello sintetico consiste nell’assumere come princìpi le cause scoperte e provate e, mediante queste, spiegare i fenomeni che ne derivano e provare tali spiegazioni.

Il metodo della scienza è, per Newton, quello induttivo, teorizzato già da Bacone. La genera­lizzazione delle esperienze particolari, sulla quale tale metodo si fonda, non può però mai condurre a verità dimostrate. Newton è consapevole del problema, ma sembra, in un certo senso, rifiutare i limi-‘ ti che ne deriverebbero. Anche se il metodo induttivo non può produrre verità scientifiche indiscuti­bili, esso è comunque l’unico impiegabile, e dunque deve essergli assegnata una funzione conosciti­va. In un certo senso, la scienza non può fare a meno del metodo induttivo e quindi-occorre trovare i correttivi per consentirne l’applicazione. Vedremo, nel cap. 3 0, come mettere in discussione tale me­todo equivalga a negare la possibilità di formulare leggi universali e a porre in discussione il principio di causalità, la cui legittimità invece Newton sostiene.

L’importanza dell’induzione spinge Newton alla formulazione di alcune regole, presentate quasi come condizioni irrinunciabili per la possibilità stessa di una conoscenza scientifica.

NEWTON 6: Le regole del filosofare

REGOLA I

Delle cose naturali non devono essere ammesse cause più numerose di quelle che sono vere e bastano a spiegare i fenomeni.          k

Come dicono i filosofi: La natura non fa nulla invano, e inutilmente viene fatto con molte cose ciò che può essere fatto con poche. La natura, infatti, è semplice e non sovrabbonda in cause superflue delle cose.

REGOLA II

Perciò, finché può essere fatto, le medesime cause vanno assegnate ad effetti naturali dello stesso genere.

Come alla respirazione nell’uomo e nell’animale, alla caduta delle pietre in Europa e in America; alla luce nel fuoco domestico e nel Sole; alla riflessione della luce sulla terra e sui pia­neti.

REGOLA III

Le qualità dei corpi che non possono essere aumentate e diminuite, e quelle che appartengono a tutti i corpi sui quali è possibile impiantare esperimenti devono essere ritenute qualità di tutti i corpi.

Infatti, le qualità dei corpi non si conoscono altrimenti che per mezzo di esperimenti, e perciò devono essere giudicate generali tutte quelle che, in generale, concordano con gli espe­rimenti; e quelle che non possono essere diminuite non possono essere nemmeno sottratte. Certamente, contro il progresso continuo degli esperimenti non devono essere inventati scon­sideratamente dei sogni, né ci si deve allontanare dall’analogia della natura, dato che essa suo­le essere semplice e sempre conforme a sé. L’estensione dei corpi non si conosce altrimenti che per mezzo dei sensi, né è percepita in tutti; ma in quanto spetta a tutte le cose sensibili, allora viene affermata di tutte le cose.

Abbiamo sperimentato che molti corpi sono duri. Ora, la durezza del tutto nasce dalla du­rezza delle parti, quindi a buon diritto, concludiamo che non soltanto sono dure le particelle indivise di quei corpi che vengono percepiti ma anche di tutti gli altri. Concludiamo che tutti i corpi sono impenetrabili non con la ragione, ma col senso. Gli oggetti che maneggiamo vengo­no riscontrati impenetrabili, ne concludiamo che l’impenetrabilità è una proprietà dei corpi in generale. Che i corpi siano mobili, e che per effetto di forze qualsiasi (che chiamiamo forze d’inerzia) perseverino nel moto o nella quiete, ricaviamo da queste proprietà dei corpi osser­vabili. L’ estensione, la durezza, l’impenetrabilità, la mobilità e la forza d’inerzia del tutto nasce dall’estensione, dalla durezza, dalla impenetrabilità, dalla mobilità e dallè16r2e d’inerzia delle parti; di qui concludiamo che tutte le minime parti di tutti i corpi sono estese e dure, im­penetrabili, mobili, e dotate di forze d’inerzia. E questo è il fondamento dell’intera filoso­fia. […1

