ANALISI LE RICORDANZE DI GIACOMO LEOPARDI
ANALISI LE RICORDANZE DI GIACOMO LEOPARDI
Creazione
Questo canto fu composto a Recanati dal 26 agosto al 12 settembre 1829, dieci mesi dopo il suo ritorno da Firenze e sedici mesi dopo la composizione di A Silvia, e fu pubblicato per la prima volta in Firenze nel 1831. Per il personaggio di Nerina alcuni critici ipotizzano la figura di Teresa Fattorini altri, come Piervirgili in Nuovi documenti, Firenze 1882 p. XVII, ipotizza (per primo) che si tratti di Maria Belardinelli, recanatese, nata da famiglia contadina il 15 novembre 1800 e stabilitasi in Recanati nel 1821 con la famiglia. “Le finestre della casipola da lei abitata” scrive il Mestica “stavano quasi di fronte a quelle della camera da letto di Giacomo, guardanti a settentrione verso il carro di Boote. Era una biondina candidissima, come la Nerina Galatea di Virgilio, e morì il 3 novembre 1827 circa un anno avanti all’ultima tornata di Giacomo a Recanati”.
ANALISI
Il cielo stellato serve per far prendere contatto al poeta con la dimensione mentale e sentimentale dell’adolescenza, che improvvisamente appare perlustrabile, nuovamente, intensamente significativa per il suo animo. Tutto ciò avviene quasi con stupore ( io non credea tornar per uso a contemplarvi….e ragionar con voi).
Da questa rinnovata presa di contatto con la tenera intensità del passato emerge tuttavia una volontà riflessiva e ragionativa, volta a cogliere proprio l’unicità preziosa della facoltà immaginativa giovanile ( quante immagini un tempo, e quante fole / creommi nel pensier l’aspetto vostro / e delle luci a voi compagne ). Visioni, favole, fantasie si inseguono osservando il cielo stellato mentre la natura tutt’attorno ricrea quell’intensità emozionale fatta di bagliori e di sussulti, di profumi, di voci e di echi familiari. In lontananza appaiono il mare ed i monti, margine estremo dell’orizzonte che divide dall’infinito, invalicabile ma idealmente penetrabile con il pensiero e che un giorno potrà essere fisicamente varcato con l’esperienza del viaggio e della conoscenza, meta di un felicità oscuramente ambita, appena sfiorata nell’illusione giovanile. Non è tuttavia quella, filtrata dalla ragione, una vera speranza: è piuttosto consapevolezza del dolore, dell’assenza, del disinganno… che si può barattare solo con la morte. Ricordanza è dunque questo smarrirsi nella contraddittoria ambiguità della rivisitazione dell’ antico piacere dell’immaginazione < di fronte ad una natura seducente >, accanto alla consapevolezza della falsità delle illusioni.
La seconda strofa è un rammarico doloroso ma anche un po’ rancoroso < verso se stesso e verso gli altri > per il venir meno del caro tempo giovanil, più caro / che la fama e l’allor, più che la pura / luce del giorno, e lo spirar…dell’arida vita unico fiore.La dinamica del ricordo si fa qui più vibrata: l’abbandono dolce e nostalgico alle antiche sensazioni viene cancellato da una riflessione amara sul natio borgo selvaggio e sulla sua gente zotica, vil. Soprattutto pesa al poeta l’isolamento, l’abbandono, l’incomprensione, la mancanza di rapporti umani che diano un senso allo scorrere del tempo ed alla memoria del passato. Il suo divenire aspro… spoglio di pietà e di virtù… sprezzator degli uomini …va di pari passo con l’inesorabile fuga del tempo, che viene percepita come inarrestabile lacuna dell’esistenza, come ferita in una vita irrealizzata, disumana, consumata intra gli affanni.
La suggestione è accresciuta dall’atmosfera notturna e dalla prospettiva spaziale indefinita creata dalla campagna. Si ha poi il sussurrare del vento tra i viali profumati. Dalla torre del borgo, portati dal vento, giungono i rintocchi dell’orologio che suona le ore, un richiamo al presente ed un ulteriore stimolo a ricordare. Questi rintocchi erano un tempo motivo di conforto, durante le sue notti insonni in attesa della luce del giorno.
