APPUNTI SCUOLA IL RISORGIMENTO

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Il Congresso di Vienna aveva rispettato il principio di legittimità solo nell’interesse delle grandi potenze. Infatti il Belgio fu unito all’Olanda formando un regno unico, i piccoli principati tedeschi furono uniti alla Prussia e il Sacro Romano Impero fu sostituito da una Confederazione di 39 stati.

Anche il principio dell’equilibrio fu sfruttato a favore degli stati più potenti. Gli stati vincitori uscirono rafforzati:

  • La Russia ottenne il possesso della Polonia;
  • La Prussia assorbì diversi principati nella Germania;
  • L’Inghilterra si fece assegnare diverse colonie francesi;
  • L’Austria ottenne la Lombardia e il Veneto. Alla Francia furono lasciati i confini che aveva prima della Rivoluzione, ma essa u costretta a pagare forti danni di guerra e a subire un periodo di occupazione militare.
  • Alla Svizzera fu riconosciuta la neutralità perpetua.

L’Italia u oggetto di spartizioni tra le diverse potenze dato che nessun regno italiano era abbastanza potente da far valere le sue pretese.

  • Il Regno di Sardegna (Piemonte, Valle d’Aosta Sardegna) a cui viene aggiunta la Liguria, vede il ritorno dei Savoia;
  • Il Regno delle due Sicilie è il risultato dell’unificazione del regno di Napoli e del Regno di SiciliaÈ dato alla dinastia dei Borbone.
  • Il Papa ritornò nel Regno della Chiesa;
  • Il Granducato di Toscana fu restituito agli Asburgo-Lorena;
  • L’Austria si impadronì della Lombardia e del Triveneto formando il Regno Lombardo-Veneto.

Come si vede l’Austria avrebbe potuto esercitare in Italia un indiscusso dominio.

Per quanto riguarda la Santa Alleanza e il diritto d’intervento puoi leggere il capitolo Restaurazione e primi moti liberali

In Europa tante realtà molto diverse

Dopo il Congresso di Vienna l’Europa presenta molte diversità.

Ai grandi stati nazionali come Spagna, Portogallo, Francia e Inghilterra si contrappone una fascia centrale di piccoli stati, (Boemia, Slovenia, Croazia, Ungheria, Polonia, Grecia, stati italiani, stati tedeschi) e tre imperi multinazionali a est: Russia, Prussia, Austria.

Le diversità riguardano anche il campo politico: alle monarchie più liberali si contrappongono monarchie assolute e conservatrici. Gli staterelli minori vivono sotto la tutela o il controllo degli stati maggiori.

Anche nel campo economico le differenze sono notevoli. Gli stati dell’Europa Occidentale sono evoluti, moderni e con un’economia in forte sviluppo.

A oriente esiste la servitù della gleba, grandi proprietà terriere sono in mano a nobili poco interessati allo sviluppo dell’agricoltura, l’industria è praticamente assente: l’economia è molto arretrata. Inoltre nell’Europa occidentale si era formata una borghesia forte che dominava l’economia e influenzava anche la politica, mentre nell’Europa orientale il predominio apparteneva alla nobiltà terrier e fedele alla monarchia.

Restaurazione

Il congresso di Vienna tentò di far ritornare l’Europa ai tempi precedenti la Rivoluzione Francese. Naturalmente la storia non torna indietro: i cambiamenti avvenuti in campo sociale, economico e culturale faranno apparire del tutto inadeguata la Restaurazione dell’Antico Regime.

Con la restaurazione delle monarchie nobiltà e clero tornarono a occupare le antiche posizioni di privilegio ai vertici dello Stato.

Fu contrastata ogni forma di modernità in campo economico e politico: furono abolite la libertà di pensiero, di religione, di spostamento da un paese all’altro, di scelta di un lavoro o di una professione.  Proprio quelle libertà abolite avevano permesso, dopo la rivoluzione e nell’epoca napoleonica, a molti borghesi di diventare ufficiali dell’esercito, funzionari, amministratori, deputati dello Stato, di avviare industrie, di ammodernare l’agricoltura, di sviluppare il commercio.

