ANALISI DEL TESTO San Martino Giosuè Carducci
San Martino Giosuè Carducci analisi poesia
“San Martino” è una lirica scritta da Giosue Carducci,un poeta verista dell’ottocento, sostenitore del classicismo in Italia. La lirica si riferisce all’11 novembre giorno di San Martino.
La nebbia, accompagnata da una leggera pioggia autunnale, sale verso i colli ricoperti di alberi spogli mentre il mare rumoreggia e spumeggia sotto l’impeto del maestrale; ma per le vie del paese, l’odore del mosto che fermenta nelle botti, rallegra gli animi degli abitanti.
Sopra ceppi di legno accesi è posto uno spiedo che scoppietta; il cacciatore fischia sulla porta ed osserva tra le nubi che rosseggiano al tramonto del sole gli stormi di corvi che se ne vanno lontano come lontano la sera se ne vanno le preoccupazioni.
Analisi del componimento
Due immagini si alternano all’interno della lirica: una di malinconia e l’altra di allegria.
Nella prima strofa vi è il ritratto di un tipico paesaggio autunnale: ci sono infatti gli elementi fondamentali della stagione, ovvero la nebbia palpabile, gli alberi spogli che ricoprono i colli ed il mare in tempesta.
A differenza della prima, la seconda strofa, sprigiona un senso di allegria del tutto assente nella precedente; da sensazioni di freddo e tristezza si passa a una situazione molto più calda e vivace, si descrive infatti l’atmosfera che si viene a creare in un piccolo borgo dopo la vendemmia: il mosto fermenta nelle botti diffondendo nell’aria il suo aspro profumo.
In questa strofa il “ma” ha un doppio valore:il cambiamento di scena e il cambiamento di sentimento.
Nella terza strofa si ha l’immagine di un focolare domestico ove il fuoco è stato acceso per cucinare, si passa quindi ad un ambiente più ristretto, dopo che già si è passati da un paesaggio ad un borgo.
Nell’ultima strofa, l’atmosfera si presenta più pensosa della precedente dato che si incontra un uomo pensieroso che,appoggiato all’uscio della sua casa, osserva l’atmosfera che si crea al tramonto e gli stormi di uccelli neri che si dirigono lontano.
Il componimento del Carducci è una lirica che si compone di quattro quartine di settenari. Le rime seguono lo schema ABBC e viene ripetuta alla fine di ogni quartina la rima in –AR (mar…rallegrar…rimirar…migrar).
Il suono che prevalentemente viene ritrovato all’interno della poesia è quello prodotto dalla lettera R.
Nella lirica vengono usate molte figure retoriche. Nel quarto verso nell’espressione urla il mar viene usata una sinestesia, nel sesto verso nell’espressione ribollir de tini viene usata una metonimia, nel nono e decimo verso gira su ceppi accesi/lo spiedo scoppiettando viene usata un’anastrofe perché viene posposto il soggetto rispetto al verbo e nel verso quattordici e quindici viene usata una similitudine infatti vengono paragonati gli stormi di uccelli neri agli esuli pensieri.
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Giosue Carducci San Martino
Versione in prosa
La nebbia, accompagnata da una leggera pioggerellina autunnale, sale verso i colli ricoperti di alberi spogli mentre il mare ondeggia e spumeggia sotto l’impeto del maestrale; nei borghi del villaggio, l’odore del mosto che fermenta nelle botti, rallegra gli animi degli abitanti.
Sopra ceppi di legno schioppettanti è posto uno spiedo con il quale si sta cucinando della carne; il cacciatore se ne sta sull’uscio della della porta a contemplare stormi di uccelli che volano tra le nuvole, come fossero pensieri che volano lontano, riflettendo il rossore del sole tramontante.
Analisi del componimento
Il componimento del Carducci è una lirica che si compone di quattro quartine di settenari. Le rime seguono lo schema ABBC e viene ripetuta alla fine di ogni quartina la rima in –AR (mar…rallegrar…rirmirar…migrar).
Il suono che prevalentemente viene ritrovato all’interno della poesia è quello prodotto dalla lettera R.
La prima strofa è composta di due frasi principali mentre la seconda lo è di una principale e l’altra subordinata; queste prime due quartine costituiscono due periodi indipendenti.
Le ultime due, invece, sono legate dal fatto che il periodo continua dalla terza(una frase principale e una subordinata che prosegue nella successiva quartina) alla quarta strofa(una subordinata ed una principale).
