ANALISI GELSOMINO NOTTURNO

ANALISI GELSOMINO NOTTURNO

ANALISI GELSOMINO NOTTURNO


E s’aprono i fiori notturni,
nell’ora che penso a’ miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni
le farfalle crepuscolari.

5 Da un pezzo si tacquero i gridi:
là sola una casa bisbiglia.
Sotto l’ali dormono i nidi,
come gli occhi sotto le ciglia.
Dai calici aperti si esala

10 l’odore di fragole rosse.
Splende un lume là nella sala.
Nasce l’erba sopra le fosse.
Un’ape tardiva sussurra
trovando già prese le celle.

COMPRENSIONE COMPLESSIVA:

Il componimento poetico, che fa parte della raccolta ” I Canti di Castelvecchio ” , evidenzia l’angoscioso tremore del Pascoli di fronte al mistero dell’amore, che pure egli si proponeva di celebrare in occasione del matrimonio dell’amico Briganti; esso risulta pertanto ben lontano dalle caratteristiche giocose degli antichi epitalami.
La tematica dell’amore richiama quella dell’irrisolta e drammatica condizione dell’uomo su cui incombe, anche nei momenti che dovrebbero essere di relativa felicità, un senso di smarrimento di fronte ad una natura indecifrabile che nasconde segreti ed oscure presenze ( nell’ ora che penso ai miei cari, le farfalle crepuscolari, dormono i nidi sotto le ciglia , nasce l’eba sopra le fosse..).
Il sentimento di mistero e sospensione che riguarda l’uomo nel suo rapporto con la vita e la natura viene accresciuto da ardite metafore sinestetiche ( si tacquero i nidi, una casa bisbiglia, la Chioccetta va con il suo pigolio di stelle, fragole rosse…).
Ne deriva un’atmosfera di trepidazione e di angoscia , che tuttavia è in qualche misura attenuata dalla percezione della casa come luogo di protettiva rigenerazione della vita e del nido come possibilità di ritorno alle origini della vita e di rifugio dalle angosce del mondo.
( Sotto le ali dormono i nidi, splende un lume là nella sala … brilla al primo piano, si cova… non so quale felkicità nuova).
La vita e la morte assieme sono pertanto avvolte da un mistero, che solo il poeta, tornando alle origini di fanciullo che rimpicciolice le cose grandi ed ingrandisce le piccole, può intuire anche se resta irrimediabilmente escluso da qualsiasi possibile felicità ( un’ape tardiva sussurra trovando già prese le celle).
La celebrazione del matrimonio dell’amico e la possibile generazione di una nuova vita, aspetto che troviamo già in Catullo ( parvulus Torquatus), è pertanto il filo conduttorte su cui si articola, attraverso immagini metaforiche e suggestioni fonosimboliche, il complesso mondo interiore del poeta.

ANALISI DEL TESTO:

Il componimento è diviso in sei strofe, formate ciascuna da una quartina , i cui versi novenari sono uniti da rima alternata. Sono frequenti gli enjambements ( in mezzo ai viburni// le farfalle crepuscolari , esala // l’odore, sussurra // trovando, i petali// un poco gualciti….) . Il ritmo metrico e quello sintattico, pertanto, non sempre coincidono suscitando nel lettore un senso di sospensione e di indeterminatezza. Il livello sintattico accentua tali caratteristiche in quando si può notare ,tranne che nella quarta strofe, una costante posposizione del gruppo nominale del soggetto rispetto al predicato verbale e di questo rispetto ai sintagmi preposizionali. Le già citate sinestesie servono a stabilire uno stretto rapporto con la molteplicità delle sensazioni evocate , che sono di ordine visivo, auditivo, olfattivo. Tutto concorre alla rappresentazione di una natura colta nei suoi aspetti panici di difficile decifrazione.
Ogni strofa, inoltre , può essere suddivisa in due emistichi, il cui contenuto è in una relazione analogica ( E s’aprono i fiori notturni –
Son apparse le farfalle crepuscolari . Da un pezzo si tacquero i gridi – sotto l’ali dormono i nidi. Dai calici aperti si esala – nasce l’erba sopra le fosse .Si chiudono i petali un poco gualciti – cova…non so che felicità nuova ).