Si diffuse la concezione, propria del medioevo,  che  l’alleanza fra lo Stato e la Chiesa poteva garantire la pace e la prosperità dei popoli.

I giornali furono sottoposti a una rigida censura. Le forze di polizia furono notevolmente potenziate.

Malgrado la condanna della Rivoluzione francese furono accolte dai sovrani alcune delle sue conquiste come la coscrizione obbligatoria e la creazione di una burocrazia efficiente.

Borghesia e sviluppo economico in Europa

Esisteva in Francia, Inghilterra, Belgio e in tutte le zone europee industrializzate una borghesia dinamica, istruita, potente. La Rivoluzione francese aveva abolito i diritti feudali, fortemente indebolito e in alcuni casi cancellata l’aristocrazia, aveva dato maggiore libertà ai contadini prima ridotti in stato di servitù, aveva permesso l’ammodernamento dell’agricoltura. L’allargamento del diritto di voto aveva portato al potere i rappresentanti del popolo.

Grandi estensioni di terreno erano passati dalle mani dei nobili e del clero in quelle di imprenditori abili e preparati. Le attività economiche erano state favorite dalle leggi moderne dell’epoca napoleonica. L’abbattimento delle dogane aveva reso i mercati grandi e ricchi e i traffici intensi.

Modernità e conservazione

La scena politica e intellettuale è dominata dallo scontro tra vecchio e nuovo, arretratezza e progresso, tra liberali e conservatori.

Il desiderio di una maggiore libertà e di una effettiva partecipazione alla politica dello stato non era solo un ideale astratto, ma l’esigenza concreta di una moderna classe imprenditoriale che vuole crescere in modo moderno.

Per questo la borghesia chiedeva una maggiore partecipazione, chiedeva di collaborare all’amministrazione dello stato per correggere le storture ereditate dal vecchio regime che impedivano o rallentavano il progresso economico.

I sostenitori di questa tesi furono chiamati “liberali”: essi sostenevano il diritto alle libertà politiche, civili, religiose ed economiche. Queste libertà dovevano essere stabilite e garantite da un parlamento di cittadini eletti dal popolo. Secondo i liberali anche i sovrani dovevano essere sottomessi alla legge.

Differenze di pensiero tra i liberali

Una grande maggioranza dei liberali pensava ad una monarchia costituzionale, mentre una minoranza pensava ad uno stato repubblicano.

Alcuni liberali pensavano ad un suffragio universale mentre altri pensavano al diritto di voto per i cittadini più ricchi ed istruiti.

Un concetto nuovo era il diritto delle nazioni all’auto determinazione. Anche questo andava contro la Santa Alleanza.

Anche i conservatori non erano tutti uguali. Essi erano soprattutto aristocratici nostalgici del vecchio regime, contrari a cambiamenti e riforme sia in campo politico e religioso, sia in campo economico. Naturalmente alcuni erano conservatori radicali mentre altri si limitavano alla conservazione dei privilegi delle classi aristocratiche senza bloccare i progressi della borghesia.

Risveglio economico

Dopo il 1830 si era verificato in Italia un risveglio economico, che accompagnava il risveglio politico. L’Italia aveva partecipato alla rivoluzione industriale europea. Aveva floride industrie tessili nelle regioni settentrionali.

Nel 1839 fu inaugurata la ferrovia Napoli – Portici, ad essa ben presto se ne aggiunsero altre in Lombardia e in Piemonte. Sorsero le prime industrie metallurgiche: la Taylor a Sampierdarena, da cui si svilupperà poi l’Ansaldo, la Societa Elvetica di Milano, da cui nasceranno le O fficine Breda.

Il porto di Genova vedeva aumentare in modo notevole il numero delle navi in partenza e in arrivo: le rilevanti importazioni di ferro, di ghisa, di carbon fossile e di macchinari, indicavano che anche nel regno sardo l’economia industriale e commerciale si affiancava all’ economia agricola.

Sempre a Genova si costituivano le prime grandi compagnie di navigazione per i trasporti transoceanici, come la società Rubattino.