Proprio il suon dell’ora richiama – attraverso un processo di generalizzazione l’insieme delle immagini ora interiorizzate e rivissute. La memoria involontaria agisce enfatizzando l’intensità dei ricordi, riproducendoli nitidi e circondati di tutta la ricchezza di emozioni che sono capaci ancora di condensare attorno a loro. Il ricordo è dunque dolce per sé ma …con dolor sottentra il pensier del presente.
La prospettiva è chiara: se luoghi e situazioni, oggetto della percezione, sono capaci di rievocare il passato, ora la ragione agisce anch’essa in profondità ed impedisce di rivivere l’incanto dell’illusione giovanile. Emerge drammatico il contrasto tra passato – il mio possente errore – e presente, soprattutto come contrasto tra forme psicologiche e disposizioni fondamentali dell’animo, tra loro irriducibili.
La strofa si chiude con il richiamo alla condizione generale della giovinezza intesa come ingenuo, costante, ingannevole vagheggiamento di bellezza e felicità futura. Il garzoncel è assimilato ad inesperto amante, a colui cioè che fa cattiva prova dell’amore proiettando sul futuro e sulla vita tenaci e vane speranze.
E’ appunto il persistere di una sensazione antica, irrazionalmente viva nel presente doloroso – quella dell’ingenua speranza giovanile – il tema centrale della strofa che segue. Ogni volta che Leopardi ritorna con il pensiero e con la parola alla sua giovinezza, si staglia centrale la viva persistenza delle giovanili speranze, degli ameni inganni. E’ impossibile censurare questi ricordi: emerge cioè la tenace persistenza profonda, inconscia del ricordo in quanto esso si lega a bisogni altrettanto profondi dell’animo umano.
Riguardando il suo vivere presente doloroso, ove tutto quello che gli rimane è forse solo l’immagine della morte – … E sebben vóti / son gli anni miei, / sebben deserto, oscuro / Il mio stato mortal – il poeta afferma che non sa evitare di rivivere quell’incanto giovanile, pur nella sensazione tanto dolorosa della sua irrevocabilità .
Certamente il ricordo delle speranze giovanili si ripresenterà anche alle soglie della morte e renderà ancor più amara la sensazione di essere vissuto inutilmente. E tale sensazione si mescolerà dolorosamente con la dolcezza della morte.
Poeticamente nella strofa si risolve una forte contraddizione esistenziale: quella tra il nulla che attende e la volontà di recupero della sua esperienza di uomo dotato di sensibilità .
La strofa è dedicata all’idea della morte che già caratterizza i pensieri giovanili. Una morte invocata, cercata, prospettata, un’idea che si fa strada – … nel primo giovanil tumulto/ di contenti, d’angosce e di desio,.. cioè come risultato delle amare contraddizioni irrisolte, delle continue oscillazioni tra speranze e dolore. E poi la malattia, la morte temuta, rischio reale nell’eterna dialettica che porta l’uomo ad oscillare tra il coraggio ingenuamente ostentato del suicidio e il rinascere del senso della vita, che riconduce alla sua sostanziale ed intensa imminenza. Un ipotetico canto di morte rivolto a se stesso, spesso sanziona nell’esperienza poetica leopardiana tali dolorose riflessioni.
Siamo al centro di una nuova contraddizione. Come può la mente adulta ripensare al passato senza coinvolgere intensamente tutta la sua sensibilità in modo intatto, inesausto, senza cioè esporsi al dolore del ricordo rivissuto? I giorni della giovinezza sono inenarrabili cioè irriducibili alla parola, alla rievocazione. Possono solo essere ri-sentiti, recuperati interiormente. I sorrisi delle giovani coetanee, la condivisione della realtà naturale, l’assenza di invidie, il sostegno, l’aiuto, la festa della vita che sembra coinvolgere direttamente. Il tempo ha però mancato le promesse ed ha consumato in fretta la miracolosa armonia tra vita sognata e vita vissuta, proiettando sempre più l’uomo verso la razionale consapevolezza dell’infelicità . Chi può sottrarsi oggi alla certezza del dolore se ha subito la sottrazione delle speranze giovanili?
Ancora una volta la materia autobiografica si trasforma in discorso paradigmatico sul valore dell’esistenza umana.
Il componimento termina con una problematica ancor più complessa legata alla dinamica del ricordo. C’è lo stupore di non ritrovare tra i luoghi cari la figura concreta e pulsante di vita di Nerina, coetanea del giovane Leopardi, un’altra delle figure femminili emblematiche – nella poesia leopardiana – della splendente e pura speranza giovanile, dell’ingenua gioia del vivere che si spegne troppo prematuramente.