Due immagini si alternano all’interno della lirica: una di malinconia e l’altra di allegria.
Nella prima quartina vi è il ritratto di un tipico paesaggio autunnale: ci sono infatti gli elementi fondamentali della stagione, ovvero la nebbia palpabile, gli alberi spogli che ricoprono i colli ed il mare in tempesta.
A differenza della prima, la seconda quartina, sprigiona un senso di allegria del tutto assente nella precedente; da sensazioni di freddo e tristezza si passa a una situazione molto più calda e vivace, si descrive infatti l’atmosfera che si viene a creare in un piccolo borgo dopo la vendemmia: il mosto fermenta nelle botti diffondendo nell’aria il suo aspro profumo.
Nella terza strofa si ha l’immagine di un focolare domestico ove il fuoco è stato acceso per cucinare, si passa quindi ad un ambiente più ristretto, dopo che già si è passati da un paesaggio ad un borgo.
Nell’ultima quartina, l’atmosfera si fa più pensosa della precedente dato che si incontra un uomo nell’atto di meditare, appoggiato all’uscio della sua casa.
Qui la malinconia sembra appartenere più al poeta che al personaggio da lui stesso inventato.
Spiegazione in prosa della poesia
In questa poesia Giosuè Carducci ci fa capire quanto è malinconico l’autunno con la sua stagione fredda e piovosa, ma nello stesso tempo nell’aria c’è un odore di vino nuovo e nelle case si sente lo scoppiettio dei camini accesi che danno una grande sensazione di pace e gioia per la serenità e felicità che solo le cose vere della vita, cioè i valori, possono dare.
Nella prima strofa il poeta descrive il paesaggio autunnale dove la nebbia copre gli alberi spogli bagnandoli di minuscole goccioline e, a causa del vento maestrale, il mare è agitato e spumeggiante ed infine il rumore delle onde forma delle urla spaventose.
Nella seconda strofa, invece, il poeta mette in risalto la differenza tra la tristezza della natura e la felicità delle persone semplici.
Infatti ci descrive che nel paese si sente l’aspro odore del vino fermentato che rallegra lo stato d’animo delle persone che hanno dovuto lavorare duramente nei campi per far crescere l’uva che poi è stata raccolta.
Nelle ultime due strofe il poeta ci fa rivivere la serenità che si prova nelle povere case quando lo spiedo viene cotto nei camini mentre il cacciatore fischiettando fuori dalla porta cerca di prendere qualche uccello che nel tramonto rossastro della sera si vede allontanare in cerca di posti più caldi.
Il poeta paragona gli uccelli neri che migrano a dei brutti pensieri che se ne vanno.
Ambientato in Maremma toscana (Bolgheri, Castagneto: luoghi dell’infanzia di Carducci); 4 strofe di 4 settenari l’una, con la stessa struttura di Pianto antico, rima abbx, dove x è rima tronca (apocopata) uguale per tutte le strofe.
Fonologia e morfologia.
Molto frequente l’apocope o troncamento: postvocalica, come usano i toscani (de’, su’) e postconsonantica: v. 15 com’, che siccome ha l’apostrofo può esser presa anche per elisione, allo stesso modo degli articoli elisi anche oltre il nostro uso (gl’irti, l’anime). Le parole tronche delle rime in –ar in fine di frase (prima di pausa) sono solo della lingua poetica; in prosa e nel parlato le usiamo soltanto se segue un’altra parola (far tardi, ben poco ecc.). Uso letterario di separare le preposizioni articolate (a gl’, de i, su l’): si noti che la pronuncia ufficiale impone cmq. sempre il raddoppiamento sintattico se l’articolo comincia per consonante (sullo anche se sta scritto su lo).
1 irti: ‘ispidi, irsuti, che presentano delle sporgenze’; in questo caso, coperti di alberi. Successivo l’uso traslato per ‘difficile, poco chiaro’ (uno scritto). Notare qui, e in molti casi seguenti (aspro odor ecc.), l’anteposizione dell’aggettivo al nome (uso antico, latino, e ancora poetico, oppure enfatico, per dar maggior rilievo all’attributo piuttosto che al nome)
2 piovigginando: verbo iterativo di piovere (in continuazione, a piccole gocce, cioè simile a una pioggia ma meno forte). Simile lo spagn. lloviznar, dove la ll (pronuncia gli, l palatale) discende dal lat. pl che in it. ha dato pj, in ital. meridionale chi (chiove, chiù), e in franc. è rimasto pl. Sintassi: notare il verbo alla fine, dopo il complemento.