Infine, se, in generale, per mezzo di esperimenti e di osservazioni astronomiche, risultasse che tutti i corpi che girano intorno alla Terra sono pesanti, e ciò in relazione alla quantità di materia in ciascuno di essi, che la Luna è pesante verso la Terra in relazione alla propria quan­tità di materia, e il nostro mare, a sua volta, è pesante verso la Luna, e che tutti i pianeti sono pesanti l’uno rispetto all’altro, e che la pesantezza delle comete verso il Sole è identica, allora si dovrà dire che per questa regola tutti i corpi gravitano vicendevolmente l’uno verso l’altro. In­fatti l’argomento tratto dai fenomeni circa la gravità universale sarà più forte di quello circa l’impenetrabilità dei corpi, sulla quale non abbiamo nessun esperimento e nessuna osserva­zione fatta direttamente sui corpi celesti. Tuttavia, non affermo affatto che la gravità sia essen­ziale ai corpi. Con forza insita intendo la sola forza di inerzia. Questa è immutabile, la gravità allontanandosi dalla Terra diminuisce.

REGOLA IV

Nella filosofia sperimentale, le proposizioni ricavate per induzione dai fenomeni, devono, nonostante le ipotesi contrarie, essere considerate vere o rigorosamente o quanto più possibile, finché non interverranno altri fenomeni, mediante i quali o sono rese più esatte o vengono assog­gettate ad eccezioni.

Questo deve essere fatto affinché l’argomento dell’induzione non sia eliminato mediante ipotesi.

Le Regole del filosofare sono premesse al terzo libro dei Principi, intitolato Sistema del mondo. I primi due libri definiscono i «principi matematici» in senso proprio. Da questi, Newton intende ricavare un sistema unitario della fisica. Per far ciò, sono necessarie due ope­razioni: poter applicare i princìpi, definiti per adesso nella loro formulazione matematica, al piano empirico, ai fenomeni fisici; poter generalizzare le leggi, individuate attraverso esperi­menti circoscritti, all’intero universo, cioè anche ai fenomeni che non possono essere sottopo­sti a esperimenti.

La prima e l’ultima regola tendono a sottrarre le leggi matematico-sperimentali agli attac­chi della metafisica, imponendo un ambito di discussione circoscritto ai fatti e agli esperimen­ti; la seconda e la terza fondano la possibilità di utilizzare il metodo induttivo per la formula­zione di leggi universali. La prima regola, sulla semplicità della natura, è però direttamente collegata a quelle relative al metodo, costituendo con esse un tutto unico. In effetti, a essa si ri­chiama direttamente non soltanto la seconda, ma anche la terza, quando afferma che la natura «suole essere semplice e sempre conforme a sé». L’affermazione sulla semplicità della natura contenuta nella prima regola può essere intesa come la riproposizione di una sorta di rasoio di Ockham per sgombrare l’ambito della scienza dal tentativo di introdurvi di nuovo ipotesi me­tafisiche, distinguendo tra diversi livelli della spiegazione del mondo. L l’operazione tentata per esempio da Leibniz, che aveva pubblicato il Discorso di metafisica nel 1686, appena un an­no prima dei Principi. Egli non esclude la legittimità di una spiegazione fisica dell’universo, ma sostiene la possibilità di affiancarle un’interpretazione finalistica, che coglie il livello della sostanza mentre la prima spiega soltanto i fenomeni. Nel Discorso di metafisica, scrive: «Io del resto credo che parecchi effetti della natura si possono dimostrare in due modi, cioè sia consi­derando la causa efficiente, sia anche considerando la causa finale.

La seconda regola, nota anche come «legge dell’uniformità della natura», consente la ge­neralizzazione del nesso causale a partire dai fenomeni osservabili. L il fondamento per la for­mulazione di leggi universali, valide cioè in ogni luogo (come è suggerito dagli esempi) e in ogni tempo, cioè proiettabili anche nel futuro e costituenti la base per la prevedibilità degli eventi. Infatti, se effetti simili vanno ricondotti alle stesse cause, reciprocamente dall’accerta­mento della causa è lecito inferire l’evento correlato, anche sé da se ne ha attualmente espe­rienza.

