ANALISI CANTO XXXIV ORLANDO FURIOSO

ANALISI CANTO XXXIV ORLANDO FURIOSO


Il passo è uno dei più celebri del poema, quello che descrive il viaggio prodigioso del paladino
Astolfo sulla Luna che, nell’invenzione di Ariosto, diventa il luogo metaforico dove si raccoglie tutto

ciò che si getta via sulla Terra: l’episodio riveste un ruolo centrale nella trama, dal momento che

recuperare il senno di Orlando è decisivo per le sorti della guerra contro i Mori e infatti grazie al
contributo del campione dei cristiani il nemico sarà definitivamente sconfitto. Il motivo
dell’assenza dell’eroe che causa gravi danni all’esercito in guerra deriva ovviamente dall’Iliade, in
cui Achille si ritira dalla battaglia e lascia gli Achei privi del suo insostituibile aiuto, e verrà ripreso
anche da Tasso nella Gerusalemme liberata, in cui Rinaldo si allontana dal campo dei crociati e sarà
poi tenuto lontano dalla guerra dalla maga Armida (in tutti e tre i casi il motivo dell’assenza è
riconducibile all’amore, poiché anche Achille litigava con Agamennone per via della schiava
Briseide).
La descrizione del paesaggio lunare diventa l’occasione per l’autore di ironizzare sulla vanità delle
occupazioni umane, poiché gli uomini sprecano il loro tempo e la vita inseguendo cose che non
raggiungono o che svaniscono presto col passare del tempo: tra queste la fama del mondo, i sospiri
degli amanti, ma anche la grandezza degli imperi del passato destinati a cadere, mentre un certo
disprezzo viene dimostrato verso le “magiche sciocchezze” così come più avanti verso gli
“astrologhi” (la negromanzia era ampiamente praticata negli ambienti anche di corte del
Rinascimento). Di particolare interesse è anche la descrizione della Terra vista dalla Luna, ovvero di
un minuscolo “globo” che sembra assai più piccolo di quanto non appaia a noi e quasi
insignificante, dunque la prospettiva di Ariosto è rovesciata e demistificante (l’autore relativizza la
scala dei valori umani, che sembrano importanti a noi ma che in realtà, visti da un’altra prospettiva,
acquistano una consistenza decisamente inferiore).
L’autore attraverso questo brano rivolge una dura polemica contro la vita delle corti, specie nelle
ott. 77-79 in cui descrive ironicamente i doni che si fanno ai signori sperando di ingraziarseli,
rappresentati come vesciche gonfie, mentre i lacci nascosti dentro ghirlande sono le adulazioni e le
cicale scoppiate sono i versi della poesia encomiastica (le cicale rappresentano in modo sarcastico i
poeti, di cui più avanti si dice che hanno ben poco senno, e c’è evidentemente molta auto-ironia da
parte di Ariosto che inserì parti encomiastiche nel poema stesso). L’autorità data dai signori ai loro
faccendieri è paragonata ad artigli di aquile, mentre sferzante è l’accusa contro i potenti che si
circondano di favoriti e amanti (i “Ganimedi”), che quando non sono più giovani vengono messi da
parte. La polemica contro il “servir de le misere corti” ricorre in altre opere dell’autore, specie nella
Satira I in cui Ariosto si giustifica per il rifiuto a seguire il cardinale Ippolito in Ungheria e rivendica
con coraggio la propria libertà.
L’errore di Astolfo cui qui l’autore allude (86, 7-8) è narrato nei Cinque canti e si tratta di un
innamoramento del paladino che lo porta di nuovo alla follia. Il senno di Orlando verrà invece
recuperato dal conte nel canto XXXIX (ott. 36 ss.), quando Astolfo aiutato da altri paladini (tra cui
Brandimarte, Dudone, Oliviero) riesce a sopraffare l’eroe in preda alla furia e a legarlo, facendogli
poi odorare l’ampolla con dentro il senno per farglielo recuperare; il passo che descrive Orlando
che rinsavisce (XXXIX, 58) verrà in parte ripreso da Tasso nella Liberata (XVI, 31), quando Rinaldo
verrà sciolto dall’incantesimo di Armida