INQUADRAMENTO CRITICO:

Il componimento esaminato s’inquadra nell’ambito della poetica pascoliana caratterizzata dal senso di smarrimento e da un angoscioso interrogarsi riguardo alla vita ed al mondo che ci circonda. I caratteri del decadentismo sono presenti in modo evidente: la natura è vista come pervasa da simboli , ogni suo aspetto viene rievocato attraverso immagini suggestive ed allusive di altri significati più nascosti, uno stato di angoscia e di esclusione affiora anche in presenza di un evento che dovrebbe essere lieto.
Il senso di morte aleggia ( dormono i nidi sotto le ciglia ) a differenza di altri componimenti quali l’assiolo nel quale esso trova espressione più evidente ed immediata nel <<nero di nubi laggiù>>, a cui si accompagnano il canto misterioso dell’uccello, che prima s’ode come voce dei campi, poi risuona lontano come un singulto, infine diventa <<quel pianto di morte>>. Ugualmente la tematica della morte, dopo l’iniziale illusione di riandare ad un tempo lontano, è evidenziata con chiare immagini ne ” la tessitrice”” << io non son viva che nel tuo cuore. Morta! Sì, morta!…>> ed in Novembre << l’estate fredda dei morti>>. Un’atmosfera analoga a quella del gelsomino notturno è in parte riscontrabile ne “La mia sera”, in cui viene descritta la pace che segue ad un giorno pieno di lampi con allusione alla morte , che segue ad una vita tempestosa ed inquieta. Nell’ultima strofa , tuttavia, Il Don …Don delle campane che dicono, sussurrano , bisbigliano << Dormi!>> e le voci di tenebre azzurre, che sembrano canti di culla, rafforzano ed evidenziano la sottintesa analogia fra la sera di pace e la morte. La tragedia familiare vissuta nell’infanzia è talmente restata impressa nella psicologia del poeta, che egli ne ” Il bolide” immagina di rivivere su se stesso la morte del padre ed il pianto della madre, che ritornano in tanti altri componimenti ( la cavallina storna, X Agosto…). Nella tovaglia addirittura si resta in attesa trepidante dei morti che visiteranno la casa , s’intratterrano con i miseri avanzi della cena e resteranno a pensare con la testa fra le mani. Ugualmente in Digitale Purpurea la sorella Maria conversa con Rachele , la compagna di collegio che si è avvicinata al fiore proibito ed è morta.

Nel gelsomino notturno, pur essendo la tematica apparentemente diversa da quella della morte ( il matrimonio e la possibile nascita di una nuova vita), non cessa la presenza allusiva ad essa, anche se viene espressa con accenni vaghi, quasi impalpabili.
Importante è notare come il linguaggio pascoliano con le sue caratteristice pre-grammaticali e post-grammaticali , quest’ultime ben evidenti nel componimento poetico in esame nell’estrema e minuziosa cura con cui vengno descritti nei loro elementi i fiori nella loro rigenerazione ( s’aprono, esalano, si chiudono i petali un poco gualciti etcc), assume una funzione fortemente connotativa: le immagini e i singoli sintagmi non possono essere interpretati isolatamente, ma solo nel contesto, nell’atmosfera poetica complessiva, in cui i richiami fra le cose sono molteplici e spesso intriganti.
Queste caratteristiche della poetica pascoliana l’avvicinano strettamente alle corrispondences di Boudelaire, all’mbiguità musicale di Verlaine sempre percorsa da dolcezza e da tristezza, agli arditi analogismi di Mallarmè, agli stanchi paesaggi di Jammes e Maeterlink. Pascoli dimostra una consonanza notevole con questa nuova poesia non più diretta a rappresentare la realtà, ma a farne strumento di interpretazione di ciò che sta oltre le cose. La vicinanza con la poesia decadente europea non consiste tanto nei contenuti, che riflettono quasi sempre un mondo semplice, una tensione alla rinchiusura nelle piccole cose, negli affetti familiari, nella rivocazione dell’infanzia con le sue paure, le sue angoscie e le sue scoperte ( in ciò l’aggancio con la tradizione poetica italiana ed il Leopardi in particolare è evidente) , ma si esprime soprattutto nel rivoluzionamento formale con le sue caratteristiche cis-linguistiche e trans-linguistiche, che prima il Pasolini e poi il Contini hanno così ben identificato.Per questi aspetti il Pascoli è davvero un maestro di poetica che traccia delle vie che saranno proseguite dalle avanguardie poetiche del primo novecento: il crepuscolarismo, il futurismo, lo stesso Eugenio Montale.

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