Analisi di dieci novelle del Decameron

Analisi di dieci novelle del Decameron

INDICE

  1. Struttura del Decameron
  2. Sintesi e analisi della prima novella della prima giornata
  3. Sintesi e analisi della nona novella della seconda giornata
  4. Sintesi e analisi della prima novella della quarta giornata
  5. Sintesi e analisi della quinta novella della quarta giornata
  6. Sintesi e analisi della prima novella della quinta giornata
  7. Sintesi e analisi della nona novella della quinta giornata
  8. Sintesi e analisi della decima novella della sesta giornata
  9. Sintesi e analisi della terza novella dell’ottava giornata
  10. Sintesi e analisi della terza novella della nona giornata
  11. Sintesi e analisi della decima novella dell’ultima giornata

Struttura del Decameron

Il Decamerone fu scritto probabilmente tra il 1349 e il 1351. In esso si narra la storia di sette donne e dieci uomini, che dovendo sfuggire alla peste che aveva colto  Firenze in quel periodo (e in tutta l’Italia), parliamo della famosa peste nera, decidono di fuggire in una villa fuori città ( si ritiene che fosse la villa di Fiesole) e per ammazzare il tempo, racconteranno a turno una novella ciascuno ogni giorno, per dieci giorni, per un totale di 100 novelle.

Sicché il Decameron è una raccolta  di 100 novelle, nella cui composizione assumono fondamentale importanza sia il Proemio, che la cornice.

In merito nel proemio il Boccaccio esplicita le motivazioni che l’hanno portato alla redazione dell’opera. Molto interessanti sono i motivi: un libro per chi è afflitto da pene d’amore, nell’intento di dare loro consigli utili. Bisogna ricordare che il lettore medievale era nel periodo medievale prevalentemente donna, sicché il romanzo sembra essere deliberatamente fatto per le donne. Ecco, la fortuna che è a loro mancata, può essere sopperita attraverso una lettura che le possa distrarle dalle angustie del vivere quotidiano.

Anche la cornice svolge una funzione fondamentale. Che cos’è la cornice? Tutto ciò che è al di fuori del mero racconto delle novelle, dai fatti delle novelle, quindi: la Firenze afflitta dalla peste; la descrizione stessa del contagio; il cambiamento di usi e costumi che è stato provocato dalla peste; alla descrizione dei fatti reali, si contrappongono i fatti delle novelle: i giovani grazie alle proprie forze saranno in grado di dare un ordine alle cose. Ed è proprio la cornice a dare una sorta di continuum che lega tra loro le varie novelle.

Le novelle hanno una forte vocazione narrativa, una forte vocazione al racconto breve. Sono cento come i canti della Divina Commedia. In questo periodo va distinta la novella di taglio episodico dalla novella di destino.

Ogni giornata in cui si raccontano le dieci novelle ha un tema, scelto dal re o dalla regina (i ragazzi o le ragazze): il tema della prima giornata è libero e ad introdurre la giornata è Panfilo.

Il tema della seconda giornata è quello delle avventure a lieto fine e la regina è Filomena (amante del canto, oppure colei che è amata).

Il tema della terza giornata introdotta dalla regina Nefile, si narra di chi ottiene o ritrova una cosa desiderata da tanto tempo. Qui si intrecciano vari temi: il tema della fortuna, quello della virtù dell’ingegno, la dialettica versus la fortuna.

Nella quarta giornata il tema è quello degli amori infelici, il re è Filostrato (vinto d’amore). E’ Boccaccio a introdurre la quarta giornata, risponde alle critiche dei suoi denigratori che lo accusano di occuparsi di argomenti futili, e Boccaccio risponde citando figure femminili reali. In questa giornata Boccaccio vuole spiegare la natura dell’istinto, come la potenza dell’eros sia predominante. Molto importante in questa giornata è la novelletta delle papere. Papere uguale a demoni. Si racconta la vita del mercante fiorentino Filippo Balducci. La novella si chiude con le considerazioni di Filippo Balducci sulla natura e sulla sua forza.

La quinta giornata è quella degli amori a lieto fine. La regina è Fiammetta. Vi è un meccanismo di ribaltamento tra la quarta e la quinta giornata. Si comincia con una tensione aspra e poi il clima si rasserena verso il lieto fine man mano che la giornata scorre. Il lieto fine nel Decameron bisogna conquistarselo attraverso una serie di avventure. C’è uno schema iniziatico: il fanciullo diventa uomo e acquista il potere a sposarsi.

Sesta giornata, è la giornata elogiativa dell’arte del saper ben parlare. Le novelle si svolgono interamente a Firenze e Certaldo. Viene qui celebrato lo spirito fiorentino. Memorabile è la novella di Frate Cipolla. E’ la giornata che apre il secondo gruppo di cinque. La regina è Elissa.

La settima giornata è aperta da Dioneo e si narra delle beffe fatte dalle donne ai loro mariti. Sono donne scontente per la loro condizione matrimoniale, vi è un inappagamento sessuale. La beffa consiste in un equilibrio a due, per poi passare ad un equilibrio triangolare. E’ la giornata delle beffe per amore o per salvamento, è la giornata dei falsi pudori.

Ottava giornata, regina Lauretta, si narra di qualunque tipo di beffa. Qui troviamo due novelle dedicate a Calandrino, personaggio alquanto buffo. L’excursus su Calandrino si snoda diciamo in quattro atti: due novelle nell’ottava giornata, e due novelle nella nona giornata.

La nona giornata è la giornata del tema libero come la prima; mentre la decima ed ultima giornata vede come re Panfilo, se i temi che vanno dalla seconda all’ottava giornata sono stati quelli della fortuna, dell’amore, dell’ingegno, nella decima giornata abbiamo novelle di magnanimità, quelle dei gesti splendidi, delle grandi rinunce. E’ la giornata della virtù per eccellenza. Le novelle quattro e cinque, trattano questioni già trattate nel “Filoloco” sua opera giovanile, sono una sorta di riepilogo.

La struttura del Decameron è molto simile a quella della commedia dantesca. Si tratta di cento novelle divise in tre grandi aree tematiche: fortuna, amore, ingegno più la liberalità. E’ una mappa di tutto il vivibile, la grammatica di tutto ciò che si può raccontare.

Boccaccio non si propone temi trascendentali, egli vuole far distrarre, cosicché apre alla narrativa realista occidentale, come nello stesso periodo Petrarca inventa la lirica, la poesia dell’io, dell’introspezione.


Riassumendo:

–  nel Decameron si riassume una secolare tradizione di cultura cittadina e borghese che riflette non solo l’ascesa dell’intraprendente classe mercantile fiorentina, ma anche i più antichi ideali cavallereschi

–  L’importanza della cornice è data dal fatto che nella contrapposizione alla versione di morte descritta nell’introduzione, essi designano il quadro di una vita che si ricostituisce con la gioiosa serenità della giovinezza e la comune fiducia in un’umanità ingentilita e riscattata dal dolore.

–  Il Decameron è un grande repertorio di tipi e di situazioni, di burle, di motti, di trame romanzesche e quotidiane.


 

  1. Prima giornata: Novella 1.

Abbiamo detto che il tema della prima giornata è libero e la regina è Pampinea.