L’agricoltura faceva notevoli progressi soprattutto in Toscana con lo sviluppo dei lavori di bonifica in Maremma e nella Val di Chiana in particolare con la diffusione della mezzadria, che per quel tempo rappresentava un’avanzata for-ma di collaborazione datore di lavoro e lavoratore. Furono istituite le prime scuole agrarie per l’istruzione dei contadini.

Anche nell’Italia meridionale alcune iniziative assunsero una certa consistenza nel campo della coltura del baco da seta e in quello della tessitura e filatura dei cotoni importati. Notevole l’attivita di alcune fabbriche di cristalli, di porcellane e di guanti.

Questo sviluppo industriale rendeva necessaria una maggiore rapidità di comunicazioni: nel Piemonte e nel Lombardo-Veneto i governi promossero la costruzione di una rete ferroviaria e allestirono un’ottima rete stradale. Nell’Italia meridionale, invece, la scarsezza e la cattiva manutenzione delle strade, l’abbandono di molte zone, il banditismo, rendevano difficili gli scambi.

La borghesia lamentava quanto fosse dannoso il peso degli impedimenti doganali tra i vari Stati italiani. Appariva sempre più necessaria l’unificazione economica della penisola.

Dibattito culturale

Il Risorgimento italiano non sarebbe stato possibile senza un vasto dibattito culturale, che interessò la penisola, e si diffuse in modi e forme diverse  presso strati di popolazione sempre piu consistenti.

Mazzini

Notevole importanza ebbe Giuseppe Mazzini (1805-1872). Egli riteneva che solo uno Stato repubblicano avrebbe permesso il raggiungimento di libertà, uguaglianza e fraternità. Avversò continuamente la formazione di uno Stato monarchico. Cercò la propria base di azione nel popolo. Affrontò con spirito e mezzi nuovi il problema dell’indipendenza e dell’unità d’Italia.

Rimproverava alla carboneria la mancanza di una visione nazionale, la fiducia nei sovrani locali o stranieri, l’eccessiva segretezza, la mancanza di una linea politica chiara, lo scarso coinvolgimento popolare.

Secondo Mazzini bisognava rivolgersi a tutti gli Italiani con un programma chiaro e pubblicizzato con ogni mezzo.

Mazzini nel luglio del 1831 creava a Marsiglia la Giovine Italia. La nuova associazione doveva ispirarsi a principi. Questo perché…

  • “tutti gli uomini di una nazione sono chiamati, per la legge di Dio e dell’umanità, ad essere uguali e fratelli;
  • “l’istituzione repubblicana è la sola che assicuri questo avvenire;”
  • “l’esistenza di un re vizia l’uguaglianza dei cittadini e minaccia la libertà di un paese” in quanto lascia che qualcuno goda di straordinari privilegi;
  • la sovranità risiede non in un individuo, ma nel popolo, la cui volontà discende da Dio ed è la sola capace di esprimere il volere divino negli ordinamenti di uno Stato.

Il programma politico e spirituale di Mazzini si può cosi sintetizzare:

  1. provvedere all’educazione e alla formazione di una nuova coscienza popolare quale premessa di ogni azione (“pensiero e azione”);
  2. fare dell’Italia, con una “rivoluzione di popolo”, una nazione unita, indipendente, libera e padrona del suo destino;
  3. fondare una repubblica democratica basata sul suffragio universale, perché tutto il popolo, nella sua interezza, ha il diritto di autogovernarsi;
  4. lottare per un sistema sociale migliore basato su una più giusta distribuzione delle ricchezze;
  5. rinnegare il predominio di una nazione sull’altra.

I moderati

Verso il 1840 il problema dell’unificazione nazionale era diffusamente sentito, ma molti erano contrari al programma mazziniano.

Al Mazzini si rimproverava una certa leggerezza nell’organizzare le sommosse e nel mettere in pericolo la vita dei giovani. Gli si rimproverava anche l’anticattolicesimo del suo penseiero religioso e politico, che dichiarava esaurita la funzione storica della Chiesa e del Papato e vedeva nella loro esistenza un ostacolo all’unificazione della penisola.