Non a caso l’idillio si chiude con tale riferimento concreto: è come se ora Leopardi volesse verificare la portata del suo ragionare per ricordi e sui ricordi, chiamando in causa un riferimento ancor più pulsante di vita, ancor più incisivo a livello emozionale.
…..caduta forse / dal mio pensier sei tu? Dove sei gita,/ Che qui sola di te la ricordanza / Trovo, dolcezza mia?… La ricordanza, la sola ricordanza, per Nerina, non appare sufficiente ad animare la sensibilità poetica: diventa scacco vitale, troppo ingiusto scacco del tempo. Sembra di trovare il Montale delle Occasioni che dice nella Casa dei doganieri
….la bussola va impazzita all’avventura
e il calcolo dei dadi più non torna.
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s’addipana….
che cioè fa del recupero impossibile del passato una traumatica occasione mancata e non inquadrabile nella normale dialettica tra passato e presente. Anche se poi l’esperienza di Nerina, precocemente scomparsa, viene ricondotta al duro alternarsi di vite e morti in una quasi materialistica alternanza Passasti. Ad altri / Il passar per la terra oggi è sortito,/ E l’abitar questi odorati colli.
Gli ultimi accenti sono nuovamente nostalgici, colti nell’amara nostalgia del ricordo rivissuto come emblema di dolore universale. Il rapido trascorrere della vita di Nerina, viene rievocato nei gesti puri e schietti dell’intimità giovanile, nella gioia dei rapporti con i coetanei e ridesta intatte sensazioni nell’animo del poeta. La sua esperienza diventa di nuovo emblematica e si riconnette al legame istintivo con la vita della natura, che continua a ricreare profondi parallelismi con la vita dell’uomo.
La primavera sembra privata per sempre della presenza di Nerina, che non rivivrà più l’incanto di giorni sereni e di colli fioriti. La sua immagine richiamata dalla ricordanza ( ricordo rivissuto interiormente ) è il solo retaggio di quel tempo, il suo vero sintetico emblema, che meglio di ogni altra immagine richiama la triste consapevolezza del tempo che trascorre inesorabile.
Metro: endecasillabi sciolti, divisi in stanze (o meglio “lasse narrative”) di varia misura.
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Quando guardava le stelle nel passato, all’età di diciotto-venti anni, queste gli ispiravano un’infinità di immaginazioni e di sogni; ora gli restano soltanto i ricordi di un passato finito; ma quel passato ritorna dolce nella memoria per quanto di irripetibile portava dentro di sè e di doloroso per quanto di incompiuto aveva lasciato nel suo cammino. Le speranze che sembravano aprire orizzonti di fama di gloria e di felicità , al contatto con la realtà sono miseramente naufragate, e le aspettative colle quali la Natura in età giovanile aveva riempito la mente e gli animi delgi uomini, sono svanite.
Il tema fondamentale
Il tema fondamentale, che è anche il titolo del canto, è il ricordo che trasfigura la realtà , o per meglio dire va a cogliere nella realtà del passato quegli elementi che sono cari e dolci nella mente e che nessuna sofferenza o angoscia potrà mai impoverire, come i primi moti d’amore che fanno “scolorire il viso” e rendono gli occhi “ridenti e fuggitivi”
La ricordanza del passato è messa in correlazione con la visione del presente: una ricordanza che crea il mito del passato che si spoglia all’improvviso di tutti i suoi elementi negativi e angosciosi: diventa perfino dolce ricordare i suoi ventanni pur non dimenticando che talvolta, seduto vicino alla fontana ha pensato di finire in quell’acqua i suoi giorni annegandovi i suoi stessi pensieri. Ma qualcosa di potente e indistruttibile arresta la sua mente dal percorrere la via che conduce al baratro.
Le ricordanze sono il canto d’addio a Recanati: guardando da quelle finestre dalle quali si affacciava quando era fanciullo e sentiva il canto di Teresa o di Maria Belardinelli e il rumore del telaio o guardava la torre del borgo, sente tutta l’enorme amara differenza con la sua vita presente, il vuoto desolante nel quale rischia di cadere per sempre in un’inerzia che troppe tragiche somiglianze con la morte. Approdato per la terza (era già tornato dal maggio 1823 al settembre del 25, dal novembre del 26 al 23 aprile 1827) e ultima volta a Recanati il 21 novembre 1828 (per ripartire il 29 aprile 1830); da settimane sfogliava a malapena un libro e non leggeva quasi: se ne stata immobile nella sua camera senza vedere nessuno, mangiando una sola volta al giorno, con la finestra spesso chiusa dalla quale trapelavano voci e rumori da fuori, voci e rumori che non riusciva più a riconoscere come suoi rifiutandoli e sostituendoli con i ricordi di altre voci e di altri suoni: è in questa situazione che nasce questo straordinario Canto.