La prima novella viene raccontata da Panfilo (il tutto amore). Panfilo racconterà spesso novelle ad alto contenuto erotico.

I protagonisti sono vari, innanzitutto viene presentato il personaggio di Musciatto Franzese, possidente mercante i cui titoli nobiliari li aveva avuti sotto la corte francese. Musciatto Franzese è un abile mercante, è uno che ci sa fare negli affari, uomo di vita vissuta, che è presente nel mondo mercantile e del commercio da una vita. Doveva riscuotere dei soldi in Borgogna. I borgognoni erano uomini di non buon carattere, talvolta sleali.

Messer Musciatto Franzese incarica Ser Cepparello di andare a riscuotere i suoi crediti in Borgogna. Ma chi era Ser Cepparello? I francesi lo chiamano Ser Ciappelletto storpiando il nome; l’uomo proviene da Prato. Era notaio che falsificava i documenti, talvolta diceva il falso per divertimento, aveva vinto moltissimi processi giurando il falso. Uomo senza scrupolo, scandaloso e malvagio, si racconta che fosse così malvagio che quando si trattava di assistere ad un omicidio egli andava di propria volontà senza mai negarlo, e ne provava un gran piacere. ‘Desiderava le donne come i cani desiderano le bastonate’ afferma Boccaccio. Amante del vino ed accanito giocatore, ancora Boccaccio chiude la descrizione con ‘era probabilmente solo il peggior uomo che fosse mai nato’.

E proprio Musciatto Franzese decise di affidargli la riscossione di questo credito, proprio in virtù del fatto che i borgognoni erano un popolo sleale, e Ser Cepparello era della stessa pasta, con le stesse ‘abilità’. Tra l’altro Ser Cepparello necessitava di soldi ed era senza lavoro, così accettò l’incarico.

Partì per la Borgogna e qui trovò alloggio in casa di due fratelli fiorentini, i quali manco a farlo apposta, erano degli usurai. In questo periodo di soggiorno Ser Cepparello fu colto da infermità, e nonostante le cure e la visite di medici onorevoli il notaio non guariva: i due usurai volevano liberarsi di Ser Cepparello e parlavano tra di loro nella stanza attigua a quello del notaio che senti tutto e disse ai fratelli fiorentini che nel momento in cui si fosse trovato in punto di morte, gli avrebbero dovuto chiamare il migliore frate della regione, garantendogli che avrebbe pensato lui ad aggiustare gli interessi suoi e loro.

I due fratelli seguirono il consiglio del notaio, e gli portarono al capezzale il miglior frate della regione.

Qui inizia una parte importantissima della novella: la confessione!

E con la confessione esce fuori Ser Ciappelletto il menzognere. Il notaio non si era mai confessato in tutta la sua vita, ma disse al frate che era solito confessarsi una volta a settimana, e che causa infermità non aveva potuto più confessarsi. Il frate iniziò a compiacersi dell’atteggiamento del notaio, in quanto ser Ciappelletto gli disse che ogni volta che si confessava voleva ricordare tutti i peccati di cui si era macchiato. In realtà era una scusa per confessarsi una volta per tutte. La confessione era un momento importantissimo nella vita di un cristiano. Cosi il frate gli chiese se avesse mai commesso peccati di lussuria con qualche donna, e il notaio gli disse che era vergine come se in quel momento fosse uscito dal corpo della madre. Poi gli chiese se avesse commesso peccati di gola, e ser Ciappelletto gli disse che ne aveva commesso di questi peccati, sebbene la religione gli imponesse di digiunare tre volte a settimane egli aveva bevuto e mangiato con piacere oltre il consentito. Ma il frate gli disse che non doveva preoccuparsi erano queste cose normali.

Gli chiese poi se avesse commesso peccati di avarizia, e Ser Ciappelletto abile menzognere disse al frate che il fatto che si trovasse nella casa di due usurai non voleva dire che era con loro coinvolto, ma che era in casa loro per redarguirli. Gli raccontò inoltre che tutti i beni da lui posseduti erano stati devoluti alla chiesa.

Il frate sempre più compiaciuto di quest’aurea di santità che il notaio mostrava, passò ad indagare nei suoi vecchi trascorsi, e Ser Ciappelletto gli disse che una volta aveva incassato più soldi di quanto gli spettavano, ma che poi aveva devoluto questa somma in beneficenza.

All’improvviso Ser Ciappelletto iniziò a piangere (continuando nella sua recita): non aveva confessato al frate il più grande peccato, cioè quello di aver offeso una volta sua madre, ma il frate lo rassicurò dicendogli che in questo caso il pentimento bastava; così lo assolse dai suoi peccati, considerandolo un uomo santo.

I due fratelli fiorentini avevano ascoltato tutta la confessione di ser ciappelletto e quasi gli scoppio da ridere, ma sentirono inoltre che Ser Cepparello ottenne che la sepoltura fosse avvenuta nella cappella dell’ordine religioso del frate.

La morte di Ser Ciappelletto avvenuta in tempi brevi dalla sua confessione, accellerò i processi di ‘beatificazione’. Si tenne la processione dove partecipò tutta la popolazione, e dove il notaio venne lodato come esempio di vita. Fu seppellito in una grande arca di marmo.

Da quel momento tutti lo lodarono, era diventato un santo, infatti lo chiamarono San Ciappelletto, addirittura arrivarono ad attribuirgli miracoli.

Perché è importante la confessione?

La confessione ci fa capire quanto in epoca medievale la religione contasse. L’espiazione dei peccati tramite la confessione equivaleva alla salvezza dell’anima, e quindi ad una vita nell’aldilà. Ser Ciappelletto non aveva esitato a mentire – uomo squallido qual’era – per guadagnarsi l’oltre vita. Boccaccio inoltre mette in scena attraverso una descrizione certosina la varietà dei caratteri umani, descrivendo con dovizia di particolari i vizi del notaio. Si mette in scena inoltre anche il mondo mercantile fatto di affari, commercio ed usurai.

Molto importante in questa novella inoltre è ciò che dice Panfilo. Egli spera che una volta udita questa novella ognuno dei protagonisti ne esca rafforzato in nome di Dio. E’ la grazia divina che permette di superare l’angustia del vivere quotidiano, le angosce e le difficoltà. Panfilo ci tiene a sottolineare che tutto ciò che ha provato a dire, sarà espresso attraverso la novella che narrerà.

 

  1. Giornata seconda: Novella 9.

La seconda giornata cade di Giovedi, abbiamo come regina Filomena, e il tema sarà quello delle avventure a lieto fine.

Il lieto fine nel Decameron si conquista; dalla seconda alla quinta novella siamo nel bel mezzo della classe mercantile. Ad esempio il protagonista della quinta novella è Andreuccio da Perugia che sia cala in un sepolcro trovando un rubino da 500 fiorini. La novella sei è quella di Madonna Beritola, mentre la settima è quella di Alatiel figlia del sultano d Babilonia, portatrice di amore devastante. Sorta di divinità muta che porta amore e morte. L’ottava novella è la novella della falsa calunnia, dove il conte D’Anguersa, falsamente accusato, va in esilio e lascia i suoi due figli in diversi luoghi d’Inghilterra.

Tornado alla novella 9, alla base di questa novella vi è un motivo folklorico: si fa una scommessa sulle castità delle proprie mogli. Il Boccaccio adatta la novella al contesto mercantile. Fu una novella che piacque molto a Sheakspeare che infatti ne ricavò una storia.