Nella terza regola (detta «legge dell’omogeneità della natura»), Newton, per evitare che vengano «inventati sconsideratamente dei sogni», asserisce la conformità a sé della natura. Insieme alla regola precedente, definisce la natura come regolare, stabile, prevedibile. Questo, come sottolineerà Hume, è il postulato di fondo – indimostrabile e proprio per questo su­scettibile di critica – del metodo induttivo, e costituisce in realtà la premessa necessaria per giustificare anche la seconda regola. L’invariabilità della natura legittima la generalizzazione induttiva a partire dagli esperimenti, come Newton sottolinea nel commento che segue l’enunciato della regola. Tale generalizzazione è valida anche quando appaia in contrasto con i sensi: l’aria non è percepita come dura e impenetrabile, ma deve esserlo, poiché queste qualità devono essere proprie di tutti i corpi. Oltre agli aspetti metodologici, il commento presenta anche elementi importanti della teoria fisica di Newton e in particolare la giustificazione del­l’atomismo: i costituenti elementari dei corpi, anche se non possono essere percepiti, devono essere estesi, duri, impenetrabili, ecc.

La quarta regola affronta un altro aspetto del metodo induttivo-sperimentale, quello del controllo delle teorie scientifiche. Esse devono essere in accordo con i fenomeni, ma recipro­camente, finché questo accordo sussiste devono essere considerate vere. Soltanto    fenomeni contrari, e le ipotesi da essi ricavate, possono essere legittimamente usate per la confutazione di una proposizione scientifica.

Nei manoscritti è presente una quinta regola, che Newton rinunciò a pubblicare. In essa viene esplicitato il senso anticartesiano delle altre, e in particolare della terza e della quarta. “Devono esse­re considerate ipotesi tutte le cose che non derivano dagli oggetti stessi o attraverso i sensi esterni, o attraverso la sensazione interna. Così, io sento che penso, ciò che non potrebbe avvenire se contem­poraneamente non sentissi che sono. Ma non sento affatto che ci sia alcuna idea innata. E considero fenomeni non solo le cose che ci sono note mediante i cinque sensi esterni ma anche le cose che, pen­sando, intuiamo nelle nostre menti: come, Io sono, io credo, mi dolgo, ecc. E considero ipotesi tutto ciò che non viene dimostrato a partire dai fenomeni o che non deriva dall’argomento dell’induzione”.

NEWTON 7: Hypòtheses non fingo

Fin qui ho spiegato i fenomeni del cielo e del nostro mare mediante la forza di gravità, ma non ho mai fissato la causa della gravità. Questa forza nasce interamente da qualche causa, che penetra fino al centro del Sole e dei pianeti, senza diminuzione della capacità, e opera non in relazione alla quantità delle superfici delle particelle sulle quali agisce (come sogliono le cause meccaniche) ma in relazione alla quantità di materia solidali. La sua azione si estende per ogni dove ad immense distanze, sempre decrescendo in proporzione inversa al quadrato delle di­stanze. La gravità verso il Sole è composta della gravità verso le singole particelle del Sole, e al­lontanandosi dal Sole decresce rigorosamente in ragione inversa del quadrato delle distanze fino all’orbita di Saturno, come è manifesto dalla quiete degli afelii dei pianeti, e fino agli ulti­mi afelii delle comete, posto che quegli afelii siano in quiete.

In verità non sono ancora riuscito a dedurre dai fenomeni la ragione di queste proprietà della gravità, e non invento ipotesi. Qualunque cosa, infatti, non deducibile dai fenomeni va chiamata ipotesi; e nella filosofia sperimentale non trovano posto le ipotesi sia metafisiche, sia fisiche, sia delle qualità occulte, sia meccaniche. In questa filosofia le proposizioni vengono dedotte dai fenomeni e sono rese generali per induzione. In tal modo divennero note l’impe­netrabilità, la mobilità e l’impulso dei corpi, le leggi del moto e la gravità. Ed è sufficiente che la gravità esista di fatto, agisca secondo le leggi da noi esposte, e spieghi tutti i movimenti dei corpi celesti e del nostro mare.