I temi
– Le ricordanze sono un canto compiuto, “il punto d’avvio di tutta la poesia leopardiana, che si fonda sull’antitesi fra realtà e ricordo, fra immagine del passato e immagine del presente, in un contrasto dal quale sgorga la lirica o l’elegia” (Italo de Feo, Leopardi, l’uomo e l’opera, Mondadori, Milano 1972, p. 429).
Se non di tutta l’opera, certamente possiamo considerare Le ricordanze il punto d’avvio per lo studio dei Grandi Idilli, in quanto contengono i temi più importanti della poesia del poeta di Recanati:
a) – elegia della fanciullezza-giovinezza, quando la vita si presenta al ragazzo indelibata e intera, cioè ancora non gustata e non sperimentata; questa elegia richiama inevitabilmente il seguente tema importante:
b) – elegia della speranza che svanisce all’apparir del vero; Le speranze sono i dolci inganni dell’età giovanile, durante la quale sono dolci le illusioni dell’amore, della gloria, della fama, del futuro; ma purtroppo ben presto, dopo giorni troppo rapidi e fugaci, la vita si rivelerà come una sventura, una miseria inutile e senza frutto.
c) – Direttamente connesso col tema precedente è quello della contemplazione dell’amore nella persona di Nerina, che è il completamento della figura di Silvia. Come Silvia rappresenta l’incanto dell’amore appena sbocciato e che non si riesce a tenere nascosto nel cuore, ma travasa fuori attraverso gli occhi ridenti e fuggitivi, così Nerina è l’espressione dell’amore cosciente, dei pensieri e dei sentimenti scambiati, anche se solo attraverso una finestra.
d) – Abbiamo lasciato apposta per ultima la seconda strofa, che sembra fuori dal clima generale del canto: l’invettiva contro Recanati, una rabbia mal contenuta che nasce dall’insoddisfazione della propria condizione di isolamento e di esclusione determinati prima dal ceto sociale e poi da una cultura che invece di creare affratellamento crea una frattura insanabile. I coetanei di Giacomo erano alle prese con problemi quotidiani di tipo esistenziale che si devono innanzitutto risolvere col duro lavoro, nel quale la cultura comunque la cultura occupa un posto marginale, secondario. Se poi la cultura gli ha procurato, dopo sette anni di studio matto e disperatissimo, insieme all’esclusione dagli altri anche una pronunciata gobba visibile a tutti e che è diventata oggetto di scherno generale dei ragazzi della sua età , che diventano perfino cattivi quando lo vedono passare per via accompagnato dal vecchio pedagogo, allora diventa più umanamente comprensibile l’invettiva leopardiana.
Nerina e l’amore
All’improvviso compare Nerina; sia essa Teresa Fattorini, secondo alcuni, o Maria Belardinelli, secondo altri, morta a Recanati nel 1827, la considerazione generale non può che essere la stessa. Nerina come Silvia è una creazione del poeta, che in pratica quasi nulla ha a che vedere con la realtà quotidiana. Magari il personaggio reale è lo spunto, il ricordo, solo l’attimo dal quale parte l’immaginazione, ma il personaggio femminile del canto è creazione ed opera del poeta, che in esso riversa la sua visione dell’amore, della fine della giovinezza, delle speranze deluse, del tradimento della Natura.
Silvia
Silvia è l’idea del primo amore inteso come sguardo ridente e fuggitivo che vive per qualche attimo nel “primo entrar di giovinezza”, è l’idea del sentimento che non si svela ma che si vive nel profondo dell’anima, in quella parte di noi che è inaccessibile a chiunque altro e che resta in quella profondità inaccessibile diventando il mito della giovinezza non vissuta e ormai per sempre svanita, passata senza essere stata goduta.
Silvia è l’immagine oggettivata della giovinezza del poeta e del fato e del fato che ha stroncato la sua vita immatura
Nerina
Nerina vive immaginata attraverso il ricordo: è l’amore stesso come la più potente illusione dei primi giorni inenarrabili della fanciullezza, quando ogni cosa sorride.