Filomena la regina della giornata dichiara di rispettare gli accordi presi con Dioneo che chiede di narrare per ultimo, e dice di prendere spunto da un proverbio del tipo “chi la fa l’aspetti”. Prendete il mio racconto come un esempio per difendervi dagli ingannatori – dice – .

La nona novella inizia in un albergo parigino, ci sono molti mercanti italiani, siamo nel dopocena e tutto l’ambiente è rilassato….ma le mogli lasciate a casa non si consolano certo facendo le Penelope. Bernabò da Genova – uno dei protagonisti principali della novella – dice che sua moglie è una donna onestissima. Fa un ampio ritratto di lei, tessendone le lodi e mettendone in risalto la sua castità, inoltre dice che è donna efficiente e completa, abilissima nell’occupazione maschile. Ambrogiuolo di Piacenza (l’altro protagonista della scommessa. Il primo è Bernabo.) dissente delle parole di Bernabò, facendo discorsi generalistici che imputavano le mogli di poca fedeltà, mentre Bernabò ancora una volta cerca di difendere l’onore delle donne savie. Più la novella va avanti e più si assiste al duello verbale tra Bernabà e Ambrogiuolo. Bernabò passa dall’essere ‘turbatetto’ a ‘turbato’. Finché non decidono di scommettere sulla fedeltà delle loro mogli. Bernabà si gioca 5000 fiorini sulla fedeltà della moglie, Ambrogiuolo 1000 fiorini: Bernabò avrebbe sedotto la moglie di Ambrogiuolo donna Ginevra e gli avrebbe portato le prove del misfatto. In caso di perdita della scommessa avrebbe dato mille fiorini ad Ambrogiulo.

Ambrogiulo così si reco a Genova, trovò la casa della donna e con un abile inganno, riuscendo a stringere un patto con la domestica di donna Ginevra, riuscì a nascondersi in un baule nella stanza da letto della donna.

Qui ogni volta che la donna usciva dalla stanza, Ambrogiulo contemporaneamente usciva dal baule, e studiava la stanza nei minimi particolari, rubando talvolta degli indumenti….

In una delle sue ispezioni essendo donna Ginevra nella stanza, notò un giorno che la donna aveva un neo grande sotto la mammella sinistra.

Era una prova questa per dire a Bernabò che era stato con la moglie: Ambrogiulo per vincere la scommessa ricorrerà all’inganno. Trovato questo particolare ritorna a Parigi e racconta come a Bernabò il falso prima mostrandogli i vesti che aveva rubato nonché l’anello rubato, e poi svelandogli il particolare della mammella.

Qui diciamo si conclude il primo tempo della novella, o meglio la prima parte.

Bernabò va su tutte le furie, non riesce a sopportare un simile affronto, non riesce a sopportare che la moglie l’abbia tradita, vuole e deve vendicarsi di donna Ginevra. Nel frattempo Ginevra viene a sapere che è Bernabò è adirato con lei.

Bernabò allora decise di far uccidere la moglie da un amico, ma donna Ginevra raccontando tutto l’accaduto al amico nel momento di morte, riuscì a convincerlo a non ucciderla. Serviva ancora una volta un artifizio per far credere a Bernabò che lei fosse morta. Diede infatti all’amico del genovese i suoi vestiti, mentre lei scappò da Genova, e modificando i suoi tratti somatici, (un taglio di capelli molto corto, e il seno schiacciato nel vestito) si travestì da uomo e  s’imbarcò sulla nave del capitano catalano En Cararh, facendosi chiamare Sicuran de Finale. La nave in uno dei viaggi salpò al porto di Alessandria d’Egitto. Al sultano d’Alessandria piacque Sicurano, ricordiamo descritta dal marito Bernabò completa e abile nell’occupazione maschile, e cosi convinse il capitano En Cararh di farla rimanere alle sue dipendenze. Donna Ginevra sempre nelle vesti di Sicurano riusci ad acquistare la fiducia del sultano: era bravo nell’arte di curare e guardare i falconi (governare i falconi non era cosa semplice).

Il punto: Ambrogiuolo sa che la donna è morta. Bernabò sa che la moglie è morta. Ora è donna Ginevra ad avere in mano i fili del racconto.

Intanto Ambrogiuolo ormai preso dalla vita mercantile, ritorna al suo mestiere e per lavoro si trovò ad Alessandria d’Egitto. Venne notato da donna Ginevra (sempre Sicurano) che gli trovò indosso i suoi vestiti. Gli chiese come aveva fatto ad averli, ed Ambrogiulo gli raccontò ciò che aveva raccontato a Bernabò (cioè l’inganno). Sicurano disse di essere compiaciuto da questa storia e voleva che Ambrogiuolo raccontasse la storia al sultano; nello stesso tempo convocò anche Bernabò alla corte.

E qui che venne fuori tutto il misfatto, donna Ginevra fece minacciare Ambrogiuolo dal sultano: doveva raccontare tutta la verità e come si erano svolti i fatti davanti a Bernabò. Svelato l’arcano, donna Ginevra riuscì a discolparsi ritornando a vivere con Bernabò, Ambrogiulo fu legato da un palo, e non solo ucciso, ma divorato dagli animali.

Si possono fare alcuni commenti: innanzitutto nella novella si nota come il Boccaccio del Decameron non ha più bisogni di sforzi di retorica, cosi come gli era accaduto nel “Filoloco” (opera giovanile). Si tratta di una novella sfondo folkloristico, dove forte è la polemica antiveneziana. Ma soprattutto si può affermare come dice Filomena (regina della giornata) che effettivamente “l’ingannatore rimane ai piè dello ‘ngannato”.

 

 

  1. Quarta giornata: Novella 1.

La quarta giornata ha come re Filostrato e cade di lunedi. Il tema è quello degli amori che sfociano in un infelice fine. E’ Boccaccio come abbiamo già ribadito ad introdurre la quarta giornata. E’ l’unico caso in cui interviene nel discorso, abbiamo già detto che risponde ai suoi denigratori che lo accusano di occuparsi di argomenti futili e lui risponde citando figure femminili reali, non però nella prima novella della quarta giornata dove i due protagonisti principali sono il principe di Salerno Tancredi, e sua figlia Ghismonda. Entrambi sono personaggi inventati.

Tancredi, sovrano umano e di buon carattere, durante tutto l’arco della sua vita rivolse tutto il suo amore per l’unica figlia Ghismonda. La figlia era molto legata al padre, ma necessitava di sposarsi.

Tancredi fu uomo di benigno ingegno che nella vecchiaia si macchiò di un empio delitto. La vita di Tancredi fu fortemente condizionata dall’amore per la figlia. Ghismonda era donna saggia, giovane e bella, e viene colpita dalla spiritualità di un giovane valletto che frequenta la corte del padre.

Ma non poteva chiedere al padre di sposarsi con questo valletto, cosi decise di averlo come amante: così nacque una forte passione e un forte innamoramento tra il valletto e Ghismonda.

Perché non rivelare la storia?

