ANALISI NEBBIA DI CAPRONI

ANALISI NEBBIA DI CAPRONI
Analisi testuale


Schema metrico:

5 strofe di 6 versi ciascuna: 3 novenari + 1 ternario + 1 novenario + 1 senario. Rime: ABCBCA. Tutti i senari rimano tra loro.

Figure di ripetizione:

Il primo verso di ogni strofa è sempre lo stesso: «Nascondi le cose lontane». Inoltre questa formula viene ripresa in altri versi: troviamo nascondimi al v. 8 e poi nascondile al v. 26.

Il 2¡ e il 3¡ verso formano una lieve anafora con la ripetizione del pronome «TU» seguito da due nomi, entrambi quasi sinonimi (Tu nebbia… Tu fumo…).

Anche la formula: « ch’io veda soltanto » è ripetuta più volte, con leggere varianti: la troviamo al v. 9, poi ai vv. 15-16, di nuovo al v. 21 ed infine al v. 27.

Al v. 26 abbiamo un esempio molto bello di figura etimologica e insieme di allitterazione: «involale al volo».

Lo spazio:

La lontananza: è piena di cose che vanno tenute nascoste (vv. 1, 7, 13, 19 e 25), di cose morte (v. 8), che fanno piangere (v. 14), che «vogliono ch’ami e che vada» (v. 20). Per il poeta, quello che è lontano è dunque negativo, è qualcosa che deve essere represso, dimenticato, perché fa soffrire e, cosa interessantissima, perché costringe ad amare e «andare», ad uscire dal nido, cioè a vivere. Il poeta esprime la sua paura di fronte all’ignoto del mondo esterno.

La vicinanza: è composta da poche, essenziali presenze: una siepe (v. 9) e un muro (v. 11) che svolgono il ruolo di delimitare lo spazio ristretto intorno all’IO, due peschi e due meli (v. 15), una strada bianca (vv. 21-22), un cipresso (v. 27), un orto (v. 29) e un cane (v. 30), simbolo per eccellenza della fedeltà, dell’amicizia, della sicurezza. Questo piccolo mondo è lo spazio dell’IO, lo spazio privato e soprattutto protetto in cui rinchiudersi per evitare «le cose lontane», l’ignoto e la negatività del mondo esterno. Il «qui» del v. 30, che riassume in sé tutto il mondo vicino, è messo particolarmente in rilievo dal fatto che è posto ad inizio del verso, e che è rinforzato dal successivo «questo».

Altri temi importanti:

Tra lo spazio vicino e quello lontano si trova la nebbia, che svolge un ruolo importantissimo perché è ciò che permette di separare questi due mondi, e quindi di assicurare al poeta la serenità. La nebbia svolge il suo ruolo protettivo grazie alla sua capacità di nascondere le cose, e quindi di rispondere al desiderio del poeta, più volte espresso, di non vedere (vedi la costante ripetizione del tema «Ch’io veda soltanto»).

La morte: riguardo alla morte il poeta prova dei sentimenti contraddittori. Da un lato per lui quello che è morto va celato e rimosso, perché triste e doloroso (vv. 6-7 e 13-14); ma dall’altro egli si sente legato ad essa perché sa che è l’ultimo, inevitabile rifugio dell’uomo. In altre parole, se è vero che la morte è triste e dolorosa perché racchiude un passato da dimenticare (le cose lontane), è altrettanto vero che essa è l’unica prospettiva indolore per l’uomo affranto, nella misura in cui gli offre un sonno, un riposo eterno. Il poeta sa che un giorno dovrà morire pure lui (dovrà fare «quel bianco di strada […] tra stanco don don di campane» – vv. 21-24), e questa è la sola prospettiva che vuole intravedere per il proprio futuro («Ch’io veda là solo quel bianco di strada» – vv. 21-22). Ad accentuare questo aspetto positivo della morte come di un sonno eterno ed indolore abbiamo, nell’ultimo verso, la figura del cane fedele che sonnecchia. L’idea della stanchezza, del sonno e della morte si trovano così ad essere intimamente legate.

