Analisi Dopo quel bacio io son fatto divino

Analisi Dopo quel bacio io son fatto divino


L’amore come forza positiva Come ha sottolineato Binni, nella prima parte delll’Ortis l’amore è un motivo che si contrappone al tema negativo della morte, frenando l’impulso suicida di Jacopo che scaturisce dalla delusione storica. Solo alla notizia del matrimonio di Teresa con Odoardo l’amore convergerà con il tema politico nel determinare la catastrofe. A conferma, si veda come questa lettera sia tutta animata dal senso di ottimistica vitalità che nasce dalla passione amorosa L’amore è teorizzato dall’eroe come forza positiva, da cui scaturiscono la bellezza e l’arte, il rispetto reciproco e la pietà fra gli uomini, le forze fecondatrici che si oppongono alla distruzione e alla morte.

Le “illusioni” e la filosofia. Da questo stato d’animo si origina, nella seconda parte della lettera, la riflessione sulle «illusioni», destinata ad assumere un ruolo fondamentale nell’ opera foscoliana. Lo scenario è quello idillico, caro ad una lunga tradizione che risale ai poeti antichi. Per questo la fantasia di Jacopo evoca in quel paesaggio immagini mitologiche classiche, le Ninfe e le Naiadi. Il mondo classico è concepito come un paradiso di serenità, gioia ed armonia, grazie alla facoltà, propria degli antichi, di crearsi delle illusioni. In questo l’antichità è per Foscolo un modello da seguire ancor oggi.

Le «illusioni» sono da lui contrapposte alla filosofia, vale a dire all’arido razionalismo proprio del pensiero moderno. Il «filosofo», nel linguaggio del tempo, è per eccellenza il philosophe illuminista, che con la sua critica rigorosa dissolve ogni costruzione infondata della mente. Tale razionalismo ha per Foscolo due conseguenze fortemente negative: dando un’immagine esatta della realtà, ci fa percepire in tutta la sua crudezza il dolore che domina la vita umana; ma, quel che più importa, spegnendo le illusioni genera un atteggiamento di rassegnazione, di noia e di inerzia di fronte alla realtà. Poiché Foscolo ha una concezione della vita energica ed attiva, ciò che soprattutto gli fa orrore è la passività, l’inattività. Solo le illusioni secondo lui possono strappare all’inerzia e spingere all’azione. Le illusioni non sono dunque evasione dalla realtà, ma l’unico modo per avere un rapporto attivo con essa. Vediamo di nuovo esprimersi un senso di insoddisfazione di Foscolo per la cultura settecentesca in cui si è formato, ed un’ansia di soluzioni nuove.

l germi di un superamento della crisi. Questa esaltazione delle illusioni prosegue quel percorso che, come si è visto nei due passi precedenti, Foscolo intraprende per aggirare l’ostacolo paralizzante della delusione storica e del suo sbocco nichilistico.

All’illusione della tomba lacrimata, garanzia di sopravvivenza dopo la morte, si affiancano le illusioni dell’amore, della bellezza, dell’arte, che si compendiano nella civiltà classica e nei suoi miti. Sono tutti temi che avranno ampi sviluppi nelle altre opere. Si conferma come l’Ortis non sia solo il documento di una crisi, ma contenga già in sé i germi del suo superamento.

2) Le  Odi e i Sonetti

Foscolo cominciò a scrivere sin da ragazzo odi, sonetti, canzoni e altre composizioni di vario metro: sono esercizi letterari, testimonianze di un apprendistato poetico che rivelano l’influsso delle tendenze di gusto e delle tematiche correnti del tempo, dalla galanteria arcadica alla severità neoclassica, dall’ossianismo alla poesia sepolcrale, all’impegno politico e civile. Il poeta fece una scelta rigorosa di tutta questa produzione, pubblicando nel 1803 le Poesie, che comprendevano solo due odi e dodici sonetti.

Le Odi Le due odi, A Luigia Pallavicini caduta da cavallo e All’amica risanata, risalgono al periodo della scrittura dell’Ortis, ma rappresentano tendenze opposte: se l’Ortis, con la sua passionalità ed il suo soggettivismo esasperati, con la figura dell’eroe sventurato ed esule, con il ricorrere ossessivo del tema della morte e le tonalità cupe che questa evoca, rimanda a tematiche di tipo preromantico, le Odi rappresentano le tendenze più squisitamente neoclassiche della poesia foscoliana. Al centro di entrambe vi è il vagheggiamento della bellezza femminile, trasfigurata attraverso la sovrapposizione delle immagini di divinità greche; vi sono rappresentazioni intensamente visive e plastiche, dalle linee ferme ed armoniose, in cui il poeta sembra voler riprodurre i canoni della contemporanea pittura o scultura neoclassica; ricorrono continui richiami mitologici, evocati con raffinata erudizione; il lessico è quanto mai aulico e sublime e la struttura sintattica riproduce le architetture del periodare classico.

Ma mentre l’ode A Luigia Pallavicini conserva maggiormente un carattere di omaggio galante e settecentesco alla bella donna, All’amica risanata ha più alte ambizioni e vuole porsi come un discorso filosofico sulla bellezza ideale, sul suo effetto di purificare le passioni, rasserenare l’animo inquieto degli uomini, ed anche sulla funzione eternatrice della poesia che canta la bellezza. Il neoclassicismo di Foscolo si rivela dunque ben diverso da quello arcadico e montiano, esteriore e puramente esornativo: il culto foscoliano della bellezza esprime un’esigenza autentica e profonda, che nasce da un rapporto problematico con un momento storico tormentato e violento e dal bisogno di contrapporre ad esso valori superiori, sottratti al divenire, di cui la letteratura si deve fare portatrice .

I Sonetti I sonetti sono più vicini alla materia autobiografica e alla passionalità dell’Ortis. La maggior parte è infatti caratterizzata da un forte impulso soggettivo, che rivela la matrice della lirica alfieriana; fitte però sono le reminiscenze di altri poeti, soprattutto di Petrarca e dei poeti latini. Tra questi sonetti spiccano tre autentici vertici poetici, Alla sera, A Zacinto, In morte del fratello Giovanni. In essi la classica forma del sonetto è reinventata in modi fortemente originali, nella struttura sintattica e metrica, nella tessitura delle immagini, nel gioco timbrico, ritmico e melodico del verso. Ma vi sono anche ripresi, in un discorso di estrema densità lirica, i temi centrali delll’Ortis: la proiezione del poeta in una figura eroica sventurata e tormentata, il conflitto con il «reo tempo» presente, il «nulla eterno» come unica alternativa, l’esilio come condizione politica ed esistenziale insieme, l’impossibilità di trovare un terreno stabile su cui poggiare, che si traduce nell’impossibilità di trovare un rifugio consolante nella famiglia; l’illusione della sepoltura lacrimata, il rapporto con la terra «materna» e con il mito antico, il valore eternatore della poesia. Ricompare dunque sia il motivo nichilistico dell’Ortis, sia quella ricerca di valori positivi, al fine di un superamento dell’approdo nichilistico, che era già in atto entro il romanzo; si conferma e chiarisce, cioè, quella linea di meditazione poetica che troverà il suo culmine, pochi anni dopo, nei Sepolcri.