C’era un divario sociale immenso tra Ghismonda e Guiscardo (il valletto). E poi come comunicare con Guiscardo visto che la relazione era segreta? Ghismonda sceglie la strada dello scherzo dando una canna a Guiscardo e mettendo un bigliettino dentro la canna. Guiscardo prende la canna e il biglietto e finalmente si realizza il rapporto a due.

Dov’è la saggezza di Ghismonda? La saggezza fino a quel momento sta nell’essere riuscita ad evitare lo scandalo.

In questo senso nelle intenzioni di Boccaccio tutto doveva essere eccessivo, ed eccessivo è l’uso dei simbolismi, come del resto nel medioevo. Vi è una perfetta coincidenza del registro simbolico con le immagini del racconto.

Un giorno il principe Tancredi si addormentò nella stanza della figlia, che aveva dato appuntamento proprio quel giorno in camera sua a Guiscardo. Tancredi dormiva sullo sgabbello e con la testa appoggiata sul letto. E’ l’unico momento in cui la logica ferrea del Decameron decade. Ghismonda inizia a fare l’amore con Guiscardo, si udono sollazzi. Ghismonda e Guiscardo non si sono accorti della presenza del principe, presi dalla loro passione amorosa.

Qui dobbiamo rifermarci un attimo:

Boccaccio per arrivare al massimo della tragedia mette in scena il triangolo Tancredi-Ghismonda-Guiscardo.

I due amanti non si accorgono di lui, e la vendetta di Tancredi si consuma nel fatto che egli rimane immobile guardando tutta la scena.

Tancredi esce dalla stanza utilizzando la finestra, comportandosi come un amante per tenere segreta la cosa. Boccaccio dice che Tancredi aveva una scarica di adrenalina così forte che nonostante l’età riuscì ad arrampicarsi dalla finestra e fuggire.

In effetti Tancredi vedendo tutto l’amplesso si traumatizza.

Giorno seguente: Tancredi fa catturare Guiscardo, e gli chiede perché l’aveva umiliato in questo modo lui risposte con una frase ad effetto: “ Amor può troppo più che né voi né io possiamo”. Parentesi: con questa frase di apre anche la poetica stilnovistica dantesca.

L’arresto di Guiscardo deve rimanere segreto, Tancredi ammette alla figlia che ha visto l’amplesso. Pur essendo un debole di carattere egli gioca con il suo ruolo autoritario.

Il filologo Luigi Russo parla di Tancredi come una figura senza carattere, una figura non ben riuscita dal punto di vista della resa del dramma.

Da una parte abbiamo Tancredi preso da una forte crisi di pianto, dall’altra Ghismonda, che non ammette di essere rimproverata dal padre. Infatti rivolgendosi al padre dice che non ha fatto altro che assecondare il suo diritto naturale, senza vergogna, ma con tanta prudenza, senza recargli alcun danno.

Il principe gli risponde che aveva già deciso la sorte di Guiscardo, e di lei non sapeva che farsene.

Ghismonda pensava che suo padre aveva fatto già uccidere il suo amante, e cosi gli disse che lo amava e che lo avrebbe sempre amato, e che se lei aveva agito in questo modo era solo colpa di suo padre che, essendo ormai vecchio, non aveva pensato ai desideri che prova una giovane essendo anch’essa fatta di carne, e tra l’altro non si era preoccupata di farla sposare nuovamente.

Sul ragazzo invece disse che era più nobile d’animo lui di tutti i nobili presenti a corte.

Il padre fu molto colpito dalle parole della figlia, ma nonostante questo ordinò che Guiscardo fosse strangolato e che gli fosse portato il suo cuore.

Il giorno dopo Tancredi fece portare alla figlia una coppa d’oro (simbologia del Sacro Graal) con dentro il cuore del ragazzo con l’augurio che si potesse lei consolare con il cuore di colui che aveva amato di più. In questa scena si scorge il Tancredi sadico!

La ragazza per farsi beffa dell’ultima volta del padre, gli fece portare i propri ringraziamenti per aver seppellito il cuore di così nobile persona, nella maniera che più gli si addiceva, vale a dire nell’oro della coppa, e dopo aver salutato il cuore dell’amante si avvelenò.

Ghismonda muore per disperazione passando dalla follia al delirio per poi lasciarsi morire. Ed è normale lasciarsi morire in quel modo in ambito borghese.

Dopo un lungo pianto Tancredi li fece seppellire insieme.

 

  1. Quarta giornata: Novella 5.

E’ la novella narrata da Filomena. Si narra di tre fratelli che vivono in quel di Messina. Sono questi mercanti di spessore, sono ricchi, abbienti, ma tuttò ciò che avevano l’avevano ereditato grazie alle fortune del padre.

Ancora una volta siamo di fronte ad un infelice fine, perché la sorella dei tre mercanti, tale Lisabetta si innamora di un giovane Lorenzo che lavora alle loro dipendenze. Ancora una volta un amore impossibile, di quelli che non si può fare. Non si tratta di un amore nobile come la novella precedente, non siamo a corte, ma siamo nella tanto biasimata classe mercantile descritta da Boccaccio.

Il misfatto: Lisabetta donna giovane, bella, la cui bellezza non sfiorisce una sera entra nella camera di Lorenzo, ma chi vi trova è uno dei suoi fratelli.

La reazione dei fratelli: colui il quale ha visto l’accaduto racconta tutto agli altri due fratelli e cosi decidono per mantenere la dignità e l’orgoglio della famiglia di far finta di niente. Il momento giusto per colpire si presenterà sicuramente.

Un giorno lo portano fuori città, in luogo isolato lo uccidono e poi lo seppelliscono.

Per giorni non si hanno più notizie di Lorenzo e Lisabetta inizia a preoccuparsi per l’assenza, chiedendo spiegazioni ai fratelli in quanto era con loro che Lorenzo lavorava. I fratelli le rispondono che è fuori per commissioni.

Ecco un topos ricorrente. La bellezza che sfiorisce in Lisabetta, che inizia a piangere perché non vede più il suo amante. Ma il colpo di scena sta nel fatto che la donna in sogno vede Lorenzo pallido, con i capelli arruffati, i vestiti in brandelli. Lorenzo le dice in sogno che è stato ucciso dai suoi fratelli nonché gli svela il posto dove è sepolto. Lisabetta si reca sul luogo della sepoltura si anima di coraggio e riesce a trovare il cadavere. Armata di coltello gli stacca la testa, e la mette in un vaso di basilico. Inizia a concimare, mentre i tre fratelli insospettendosi vedono che Lisabetta passa intere giornata prendendosi cura della pianta. Ciò che importa ai tre fratelli e che non sfiorisca la bellezza della sorella (topos medievale ricorrente) e lavorando con la pianta, la bellezza potrebbe sfiorire, così di nascosto gliela sottraggono.

Ennesima reazione di Lisabetta che questa volta non reagisce, ma si ammala, piange fino allo strenuo delle forze. I fratelli svuotano il contenuto del vaso, e trovano la testa di Lorenzo. Non sopportano ciò che hanno combinato. Si trasferiscono da Messina a Napoli, mentre Lisabetta muore dopo un’immane sofferenza.

Anche su questa novella alcuni commenti sono d’obbligo:

–  Contro la religione, contro le convenzioni, contro schemi prestabiliti e bigotti, Boccaccio cerca di far capire che questo tipo di morale, porta all’annientamento dell’individuo.

–  Boccaccio mette in scena la forza e la natura dell’istinto.