La natura: che sia vegetale, animale o minerale, ha un ruolo protettivo per il poeta, e tiene lontana la visione del pianto, del mondo esterno, violento e ostile. Così, la siepe, l’orto e i quattro alberi riempiono di dolcezza il nero pane del poeta, cioè la sua vita quotidiana; il cane fedele offre un immagine insieme di pace, affetto e protezione; la nebbia è un fenomeno meteorologico positivo; e, allo stesso modo, i «lampi notturni» e i «crolli d’aeree frane» della prima strofa, pur nelle loro sembianze violente, non toccano affatto il poeta, che ne trae unicamente una visione suggestiva.

Osservazioni conclusive:

Le frequenti figure di ripetizione, la presenza di ritornelli sono una costante nella poesia di Pascoli, e gli danno un ritmo cantilenante. Spesso leggendo queste poesie si ha l’impressione di trovarsi di fronte ad una canzone, o più precisamente ad una nenia, dolcemente recitata. Questo loro aspetto musicale (che ne rende spesso difficile la lettura ad alta voce) rispecchia perfettamente il tipo di contenuto che veicolano: il poeta malinconico esprime un forte bisogno d’affetto e di protezione, quasi come se fosse un bambino, e la poesia, col suo ritmo cantilenante, fa le veci di una figura materna, simbolo per eccellenza di amore e protezione.

Il fatto che la poesia si sviluppi sulla base di una contrapposizione tra mondo esterno e mondo privato, e che il primo sia connotato negativamente, mentre il secondo positivamente, è un’altra costante in Pascoli. Ciò si ricollega al bisogno di affetto e protezione, per cui, proprio come un bambino, il poeta sente la necessità di rinchiudersi in un nido e sfuggire ai pericoli della vita, rifiutando persino di “andare” ed “amare” («Nascondi le cose lontane che vogliono ch’ami e che vada!» – vv. 19-20).
Diretta conseguenza delle osservazioni precedenti, troviamo espresso in questa poesia il rifiuto, forse inconsapevole, di crescere, di diventare adulto, attraverso la parola di un IO-bambino. Al di là della sua apparente semplicità e ingenuità, la poesia di Pascoli nasce dall’esigenza dolorosa e lacerante di dar voce a sentimenti intimi e remoti, di regredire verso un passato prenatale.

La poesia è espressione di un IO poetico molto forte, la cui presenza è dominante. Questo ruolo dominante è accentuato dal fatto che, in tutta la poesia, non si parla mai degli uomini: le uniche presenze ammesse fanno parte del mondo naturale.

Le descrizioni del piccolo mondo chiuso in cui si trova il poeta si caratterizzano per un forte determinismo: il muro non è coperto da un generico rampicante, ma dalle valerïane (v. 12), gli alberi nell’orto non sono soltanto specificati in numero (due…, due…), ma anche in genere (peschi e meli) (v. 15). Questa estrema precisione nella denotazione dovrebbe creare un effetto assolutamente realistico dell’ambiente descritto. In realtà queste descrizioni, poiché sono inquadrate in uno sfondo imprecisato e indeterminato (dove siamo? in che periodo? ecc.) e introdotte da una prima strofa dal contenuto altrettanto sfocato (la nebbia, il fumo, le aeree frane), accentuano l’aspetto simbolico della poesia.

Parafrasi:

Nascondi le cose lontane, tu nebbia impalpabile e incolore, tu fumo che sali all’alba, tu assomigli a un fumo che si ha con la tempesta e a un fumo che si ha con le catastrofi cosmiche. Nascondi le cose lontane e per me nascondi il passato lontano che mi ricorda la morte dei miei cari. Che io veda solo la siepe di questo orto, il muro che è pieno di crepe piene di piante spontanee. Nascondi le cose lontane: le cose sono piene di pianto! Che io veda solo le piante che danno le dolci marmellate per il povero pane. Nascondi le cose lontane che mi ricordano gli antichi affetti e che mi dicono di andare! Che io veda solo quella strada bianca che un giorno dovrò percorrere accompagnato dal suono infelice delle campane. Nascondi le cose lontane, nascondile, sottraile ai desideri e ai sogni del mio animo. Che io veda solo il cipresso e solo quest’orto vino a cui sonnecchia il mio cane.