Si affiancò alla corrente mazziniana una corrente di opinione più moderata, detta riformista, che all’insurrezione armata preferiva l’azione persuasiva per ottenere opportune riforme. In seno ad essa si manifestarono diversi indirizzi, due dei quali assunsero una fondamentale importanza: quello federalista, ispirato alle idee di Vincenzo Gioberti, e quello liberale e monarchico, sostenuto da alcuni pensatori piemontesi, quali Cesare Balbo e Massimo D’Azeglio.frtyt

Vincenzo Gioberti

Vincenzo Gioberti (1801-1852) del 1843 intitolato Del primato morale e civile degli Italiani, considerava la fede come elemento di fusione e di incentivo all’unificazione nazionale. Escludendo la rivoluzione violenta occorreva trovare una soluzione pacifica, che rendesse il papato artefice dell’unità nazionale. Pensava ad una confederazione di tutti i principi italiani sotto la presidenza del pontefice.

Era un discorso chiaro, un programma apparentemente possibile: esso venne accolto favorevolmente da scrittori famosi, quali il Manzoni, il Rosmini, il Pellico e il Tommaseo, e da una vasta corrente di opinione.

Neoguelfi e neoghibellini

Ricordando il guelfismo medioevale i seguaci delle idee giobertiane si dissero neoguelfi. Col termine di neoghibellini invece vennero indicati quanti volevano  una repubblica federalista. Primeggiavano fra questi il Niccolini, il Guerrazzi, il Ferrari e it Cattaneo.

Il Ferrari e il Cattaneo rappresentavano l’orientamento più democratico, persuasi che la situazione italiana richiedeva anche una soluzione delle gravi differenze tra le classi sociali: cresceva la miseria dei lavoratori mentre grandi ricchezze si accentravano nelle mani di pochi grandi proprietari e industriali. Idee, queste, destinate a costituire un elemento essenziale della futura storia d’Italia e ad avere in quegli anni il loro più appassionato sostenitore in Carlo Pisacane.

Cesare Balbo

Il programma del Gioberti non chiariva a sufficienza quale parte avrebbe avuto l’Austria nella nuova confederazione: o l’Austria vi sarebbe entrata, e in tal caso avrebbe preteso il primo posto rafforzando il suo predominio; oppure ne sarebbe stata esclusa, ma allora sarebbero rimaste fuori dalla confederazione  la Lombardia e le Venezie.

Fu questa la critica mossa al Gioberti da Cesare Balbo (1789-1853) nella sua opera “Le speranze d’Italia”, pubblicata a Parigi all’inizio del 1844.

Secondo il Balbo l’Austria  avrebbe finito presto o tardi per abbandonare l’Italia per espandersi verso it Danubio e i Balcani, dove tutto lasciava prevedere il crollo dell’impero turco: il “compenso balcanico” avrebbe permesso alla monarchia asburgica di rifarsi largamente della perdita subita.

Per spingere ii governo di Vienna a lasciare l’Italia per i Balcani, era necessario che ci fosse nella penisola un forte esercito, capace di affrontare e vincere l’Austria in campo aperto: ecco perché non tanto al pontefice bisognava guardare quanto a Carlo Alberto, sovrano dell’unico Stato dotato di una lunga e gloriosa tradizione militare. Anche il Balbo, dunque, mirava ad una federazione nell’ambito della quale pero doveva essere riservata al papato una funzione moderatrice e al Piemonte un compito preminente.

Massimo D’Azeglio

Il torinese Massimo D’Azeglio (1798-1866) riteneva inutili le rivoluzioni, e sollecitava gli Italiani a confidare in Carlo Alberto, il solo principe disposto a combattere contro l’Austria. Convinto della bontà delle sue idee, si era recato nel 1845 in Romagna per avvicinare al re piemontese i numerosi mazziniani di quella regione. Risultato del viaggio fu la pubblicazione dell’opuscolo “Degli ultimi casi di Romagna” (1846), nel quale cercava di dimostrare la necessità di un nuovo metodo di lotta fondato su una specie di cospirazione alla luce del sole, su una lotta condotta a viso aperto con l’appoggio della pubblica opinione e con l’aiuto politico e militare di Carlo Alberto.