–  La novella ricalca la struttura di quella che abbiamo riassunto precedentemente, ma le differenze sono evidenti: l’ambiente in Lisabetta è modesto-borghese o meglio forse mercantile, mentre nella prima novella è aristocratico ed elevato. Il carattere di Ghismunda è più libertino rispetto a quello di Lisabetta, infatti la prima sceglie la morte volontariamente, nell’altra invece tutto avviene come diretta conseguenza della sofferenza.

–  Nella novella si trovano due mentalità: i fratelli che badano al nome della famiglia che potrebbe essere danneggiato dalla storia d’amore, e la mentalità di Lisabetta guidata dalla forza irresistibile dell’amore. Queste due logiche contrastanti tra loro, non potranno mai raggiungere un accordo, in questo vi è lo scontro principale della novella.

 

  1. Quinta giornata: Novella 1.

Quinta giornata, cade di martedi, la regina è Fiammetta, il tema è quello degli amori a lieto fine.

Ricordiamo che il lieto fine nel Decameron bisogna conquistarselo, inoltre vi è un meccanismo di ribaltamento tra la quarta e la quinta giornata: si passa dagli amori con infelice fine a quelli con lieto fine.

Si è detto che quelli degli amori a lieto fine, sono i temi che Boccaccio preferisce, la potenza dell’amore e dell’eros,  l’istinto e la forza della natura, sono caratteristiche umane che il Boccaccio si prefigge di rappresentare e descrivere in questa novella.

E’ questa anche la giornata in cui vi è una delle novelle più belle di tutto il Decamerone, ovvero quella di Nastagio degli Onesti, così bella da essere rappresentata o meglio ancora illustrata da Sandro Botticelli su commissione di Lorenzo il Magnifico. Anche Nastagio degli Onesti per conquistarsi l’amore, il lieto fine deve passare per mille peripezie, l’amore per la figlia di Paolo Traversari è molto forte.

Tuttavia la novella di Cimone ed Efigenia, insieme a quella di Nastagio degli Onesti e di Federico degli Alberighi rappresentano un trittico in cui lo scopo è il medesimo: conquistare l’amore della loro amata. Certo le modalità con cui si arriva al lieto fine è diverso per tutte e tre le novelle.

Protagonista della prima novella è Cimone, figlio del ricco cipriota Aristippo. Cimone non è il massimo della brillantezza, è preso in giro dai suoi compaesani a causa del suo scarso intelletto e dei suoi modi bestiali.

Cimone è un rustico e come tale il mondo dei rustici gli appartiene. E’ un uomo selvaggio che viene mandato dal padre a lavorare in fattoria. Cimone non vive affatto la cosa come punizione.

Costui mandato a lavorare nei campi dal padre, un giorno vede scorge in un boschetto una donna che dorme sotto un albero. E’ questa Efigenia, bella, nobile e figlia di Cipseo.

Cimone alla sua vista, viene preso da una sorte di visione, iniziando a contemplarla, non la sveglia perché scorge in ella le sembianze di una dea. In quel momento Cimone conosce per la prima volta l’amore e la bellezza. Cossiché quando la donna si sveglia e trova Cimone estasiato, quasi si spaventa e cerca di sottrarsi alle lusinghe di lui, che ora vuole a tutti i costi conquistarla.

Va dal padre e dice di voler cambiare abbigliamento, riesce addirittura a modificare la voce.

Ecco il momento importantissimo, l’artifizio di Boccaccio. Boccaccio fa intraprendere a Cimone una vera e propria trasformazione: da ignorante diventa maestro di lettere e di filosofia, nonché campione di eleganza. Adirittura passa all’essere stratega nell’arte della guerra, fino a divenire corsaro. Si completa così la metamorfosi per virtù d’amore.

Ritornando ad Efigenia, la donna che rapito l’intelletto di Cimone, costei purtroppo per l’uomo è promessa in sposa al giovane Pasimunda dell’isola di Rodi.

Ancora una volta per modificare il corso degli eventi, il vinto d’amore, ormai pieno di sé, cosciente delle sue forze, deve e vuole ‘bloccare’ il matrimonio dei due.

Ecco come si era detto prima che Cimone diviene abile corsaro; prepara una nave e si spinge verso Rodi, dove un’altra nave stava trasportando Cimone ed Efigenia.

Cimone riesce a prendere Efigenia dalla nave, ma abile stratega pensa di non poter tornare subito a Cipro; dirigendosi a Creta, la sua nave va in balia d’una tempesta, e senza accorgersene i due arrivano sull’isola di Rodi. Riconosciuti e catturati vengono messi in galera. Ma il fato o la forza d’amore li aiuta: lo stesso giorno in cui si sposano Efigenia e Pasimunda, si sposa anche il fratello di quest’ultimo Ormisida, con Cassandra. Tuttavia di Cassandra è invaghito anche il governatore di Rodi Lisimaco che decide di chiedere consiglio proprio a Cimone.

Lo stratagemma: rapire entrambi le donne subito prima delle nozze. La cosa avviene non senza spargimento di sangue; lo stesso Ormisida viene ucciso da Cimone. La nave con le due donne rapite fa rotta verso Creta, per poi le due coppie ritornare in patria dove vivono felicemente la loro storia d’amore.

Ripartendo un po’ da questa novella: abbiamo un prologo dove si assiste al cambiamento di Cimone da uomo rozzo, mai interessato alle donne, si trasforma in uomo straordinario, cambiato dall’amore. In poche parole diviene uomo ‘savio’.

Con le due coppie in gioco nella novella si parla di “reduplicatio”. Boccaccio vuole dimostrare quanto bene faccia l’amore sull’uomo, ma nel contempo narra anche una novella d’avventura marinara. Il mare in questa novella è una componente importantissima: segna il passaggio da novella esemplare a novella d’avventura.

Molti studiosi hanno rilevato come si senta l’influsso del romanzo tardo alessandrino in questa novella.

 

  1. Quinta giornata: Novella nove.

E’ la novella di Federigo degli Alberighi, che si innammora di una donna monna Giovanna, la più bella della Toscana, comunque sposata. Si tratta di una novella dolente, malinconica. Federico degli Alberighi sperpera tutto il suo patrimonio per questa donna, ma lei non lo segue, non lo degna di attenzioni, non lo attrae. Federigo si è rovinato per un’etica che non appartiene più alla realtà. Rendendosi conto di aver sperperato tutto si è reso conto che non può più vivere in città; non è uomo da mezze misure. Non ha più recriminazioni e quasi non ha più coscienza di quanto povero sia divenuto. La sua povertà è divenuta estrema, nonché è un uomo troppo orgoglioso per chiedere prestiti. Così si ritira in campagna.

Federigo era divenuto così povero da arrivare a possedere solo un falcone, certo uno dei migliori al mondo, più un piccolo podere che gli permetteva di sopravvivere.

Purtroppo prematuramente il marito di monna Giovanna morì e la donna con un figlio, si ritrovò sola, andando a trascorrere l’estate in una tenuta vicino a quella di Federigo.

Ennesimo ‘colpo di scena’: il figlio di monna Giovanna che intanto aveva stretto amicizia con Federigo grazie alla grande passione che aveva per i falconi, si ammala. Il ragazzo racconta alla madre che sarebbe guarito solo se avesse avuto il falcone di Federigo.