3 maestrale: vento che viene da maestro, denominazione medievale dell’Orsa maggiore e del nord-ovest
4, e ancora 7-8, 10: il soggetto sempre dopo il verbo, o il complemento oggetto prima del verbo: “licenza poetica” di variare l’ordine normale, come si poteva fare più liberamente in latino.
Urla: il mare è personificato, ovvero il verbo è in senso esteso
Biancheggiare: altro verbo con suffisso (corrispondente al suffisso internazionale –izzare, -iser, -ize ecc.) per indicare qualcosa che si approssima: il mare è “quasi” bianco. Si è parlato anche di parole “impressionistiche”, come nei pittori impressionisti i colori e le figure non sono nette ma sempre un po’ mescolate, approssimative
5 borgo, tipica parola toscana sebbene di origine germanica; ó chiusa perché da u (burg).
6 dal ribollir de’ tini: dai tini che ribollono, dal contenuto che fermenta; sineddoche (il contenente per il contenuto), verbo sostantivato. Qui l’apocope sarebbe quasi accettabile anche in prosa, nel parlato (“voglio finir presto”).
7 aspro, sincope (antica) da aspero, da cui i derivati asperità e il superlativo asperrimo. Al v. 16 troveremo invece vespero, non sincopato. La lingua poetica si è presa molte più libertà (licenze poetiche) della prosa, anche perché nasce come ripresa di fonti varie (autori classici, siciliani, toscani ecc.) che ‘autorizzano’ forme diverse della stessa parola.
9 e 11: gira … scoppiettando, sta .. fischiando: il soggetto è messo in mezzo ai due componenti verbali, spezza il sintagma verbale (iperbato, cioè ‘salto’). In ital. antico si poteva anche mettere il soggetto tra ausiliare e verbo: ho io fatto, avendo Costanza parlato ecc. ceppo: forma popolare, da cfr. con cippo che discende dallo stesso latino cippus (u breve, dunque é chiusa)
10 spiedo: parola di origine franca (germanica), indi francese, in origine indicava un’arma scoppiettare: voce onomatopeica con suffisso diminutivo, ‘fare piccoli e frequenti scoppi’. Stessa radice di schioppo (con metatesi).
12-14 rimirar…stormi: iperbato, la frase continua da una strofa all’altra; poesia ‘moderna’, che tende a superare i confini metrici. Rimirar, quasi sinonimo più intenso di ‘guardare’ (cfr. mirare in Leopardi), dove il prefisso ri (da re-, cfr. ritorno) non ha valore di ripetizione (‘guardare una seconda volta, riguardare’), ma semmai ‘guardare con più attenzione’
13 rossastre ‘quasi, approssimativamente rosse’ (altro suffisso approssimativo), per il tramonto (rosso in senso pieno è il sole, le nubi si tingono un po’ di quel colore).
14 stormi: altro germanismo (longobardo, cfr. ted. Sturm), in origine ‘gruppo di persone armate’, solo dal ‘600 detto degli uccelli
uccelli: voce comune, più realistica di augelli che Carducci adopera in altri casi (Miramar: fosche con volo di sinistri augelli)
neri aggettivo nel suo posto ‘normale’, dopo il nome. Si riferirà non al colore reale degli uccelli (i migratori sono grigi, bianchi…) ma a come appaiono contro sole o verso sera. Altrove Card. usa l’allotropo negro (sei nella terra negra), che oggi si è specializzato in senso ‘tecnico’.
15 esuli pensieri: torna l’agg. davanti al nome. Un po’come negli idilli di Leopardi, la natura suggerisce paragoni con l’anima umana. Forse anche, l’accostamento al verbo migrar fa pensare alle (e)migrazioni degli esuli, ad es. i patrioti risorgimentali; non direi agli emigranti per lavoro.
Senza far volare la fantasia, diciamo anche che San Martino (11 novembre) era anche il periodo tipico del cambio di fattoria per i contadini-mezzadri-braccianti, finito il ciclo stagionale della raccolta (da qui il modo di dire far San Martino ‘sloggiare’). Il titolo San Martino venne però messo da Carducci in un secondo momento; la composizione risale all’8 dicembre 1883.