Pio IX

A dare maggiore importanza e più ampia diffusione al programma giobertiano contribuì l’elezione di Pio IX al pontificato, avvenuta il 16 giugno 1846.

Alla morte di Gregorio XVI, avversario del liberalismo e di ogni riforma politica,fu eletto al pontificato il cardinale Giovanni Maria Mastai Ferretti  (1846-1878), già vescovo di Imola dove aveva stabilito contatti con i liberali di cui apprezzava le aspirazioni di fondo, specie dopo la lettura del Primato. Appena salito al soglio pontificio accordò ai condannati politici un’amnistia generale e ai fuorusciti il ritorno in patria.

Un tale gesto provocò un entusiasmo che segnò l’inizio di manifestazioni popolari in tutta la penisola. Il papa concesse anche una limitata libertà di stampa e l’istituzione di una Consulta di Stato, cioè di un organo collegiale a cui erano chiamati alcuni autorevoli cittadini perché suggerissero utili riforme. Un’altra rivendicazione accolta dal nuovo pontefice fu la formazione della guardia civica, cioé di una polizia composta da volontari, che si sostituiva alla odiata polizia di mestiere.

Così, mentre il principe di Metternich dichiarava la sua preoccupazione per gli avvenimenti di Roma, anche il granduca di Toscana Leopoldo II concedeva una certa libertà di stampa e la guardia civica, avviando anche una riforma dei codici.

A sua volta Carlo Alberto, sotto l’incalzare degli eventi, cominciò a cercare la collaborazione dei patrioti e a manifestare un’aperta avversione nei riguardi dell’Austria, specie dopo che nel 1846 essa mirò con vari provvedimenti doganali a rovinare l’economia piemontese.

Un altro chiaro segno dei nuovi propositi del re fu il permesso accordato ai Genovesi di celebrare il primo centenario della cacciata degli Austriaci dalla città, la concessione di una certa libertà di stampa e la formazione di una lega doganale con il papa e con il granduca di Toscana (1847): primo passo verso l’unificazione nazionale.

Alla vigilia del ’48 nell’opinione pubblica italiana, accanto all’entusiasmo per Pio IX, si determinò un diffuso senso di simpatia per Carlo Alberto.

Il patto doganale stretto fra Piemonte, Toscana e Stato Pontificio non fu accettato dagli altri Stati della penisola. Il regno delle Due Sicilie si era distaccato economicamente anche da altri Stati europei e in particolare dall’Inghilterra, che aveva cessato di acquistare in Sicilia zolfo e agrumi. Si era  così determinato un profondo malcontento, soprattutto nell’isola ove nel settembre del 1847 la popolazione aveva dato origine ad alcune manifestazioni di rivolta.

A Milano intanto erano brutalmente stroncate dalla polizia le dimostrazioni popolari per il nuovo arcivescovo italiano, giunto nella capitale lombarda a sostituire l’arcivescovo austriaco. Poco dopo nuovi disordini erano provocati dalla decisione dei Milanesi di astenersi dal fumo per danneggiare le finanze imperiali.

Il 12 gennaio 1848, giorno del compleanno del re, scoppiava a Palermo una rivolta, dilagata ben presto in tutta l’isola. Ferdinando II  chiese aiuto all’Austria. Quando però vide che il papa si rifiutava di concedere agli Austriaci ii passaggio attraverso il suo territorio, promise la Costituzione (29 gennaio 1848). Dopo pochi giorni anche gli altri sovrani erano costretti a concedere la Costituzione e precisamente l’11 febbraio Leopoldo II in Toscana, il 4 marzo  Carlo Alberto e il 14 marzo Pio IX.

All’inizio del ’48, bruciando le tappe, l’Italia intera, fatta eccezione per il Lombardo-Veneto e per i ducati di Parma e di Modena,  — era divenuta « costituzionale.

Si trattava di “Costituzioni”  caratterizzate da molte limitazioni e restrizioni, ma si deve riconoscere che lesse segnarono un deciso passo avanti verso un regime liberale.

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