Monna Giovanna appresa la gravità della cosa, decise di raccontare tutto a Federigo, ma lo farà durante una colazione, che Federigo preparerà.

Federigo non avendo niente da cucinare tirò il collo al falcone e lo servì a tavola. Durante la colazione la donna le chiede il falcone all’uomo ma…Federigo scoppia in un pianto profondo spiegandole che glielo avrebbe donato volentieri, se non lo avessero mangiato proprio in quel momento.

Questa ‘scena’ è molto importante: la donna gli esprime il desiderio di avere quest’uccello per curare il figlio; il pianto di Federigo è un pianto di chi ha capto che per la seconda volta ha perso tutto. Non può soddisfare il favore della donna. Non ha capito la valenza del falcone, lo ha deprezzato: volendo fare ancora il megalomane ha sbagliato di nuovo.

Intanto il figlio di monna Giovanna muore, monna Giovanna ha capito quanto Federigo teneva all’amore di lei, ha capito che aveva sbagliato per lei, così si risposa proprio con lui per dare un erede ai beni acquisiti dal marito ormai morto. Federigo ha imparato la lezione, diviene ricco, felice e più accorto nelle questioni finanziarie.

La morte del ragazzo è causato dalla malinconia. Il termine malinconico bisogna notare che è molto più forte nel trecento che ai giorni nostri. La malinconia è legata alla teoria degli umori, secondo cui la stessa è dovuta a malfunzionamento della bile nel fegato.

Quando Federigo si sposa con la donna, la fortuna ha ancora una volta posato l’occhio benevolo su di lui, gli ha dato una seconda possibilità. Adesso Federigo dovrà imparare ad amministrare la ricchezza come un massaio.

Federigo personaggio simbolo? Secondo studi approfonditi Federigo anticipa figure stendaliane, balzachiane, tipo Julien Sorel per capirci. Nel passato di Federigo c’era l’età cavalleresca, magnifica, illuminata, che poi riprodurrà nuovamente Ludovico Ariosto.

 

 

 

  1. Sesta giornata: Novella 10.

La sesta giornata cade di mercoledi e la regina è Elissa. Il tema è quello delle risposte pronte e argute che permettono di togliersi d’impaccio o da una situazione pericolosa.

E’ la giornata elogiativa dell’arte del saper ben parlare. Ci son nove novelle brevi più una normale. La sesta giornata apre il secondo gruppo di cinque. Si svolge interamente a Certaldo, dove si celebra lo spirito fiorentino.

E’ la giornata della celebrazione della retorica, che vedremo con la novella di Frate Cipolla.

La decima novella è quella di Frate Cipolla. La tematica di fondo è nuovamente quello dell’intelligenza. Protagonista come abbiamo capito è Frate Cipolla. Costui abitava in un convento dell’ordine di Sant’Antonio di Certaldo. Il borgo di cui egli faceva parte era abitato da ogni tipo di uomo, di qualsiasi condizione sociale, ma anche da molti nobili e possidenti. Ogni anno Frate Cipolla raccoglieva le elemosine dei contadini per il convento. Aveva delle scadenze ben precise, ed ogni anno si presentava dai suoi abitanti. Si parla in questo caso di “ritualizzazione del cerimoniale”.

Chi era Frate Cipolla? Che carattere aveva?

Uomo molto gioviale e scherzoso, amante delle allegre compagnie, poco istruito, ma grande oratore stimato da tutti i suoi conoscenti.

L’anno in corso in cambio delle elemosine di cui abbiamo parlato sopra, avrebbe mostrato loro una reliquia prestigiosa: una penna delle ali dell’arcangelo Gabriele. Ad assistere alle orazioni di Frate Cipolla c’erano anche due uomini Giovanni e Biagio, due compagni di brigata del frate, che ben conoscevano per le sue arti oratorie. I due volevano beffarlo, volevano rubargli la reliquia.

Il piano: Biagio avrebbe dovuto intrattenere il servitore di frate Cipolla e Giovanni avrebbe dovuto rubare la piuma. Il tutto durante l’assenza del frate che aveva un impegno. Lo scopo sarebbe stato quello di vedere come avrebbe reagito e cosa avrebbe detto frate Cipolla davanti ai fedeli una volta che si fosse accorto che non avrebbe trovato la reliquia.

Il servitore di fra Cipolla, era questo Guccio, chiamato anche con altri soprannomi: Guccio Topo, Guccio Imbratta ecc. Era uomo questo pesante, sporco, libidinoso e pesante. Persona cattiva e molto inetta, le cui caratteristiche erano le seguenti: tardo, sudicio, bugiardo, negligente, disobbidiente, maldicente, smemorato,scostumato.

Pensava Guccio di essere uomo piacente, tale da pensare che tutte le donne alla sua vista si fossero innamorato di lui.

Frate Cipolla arrivato in albergo, aveva detto a Guccio di sorvegliare le sue cose, specialmente le bisacce contenente i suoi oggetti sacri.

Guccio Imbratta contravvenendo agli ordini, era sceso nella cucina dell’albergo, alla ricerca di qualche donna da corteggiare, che gli trovò in Nuta, donna grossa, grassa, piccola e malfatta, molto prosperosa, unta e sudata. Dice Boccaccio, con il viso dei Baronci. I Baronci erano una famiglia ricordata per la loro bruttezza, sono i fiorentini più brutti, perché Dio li ha creati quando non ancora sapeva disegnare.

Guccio prese a corteggiarla, lasciando la camera incustodita, cosicché Giovanni e Biagio entrarono in camera e trovarono fasciata, una piuma di pappagallo e subito capirono che si trattava dell’importante reliquia da mostrare ai certaldesi. La scambiarono così con dei pezzi di carboni.

Intanto la chiesa che tutta s’era riempita aspettava frate Cipolla e soprattutto la reliquia che doveva essere mostrata. Durante l’evento il fate non accorgendosi dell’evento predicava con enfasi. Aprì la cassetta che doveva contenere la reliquia e trovò i pezzi di carbone. Alzò le mani al cielo ringraziando Dio e iniziò ad ingannare qualcosa per ingannare i fedeli.

Momento topico. Punto di snodo della novella. Frate Cipolla appare imperturbabile, sa di avere nella coscienza collettiva grande credito. Quando parla delle sacre reliquie in cui durante il medioevo forte ne era il commercio, ne parla in modo così carismatico da non far dubitare nessun fedele.

Inizia ad elencare tutti i luoghi (avendo sempre quei carboni davanti a lui) in cui era stato, facendo credere a coloro che ascoltavano la preghiera di aver visitato paesi esotici. Ma non fece altro che nominare rioni di Firenze.

La sfida con Biagio e Giovanni che erano tra i fedeli ad assistere al cerimoniale: è chiaro che i due buontemponi gli hanno lanciato una sfida che egli accoglie. Capisce che i suoi due beffatori sono di Firenze e gioca su questo fatto proprio nominandogli rioni di Firenze. Vuol fargli capire quanta fiducia hanno i fedeli verso di lui.

Frate Cipolla gioca su due registri: quello con il suo pubblico e quello con i suoi beffatori. Un archetipo dantesco in pratica.

Ma come spiegare il fatto dei carboni?