Nerina è la fanciulla che sorride al “garzoncello scherzoso”, è l’amore, è la più potente illusione di quei giorni vezzosi e inenarrabili, alla quale il poeta torna a volgersi con una dolorosità profonda ma non angosciante spinto dalla rimembranza che ridesta quelle lontane sensazioni mai più provate, perché altra cosa saranno quelle donne che avranno nella sua vita una certa importanza.
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parafrasi
versi 1-27
La
contemplazione e l’immaginazione: il poeta
Belle stelle dell’Orsa mai avrei creduto di tornare ancora a contemplarvi quasi per abitudine mentre scintillate sul giardino della casa paterna e parlare con voi dalle finestre della casa ove abitai fanciullo e vi conobbi la fine delle mie gioie. Quante immagini e quante fantasie un tempo mi creè nel pensiero l’aspetto vostro e della altre stelle a voi vicine nel cielo! quando, silenzioso, seduto sull’erba, solevo trascorrere gran parte delle sere guardando il cielo ed ascoltando il canto della rana lontana nella campagna. E la lucciola volava presso le siepi e sulle aiuole, mentre i viali odorosi e i cipressi lontani nella selva sussurravano al vento; e la casa paterna risuonava delle voci alterne e delle tranquille opere dei servi. E quali pensieri immensi, quali dolci sogni mi ispirava il vedere il mare lontano e i monti azzurri che scopro dalla casa e che sognavo un giorno di varcare, pensando di trovarvi al di là mondi misteriosi e immaginando per la mia vita un’arcana felicità .
28-49
Contro il natio borgo selvaggio: l’uomo
Né il cuore mi diceva che sarei stato condannato a consumare la mia fanciullezza in questo natio borgo selvaggio, fra gente incivile e spregevole; per la quale parole strane e spesso argomento di riso e divertimento sono dottrina e sapere; che mi odia e mi sfugge non gia per invidia, perché non mi ritiene migliore di sè, ma perché tale pensa che io mi ritenga dentro di me, sebbene mai abbia mostrato qualche segno di ciò. Qui passo gli anni, abbandonato, nascosto, senza vita e senz’amore, e tra lo stuolo dei malevoli divento per forza scortese: qui mi spoglio della pietà e delle virtù e divento dispregiatore degli uomini, per la gente meschina tra cui vivo; e intanto vola il caro tempo della gioventù, più caro della fama e della gloria, della pura luce del giorno e dello stesso respiro: ti perdo senza un attimo di gioia, inutilmente, in questo soggiorno disumano, tra gli affanni, unico fiore dell’arida vita.
50-76
Elegia della ricordanza: il poeta
Viene il vento recando dalla torre del borgo il suono dell’ora. E mi ricordo questo suono era un conforto per me quando ero fanciullo quando durante le mie notti nella camera buia restavo sveglio a causa degli ininterrotti terror, sospirando che giungesse presto il mattino e la luce del giorno. Qui non c’è nulla che io veda o senta che non rievochi dentro di me un’immagine e non sorga un dolce rimembrare. Dolce per sé; ma con dolore subentra il pensiero del presente e un inutile desiderio del passato che mi porta a dire: ho esaurito la mia esistenza. Quella loggia volta ad occidente; queste mura dipinte e quei dipinti che raffigurano armenti, e il Sole che nasce sulla solitaria campagna mi procurarono mille dilettidurante i momenti di riposo dagli studi, quando, dovunque mi trovassi, parlavo come a persona viva con la speranza e l’immaginazione di sogni e illusioni, il mio potente errore giovanile. In queste sale antiche, al chiarore delle nevi, intorno a queste ampie finestre mentre sibilava il vento, risuonarono i giochi e le mie felici grida al tempo in cui a noi si mostra pieno di dolcezza l’indegno mistero delle cose; e il garzoncello come un amante inesperto, sogna intatta e mai gustata la sua vita che sarà piena d’inganni, se la rappresenta come una donna, e ammira una celeste bellezza con la propria immaginazione.