Per capire il senso del rifiuto newtoniano delle ipotesi, conviene partire dalla definizione di scienza sperimentale. Gli esperimenti non sono ovviamente delle semplici osservazioni ma, come avevano chiarito sia Bacone che Galilei, dei modi di porre domande alla natura per costringerla a da­re risposte. Gli esperimenti riguardano però il comportamento della natura, producono dei fatti, in­dicano come agiscono le forze, ma non sono in grado di rivelare la natura dei corpi o di tali forze. Newton ha rinunciato alla prospettiva baconiana di conoscere la forma delle cose, lo schematismo latente o il processo latente, per muoversi invece in una prospettiva galileiana, occupandosi unicamente di quantità e di variazioni – misurabili – degli aspetti quantitativi. Da questo punto di vista, ciò che la scienza può conoscere, è il modo di agire delle forze della natura e non la loro essenza. Quindi, non interessa sapere che cosa è la gravità, ma come agisce.

La prospettiva di Newton non è però, per altro verso, fenomenistica. La legge di gravitazione e quelle del moto sono leggi della natura, non modi soggettivi di concepirla. Questi aspetti, a differen­za della natura dei corpi, possono essere però osservati e sottoposti a esperimenti. Questa possibilità è il criterio che discrimina l’ambito della conoscenza scientifica da quella delle «ipotesi». Le teorie ri­cavate per induzione da esperimenti sono, come suggerisce anche la quarta regola, scientificamente fondate, e quindi possono essere discusse o eventualmente confutate, sulla base di altri esperimenti; quelle nate al di fuori di questo contesto si collocano su un piano diverso, estraneo alla conoscenza scientifica, e in questo senso vengono denominate «ipotesi»,

La natura e il significato delle ipotesi che non dovevano essere inventate viene chiarita da Newton in risposta a una lettera del 18 febbraio 1713, in cui uno dei suoi allievi, Roger Cotes, lo in- forma di alcune obiezioni sulla gravitazione mossegli da Leibniz. I princìpi e assiomi della fisica, in quanto ricavati per induzione dagli esperimenti, non devono essere considerate «ipotesi», nel seri-so newtoniano del termine.

NEWTON 8: I princìpi e gli assiomi dalla fisica non sono ipotesi

Sir, ho ricevuto la vostra del 18 febbraio, e la difficoltà da voi propostami che giace in que­ste parole («Et cum attractio omnis mutua sit») viene a cadere se si considera che come nella geometria non si attribuisce al termine ipotesi un significato vasto al punto di comprendervi gli Assiomi e i Postulati, così nella Filosofia Sperimentale non bisogna attribuirgli un significa­to vasto al punto di comprendervi i Principi primi o Assiomi che chiamo leggi del movimento. Tali principi sono dedotti dai fenomeni e resi generali per induzione: questa è la massima evi­denza che una proposizione può raggiungere in questa filosofia. E la parola ipotesi è qui da me adoperata soltanto per indicare una proposizione che non è un fenomeno né è dedotta da qualche fenomeno, bensì è assunta o supposta senza alcuna prova sperimentale.Negando che gli assiomi o i principi siano ipotesi, Newton non intende affermare che siano veri o dimostrati in via definitiva. La distinzione non riguarda il grado di verità, ma il metodo: i primi sono ricavati da esperimenti e quindi possono essere controllati sulla base dell’esperienza. Va ricor­dato però che Newton tende a dare ai principi ricavati dagli esperimenti, e confermati da un ampio numero di osservazioni, una validità quasi assoluta, usandoli come premesse per la deduzione del «sistema del mondo»12. È ovvio che, una volta compiuta questa operazione, le diverse parti del siste­ma si sostengono reciprocamente, e diviene impensabile una continua verifica dei singoli principi. Per questo la teoria di Newton assumerà, nei continuatori, l’aspetto di un sistema dogmatico e defi­nitivo, che poteva essere perfezionato ma non posto in discussione, finendo per costituire un ostaco­lo per ulteriori sviluppi.