Disse che andando a Gerusalemme, Sant’Antonio gli fece vedere svariate reliquie. Per ringraziarlo delle sue compagnie gliene diede alcune, oltre alla piuma dell’arcangelo Gabriele, gli diede il suono delle campane del tempio di Salamone a Gerusalemme racchiuso in un’ampolla, e dei carboni, con il quale era stato bruciato e fatto martire San Lorenzo. Benché egli avesse da tempo queste reliquie, il suo superiore, l’abate, non gli aveva permesso di mostrarle, perché non si era certi della loro autenticità, ma quel giorno decise lo stesso di farlo, perché ad esse erano state attribuite dei miracoli. Disse infine che poiché le cassette, contenenti una la piuma e l’altra i carboni erano simili, per questo motivo le aveva scambiate, portando con sé i carboni, visto che quello era il volere di Dio, infatti due giorni dopo sarebbe stato San Lorenzo. Chiunque avrebbe toccato i carboni sarebbe stato immune da scottature per un anno.

Giovanni e Biagio rimasero stupefatti dall’astuzia con la quale frate Cipolla era riuscito ad ingannare i certaldesi e gli restituirono la piuma. I suoi due beffatori, o meglio ancora in quel momento i suoi due giudici avevano ascoltato tutto il discorso e aspettarono che andasse via tutta la folla per complimentarsi.

La novella si conclude con l’anno seguente dove la piuma procurò a Frate Cipolla non meno offerte dell’anno prima.

L’ambiente di questa novella è popolare ed ecclesiastico, Frate Cipolla è un religioso arguto, un grande linguista, ma non rispettoso dei principi della religione. E’ un beffardo.

Dioneo non polemizza con i frati, vuole dimostrare un evidente simpatia verso questo frate ‘gabbatore’ del prossimo.

Frate Cipolla è l’emblema di colui che sfrutta la crudeltà degli altri. Si dà per scontato che i frati antoniani sfruttino le loro abilità per rubare l’elemosina agli sciocchi. Frate Cipolla somiglia un po’ a Ser Ciappelletto, il miglior compagnone del mondo. Un buontempone, uomo che ama la convivialità, che si è integrato assai bene nella comunità ed è il padrino di battesimo di molte persone.

Dioneo è la figura più giusta per raccontare questa novella che può essere definita come la novella dove trionfa l’arte della parola.

Simile ai certaldesi è Calandrino di cui narreremo dopo. La calandra del mondo degli uccelli non ha un verso. Imita il verso degli altri uccelli.

 

  1. Ottava giornata: Novella 3.

L’ottava giornata cade di domenica, regina è Lauretta e si narra di qualunque tipo di beffa. E’ la giornata in cui vi sono due novelle dedicate a Calandrino.

Calandrino fu personaggio realmente esistito, tale Giovannozzo di Pierino pittore italiano dell’epoca boccacciana..

 Calandrino rappresenta il semplice, lo sciocco per antonomasia, ad un livello superiore a quello di cui abbiamo parlato descrivendo le gesta di Guccio Imbratta.

La narrazione: a Firenze un ‘dipintore’ chiamato Calandrino ha per amici altri due ‘dipintori’ Bruno e Bulfamacco, uomini molto più furbi di lui, che di lui si facevano scherno e che approfittavano della sua stupidità.

Un giorno Calandrino si trovava nella chiesa di San Giovanni ad osservare il Tabernacolo. Qui lo coinvolgono in uno scherzo poco carino.

Maso un altro amico di Calandrino gli illustra le virtù delle pietre preziose che si trovavano in terre lontane come la famosa terra di Bengodi nella quale si legavano le vigne con le salsicce e vi era una montagna di formaggio parmigiano sopra la quale vi erano persone che cuocevano maccheroni in brodo di cappone e li buttavano giù.

Molto interessato Calandrino chiede dove fosse tale paese, sciocco com’era non si era accorto della burla che gli stavano facendo. Gli amici gli risposero che il paese era lontanto più di ‘millanta’ miglia, ‘più la che gli Abruzzi’.

Altre pietre preziose si trovavano poi anche vicino la città nel Mugnone, tra tutte le pietre la più interessate era l’elitropia, la pietra che dona l’invisibilità che era di colore nero.

Arrivati sul posto Calandrino raccoglie tutte le pietre nere che trova, e verso l’ora di pranzo è così carico di pietre che quasi non ce la fa più a camminare.

Il momento più comico della beffa: i due amici iniziano a fingerlo di non vederlo e Calandrino non parla per non far scoprire loro di aver trovato la pietra. Lo prendono anche  a sassate, ma lui niente, irreprensibile fa finta di nulla.

Ritornato in città, lo aspetta Monna Tessa sua moglie, che lo rimprovera di aver fatto tardi a pranzo, evidentemente con la moglie l’elitropia non aveva funzionato. Calandrino picchia la moglie e spiega agli amici la sua sfortuna: aveva trovato l’elitropia a sua moglie ne aveva annullato la virtù, perché le donne, è risaputo, fanno perdere la virtù a tutte le cose.

Cosa rappresenta Calandrino? Quali valori incarna?

Certo ignorante, buffo, rozzo qualsivoglia aggettivo, ma da un’analisi critica più dettagliata, qualche studio l’ha presto individuato nell’antieroe per eccellenza. Perché questo? La sua stupidità, la sua inettitudine, la sua voglia di calpestare tutti per arrivare a quello che si è prefisso, superano di gran lunga la sua ignoranza.

Da rilevare inoltre gli artifici linguistici con al deformazione dei vocabili per renderne ancor più uno scherno la beffa.

Due momenti topici nella novella o meglio due ripartizioni potrebbero essere fatte. Un primo tempo in cui l’architetto Maso del Saggio organizza i preliminari della beffa,e la conseguente ricerca della pietra magica a Mugnone, e un secondo tempo  con il ritorno a casa di Calandrino e tutto quello che ne consegue.

 

  1. Nona giornata: Novella 3.

Nona giornata, cade di martedì, la regina è Emilia, e ciascuno racconta ciò che gli piace, è la giornata del tema libero, come del resto è stata la prima.

La terza novella è narrata da Filostrato ed il protagonista è ancora Calandrino. Muore una zia di Calandrino, che gli lascia duecento fiorini. Cosa decide di fare Calandrino? Con quei pochi soldi vuole entrare nei grandi mercati, nonostante i suoi amici cerchino di fargli cambiare idea.

L’idea di Calandrino è quella di investire i duecento fiorini, comprando un pezzo di terra.

Calandrino è sempre oggetto di scherzo, è il personaggio buffo per eccellenza. Nel Decameron è l’unico che è protagonista di quattro novelle.

Per dissuaderlo dall’investire ancora una volta Nello, Bruno e Bulfammacco (personaggio realmente esistito, autore di alcune raffigurazioni nel cimitero di Pisa) decidono ancora di scherzare con Calandrino dicendogli che è malato.

Come glielo si fa credere? A turno con un piano perfettamente organizzato prima Nello, poi Bruno e poi Bulfamacco gli vanno incontro dicendogli che ha assunto un aspetto strano, Bruno gli dice che ha una pessima cerca, e Bulfamacco gli dice che lo vede mezzo morto. Sarà meglio inviare le urine a Maestro Simone gli dicono.

