ANALISI ARANO DI PASCOLI

ANALISI ARANO DI PASCOLI


-La lirica segue il componimento metrico del madrigale (due terzine e un doppio distico finale tutti di endecasillabi), molto usato da Pascoli nella sua raccolta Myricae. Le rime sono alternate, tuttavia rimano fra loro anche il secondo e il quinto verso; lo schema delle rime corrisponde a quello riscontrato nella poesia, sempre dello stesso autore, “Lavandare”: ABA CBC DEDE. 
La prima strofa aiuta a inserirsi nel contesto. Il componimento propone inizialmente la visione di un campo in cui spicca qualche pampino rossastro che risplende nel filare, poi l’inquadratura si allarga, l’occhio s’allontana, e s’imbatte nella nebbiolina mattutina che sembra venire, fumare, dai cespugli. Dopo la descrizione iniziale, nella seconda terzina, ad impianto narrativo, si trovano dei contadini che arano il suddetto campo: uno spinge le lente vacche, un altro semina, e un altro ancora rivolta pazientemente le zolle con la sua zappa, tutte queste azioni sono accompagnate dalle loro lente grida. La quartina finale, anch’essa con una funzione narrativa, ci mostra i due spettatori dell’aratura: un passero che spia dai rami spinosi del moro, aspettando il momento in cui potrà mangiare le sementi restanti, e un pettirosso di cui è solo udibile il tintinnio, che assomiglia a quello di campanelli d’oro. In tutte le strofe prevalgono le sensazioni visive e oggettive, anche se sono presenti due riferimenti al suono, al vv. 4 le lente grida dei contadini e all’ultimo verso il tintinno sottile e come d’oro del pettirosso. 
La lirica è come un’unica espansa visione che va dal grande al piccolo, dal generale al dettaglio, parte dalla vista ampia del campo, con i suoi pampini e la nebbia, si focalizza sul lavoro dei contadini e, ad un ulteriore restringersi del campo visivo, inquadra due uccellini che assistono all’aratura. Questo forse giustifica la scelta dell’autore di non mettere punti, se non quello finale, e di separare, tra la prima e la seconda terzina, il complemento di luogo dal verbo tramite un iperbato (vv. 1 Al campo… vv. 4 arano:…): ciò, infatti, crea un forte legame, non solo dal punto di vista del significato, ma anche per quanto riguarda il piano sintattico, fra tutte e tre le strofe. 
Nella prima strofa sono presenti due enjambement, in particolare quello che separa il complemento di moto da luogo, dalle fratte, dal resto della frase, tra il secondo e il terzo verso, rende il senso di lentezza che accompagna la nebbia ascendente. La terzina che segue è arricchita dall’allitterazione della r e della t, che ricorda la fatica e la difficoltà ritmate del lavoro nei campi, accentuate dagli enjambement e dalla scelta della punteggiatura che rallentano il ritmo; l’ipallage finale poi, che separa un da paziente, mette in risalto anche la grande pazienza dei contadini. Il prevalere dell’allitterazione di sibilante accompagna l’ultima quartina, quasi un’eco con il tintinnio del pettirosso, definito sottile, con evidente sinestesia. Quest’ultimo richiamo sonoro è amplificato da un’immagine visiva introdotta da una metafora, come d’oro. 
Il tema è ancora una volta tratto dal mondo contadino e dall’ambiente circostante, così come accade in “Lavandare” e “Novembre”; in queste liriche infatti le immagini semplici e le consuetudini della vita agreste vengono trattate con un linguaggio aulico e ricercato, che tende a nobilitare le immagini stesse. Ogni termine scelto denota una particolare attenzione al legame tra immagine e suono; inoltre alla genericità dei termini stessi l’autore sostituisce un lessico specifico, sia per la vegetazione che per gli animali: il moro pungente, dove si nascondono un passero e un pettirosso, in “Arano” e l’albicocco, il biancospino e il prugno di “Novembre”.


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