ANALISI DEL TESTO LA LEPRE

ANALISI DEL TESTO LA LEPRE

di Vincenzo Cerami

Anno di pubblicazione: 1988


Contenuto: Tommaso Nicola De Tommaso è il medico di un lebbrosario del centro Italia; in questo luogo vengono ricoverati malati di lebbra e di sifilide. Tra questi vi è una giovane ragazza di nome Bianca Maria che colpisce subito il medico per la sua bellezza. Egli, incuriosito e attratto dalla fanciulla, cerca, durante le visite e i colloqui, di conoscerla meglio. A questo scopo fa delle indagini sul passato della ragazza che, inoltre, era stata segnalata dal tribunale come “molto pericolosa”, ma in realtà non presentava i segni della malattia. Il medico, dopo numerose indagini, scopre che Bianca Maria era stata fidanzata con un prete ormai in punto di morte a causa della malattia. Egli allora si impegna per far guarire la fanciulla, ma dopo numerosi tentativi si accorge che non è malata e decide di fuggire dal lebbrosario con lei. I due vagano nelle campagne dello Stato Pontificio per anni e si stabiliscono in una casetta diroccata. Un giorno Tommaso non trova più Bianca Maria a casa e scopre che era fuggita dal prete ormai guarito. Egli però decide di rimanere solo a casa e di concludere lì il resto della sua vita. Considerazioni personali: Cerami in questo testo si rifà a fonti storiche per testimoniare ancora più’ correttamente l’epoca in cui si svolgono i fatti. Infatti emergono dalla narrazione diversi aspetti interessanti: le cure mediche del tempo, l’approccio del tribunale di fronte alle malattie contagiose e le pessime condizioni igieniche dei malati nei lebbrosari. Innanzitutto, occorre sottolineare come il tribunale a quel tempo avesse un atteggiamento eccessivamente rigoroso, a tal punto da mandare nei lebbrosari senza accurati accertamenti anche chi fosse semplicemente sospettato di un contagio; questo avveniva per la paura della malattia molto diffusa tra la popolazione. Cerami, inoltre, descrive la vita nel lebbrosario e ci fa chiaramente capire come fosse difficile pensare di guarire in quelle condizioni; inoltre anche chi per errore del tribunale fosse stato rinchiuso si sarebbe ammalato in breve tempo viste le pessime condizioni igieniche. Infatti gli ammalati dormivano nella stessa stanza, bevevano da un’unica tinozza d’acqua che veniva cambiata una volta al mese e spesso i più deboli non avevano neanche il cibo perché gli veniva sottratto dai più forti e dai più sani. Inoltre occorre evidenziare le conoscenze mediche che a quel tempo erano ancora piuttosto precarie e basate su credenze popolari e non su basi scientifiche. Infatti il medico del lebbrosario per cercare di guarire gli ammalati preparava tisane e intrugli. Le medicine vere e proprie non erano ancora conosciute e si faceva affidamento a metodi empirici che cacciassero il morbo dall’anima invece che il batterio dal corpo. Spesso infatti abbiamo visto il medico nell’intento di far vomitare agli ammalati alcune pozioni sperando che queste portassero con se il morbo, altre volte ancora i malati sono stati costretti a mangiare assieme al cibo alcuni pezzi di sapone per purificare il corpo.