Calandrino così si mette a letto,  è  Maestro Simone va a trovarlo su consiglio di Bruno, che intanto lo ha avvisato dello scherzo.

Maestro Simone finge di visitarlo accuratamente dice a Calandrino di essere incinto, e così Calandrino manda tutti gli accidenti possibili alla moglie…come farà a partorire si chiede? Intanto Bruno e Bulfamacco trattengono a stento le risate.

Una soluzione esiste: deve tirare fuori i duecento fiorini. Parentesi molto importante: nel Decameron la figura del medico, del magistrato e del filosofo hanno un ruolo che merita di essere approfondito.

Questi soldi servono a comprare i sei capponi con cui guarirà Calandrino. Ancora vittima della beffa Calandrino, sciocco e credulone dà i soldi a Maestro Simone che intanto per storpiatura è divenuto maestro Scimmione.

Come guarisce Calandrino? Calandrino non guarisce in quanto non era malato, ma gli viene data la pozione che gli farà credere che non è più incito. La pozione non era altro che una semplice acqua bollita. Così lui pensa di esser guarito, e Bruno, Bulfamacco e Maestro Simone si fregano i soldi e si mangiano i capponi.

Perché Calandrino si distingue dalle figure delle altre novelle? Perché la sua comicità non è data dalla sua stoltezza bensì dal fatto che egli vuole essere scaltro. Egli pretende di volgere a suo vantaggio quella che è una beffa, e cosa peggiore di tutte, non ha neanche capito di essere stato beffato. Una figura realmente meschina e negativa.

Si tratta di una novella molto breve, ma che rende pienamente nei significati e nell’intento del Boccaccio. Sono circa ottantasei i ‘versi’.

Nel Calandrino di questa novella emerge la sua parte avida, le sue ambizioni velleitarie, quindi il morboso attaccamento al danaro.

Emerge ancora una volta la sua violenza e tratti la sua bestialità. Già nella novella della pietra elitropia aveva picchiato la moglie. Anche qui l’ignoranza lo porta ad usare violenza contro la moglie.

 

  1. Giornata dieci: novella 10.

Decima ed ultima giornata, il re è Panfilo e si narra di chi con cortesia e magnanimità ha avuto avventure d’amore o di altro genere. E’ la giornata come abbiamo ribadito nella struttura al paragrafo primo dei gesti splendidi, delle grandi rinunce. La giornata della virtù per eccellenza. Le novelle quattro e cinque hanno tematiche già trattate nel Filoloco.

L’ultima novella, questa, è la centesima, e viene narrata da Dioneo. La tematica della novella, la sua collocazione, è voluta ed ha motivi ben precisi. E’ netta l’opposizione tra il personaggio della prima novella della prima giornata, Ser Ciappelletto e il personaggio della decima novella dell’ultima giornata, Griselda.

Veniamo ai fatti.  Protagonista è il marchese Gualtieri di Salluzzo che sposa una donna di bassa condizione sociale, questa è Griselda.

La figura di Griselda nel corso del tempo sarà oggetto di studi, addirittura sociologici, proprio per ciò che concerne il rapporto che ebbe con il marchese. Vi è infatti una vasta letteratura su questa figura femminile che viene ripresa dal momento in cui Boccaccio la crea, e analizzata finanche dagli studiosi del novecento. Viene ripresa anche da una certa letteratura femminista, che si farà largo dagli anni cinquanta del novecento.

Ritornando alla novella. Griselda sposa Gualtieri. Donna bella, umile, dai modi giusti, dignitosa riesce a comportarsi a fianco di Gualtieri in modo esemplare fin quando il marchese per ‘matta bestialità’ dopo aver avuto un figlio con ella, decide di mettere alla prova il suo amore. Il concetto di ‘matta bestialità’ sarà oggetto anch’esso di studi nel corso del tempo, ed ha tuttavia una genesi di cui renderemo edotto nei commenti alla novella.

Insomma Gualtieri vuol capire quanto la donna si sottometta ai suoi voleri, quanto sia obbediente, quanto sia ‘schiava’ per certi versi.

Cosa organizza Gualtieri nel corso degli anni? Un piano strategico che porterà Griselda a lasciare il castello. Infatti prima le dice che tutti parlano male di lei in quanto è di origine plebea. Addirittura le fa portare via la bambina decindole che la ucciderà. In realtà la figlia verrà portata a Bologna e fatta educare.

La reazione di Griselda è di quelle esemplari di fronte a Gualtieri. Pur con una sofferenza immane nel cuore, pur non condividendo assolutamente le scelte del marito, rimane in silenzio.

Passano alcuni anni e nonostante tutte le prove che Griselda ha dovuto superare i due sposi riescono ad avere un altro figlio. E’ un maschio. Anche questo va a Bologna educato dai suoi parenti.

E’ un Gualtieri veramente sadico quello che viene fuori, la sua sadicità è superiore a quella del principe Tancredi di Salerno.

Gualtieri decide di sottoporre Griselda all’ultima prova, nonostante le critiche dei suoi sudditi che lo additano di troppa crudeltà.

Cosa succede? In cosa consiste l’ultima prova? Le dice che ha chiesto al papa affinché lui possa sposare un’altra donna, ed il papa ha avallato. Sicché Griselda deve lasciare il castello. Griselda così ritorna al padre. Dopo un po’ di tempo Gualtieri fa venire di nascosto da Bologna i suoi figli, dicendo a tutti che la fanciulla sarà la sua nuova sposa e che è la figlia dei Conti da Panago.

Ancor più sadico che mai, Gualtieri ordina a Griselda di addibbire il banchetto delle nozze e quando si trova davanti la giovane sposa, implora a suo marito che tratti bene la giovinetta.

Con questa ultima scena si chiude la pseudo punizione di Griselda, dove Gualtieri gli rivela tutto il suo piano: i suoi figli non sono morti, lui la ama incondizionatamente.

Vivranno per il resto del tempo felici e contenti.

Dioneo il narratore della novella non approva assolutamente il comportamento di Gualtieri che si sarebbe sicuramente meritato di essere tradito.

Riprendendo il concetto di matta bestialità, è Gualtieri ad esprimerlo trattando come una ‘pezza’  – se può essere usato questo termine – Griselda. Perché sceglie una donna così accondiscendente Gualtieri? Gualtieri ha paura delle donne. Nella confessione finale, quando gli rivela a Griselda che è stato uno ‘scherzo’ le nomina anche il motivo delle proprie crudeltà: la paura, quella paura di sposare una donna che l’avrebbe sopraffatto, dominato, messo in difficoltà.

Sono questi sentimenti che creano la ‘matta bestialità’ che si traduce in una violenza inaudita, una violenza diversa sia da quella di Calandrino che prende a bastonate la moglie, diversa da quella dei fratelli di Lisabetta da Messina, diversa da quella del principe di Salerno Tancredi. Diversa perché la genesi è diversa. Forse si può parlare di inettitudine del marchese, da una difficoltà di rapportarsi con le donne, forse il suo atteggiamento, la sua violenza è una sorta di difesa dalle donne che vogliono sopraffarlo.

Sulla contrapposizione prima novella, centesima novella, Boccaccio ha volutamente fatto questa contrapposizione. Ser Cepparello incarna i valori negativi, mentre Griselda i valori buoni di tutto il Decameron.

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