77-103
Elegia della speranza
O speranze, speranze, dolci e ridenti inganni della mia fanciullezza! sempre, parlando, ritorno a voi; perché non so dimenticarvi col trascorrere del tempo e col mutare di affetti e pensieri. Fantasmi, lo so, sono la gloria e l’onore, i diletti e il bene un semplice desiderio. E sebbene vuoti siano gli anni miei, sebbene oscuro e solitario sia la mia vita mortale, lo so che il destino mi toglie poco. Ma ahimè, ogni volta che ripenso a voi, o mie antiche speranze, ed a quel mio primo fantasticare sul mio futuro e lo confronto con questa mia vita così povera e così dolorosa e che solo la morte mi resta dopo aver sognato grandi speranze, sento stringermi io cuore e sento che non mi so rassegnare del tutto al mio destino. E quando pure questa invocata morte mi raggiungerà e sarà giunto la fine della mia sventura; quando la terra per me diventerà una valle straniera e dal mio sguardo fuggirà il futuro; certamente mi ricorderò di voi, e quell’immagine mi farà ancora sospirare, mi renderà duro e aspro l’aver l’aver vissuto invano; e la dolcezza del giorno fatale della morte attenuerà l’angoscia.
104-135
Elegia della giovinezza
E già nella fanciullezza, in quel primo tumulto di gioie d’angosce di desideri, più volte chiamai la morte e a lungo mi sedetti là sulla fontana pensando di porre fine dentro quelle acque alla speranza, al dololore e alla mia vita. Poi ridotto in fin di vita da un’oscura malattia, rimpiansi la bella giovinezza e il fiore dei miei giorni poveri di gioie che così in fretta appassiva; e spesso a tarda sera, seduto sul letto che, testimone, conosceva ormai tutte le mie sofferenze, scrivendo dolorosamente poesie alla luce della fioca lucerna, piansi coi silenzi e con la notte miei unici compagni, la vita che mi abbandonava. E languendo, mentre mi sfuggiva la vita, cantai un canto funebre.
Chi vi può ricordare senza sospiri (di rimpianto), o primi momenti della giovinezza, o giorni pieni di lusinghe, inenarrabili tanto sono straordinari e nuovi, e allorquando al giovane inebriato ed estasiato sorridono le fanciulle; a gara intorno ogni cosa sorride, l’invidia tace non eccitata ancora oppure è benevola; e, inusitata meraviglia, quasi il mondo porge la destra in aiuto, scusa i suoi errori, festeggia il suo nuovo entrar nela vita, ed inchinando mostra di accettarlo per suo signore e lo chiami? Ma sono giorni fugaci: sono dileguati come un lampo. E quale uomo può essere ignaro della sua sventura se trascorsa è ormai quella sua bella età , se il suo bel tempo, se la giovinezza, ahimè la giovinezza è ormai finita?
136-173
Elegia di Nerina
O Nerina! E non odo forse questi luoghi parlare di te? forse sei caduta dal mio pensiero?? Dove sei andata, che qui di te trovo solo la ricordanza, dolcezza mia?. Questa terra natale ormai non ti vede più: quella finestra, dalla quale mi parlavi di solito, e sulla quale riflesso il raggio delle stelle riluce mestamente ora è deserta. Dove sei, che più non sento risuonare la tua voce, quando ogni parola che dalle tue labbra mi giungeva da lontano mi faceva impallidire? Altro tempo. I tuoi giorni furono, mio dolce amor. il tuo passaggio su questa terra è finito. Ad altri ora è dato in sorte passare sulla terra ed abitare questo odorati colli. Ma rapida sei passata e breve come un sogno è stata la tua vita. Avanzavi danzando nel cammino della vita. La gioia ti splendeva in fronte e quelle vaghe immaginazioni intorno all’avvenire e la luce della gioventù ti splendevano negli occhi, quando il destino li ha spenti facendoti giacere nella morte. Ahi Nerina. Nel mio cuore regna l’antico amore. Se qualche volte vado a una festa o a radunanze, fra me stesso dico: a radunanze e a feste Nerina non va più e più non si prepara. Se torna maggio e gli amanti vanno recando alle fanciulle suoni e ramoscelli in fiore, dico: per te Nerina mia la primavera non tornerà mai più, né tornerà l’amore. Ogni giorno sereno, ogni fiorita valle che io miro, ogni piacere che io sento, dico: Nerina ora non gode più; i campi e l’aria non guarda più. Ahi tu sei passata, eterno sospiro mio: passasti e l’acerbo ricordo sarà compagno d’ogni mio caro immaginare, di tutti i mei teneri sentimenti, di tutti i miei tristi e cari moti del cuore.
ANALISI LE RICORDANZE DI GIACOMO LEOPARDI