A ZACINTO ANALISI METRICA DI UGO FOSCOLO

A ZACINTO ANALISI METRICA DI UGO FOSCOLO


Analisi metrica:
A Zacinto è un sonetto con schema rimico ABAB.ABAB.CDE.CED.
Presenza di enjabement tra i versi: 3/4, 4/5, 6/7, 8/9. Da notare gli enjabement tra le due quartine e tra seconda quartina e prima terzina, a collegare stilisticamente il periodo lungo attraverso la struttura del sonetto stesso.


Analisi retorica:

(Né più mai toccherò) le sacre sponde anastrofe
ove il mio (corpo fanciulletto giacque), anastrofe
Zacinto mia, che te specchi nell’onde personificazione
del (greco mar) da cui (vergine nacque anastrofe

Venere), e fea quelle isole feconde anastrofe
col suo primo sorriso, onde (non tacque) litote
le tue (limpide nubi) e le tue fronde anastrofe
(l’inclito verso di colui che l’acque

cantò fatali), ed il (diverso esiglio) perifrasi anastrofe
per cui ((bello di fama e di sventura) zeugma
(baciò la sua petrosa) Itaca Ulisse). anastrofe antitesi

Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o (materna mia terra); a noi prescrisse anastrofe
il fato (illacrimata sepoltura). anastrofe


Commento:

Scritto tra il 1802 e il 1803, fa parte degli ultimi e più compiuti sonetti di Foscolo editi in Poesie, dello stesso anno. Attraverso uno stile alto, una tendenza a rompere la struttura delle quattro strofe (richiamando lo stile spezzato di Della Casa) ed una complessità sintattica di pariniana memoria, ottiene uno sviluppo di ampio respiro del tutto consono alle figure epiche ed alle valenze semantiche richiamate in A Zacinto, fuse allo stesso tempo con il tormentato io del poeta e le sue vicende.
Il sonetto è diviso in due enunciati, il primo si sviluppa nelle due quartine e nella prima terzina, il secondo la terzina finale.
Come se per un attimo Foscolo si fosse fermato nel trascorrere della propria vita, ripensando al luogo in cui è nato, con un’amara constatazione (Né più mai…), attraverso i concetti risolutivi di nascita, viaggio e morte ed una complessa struttura di coordinate e subordinate, con il richiamo a figure mitiche dell’epoca classica come Venere, Omero e Ulisse dota di forma il suo struggimento e la sua malinconia di poeta. Zacinto/Venere, la terra e la nascita, la fecondità e la vita, richiamate con uno struggente epidermico attaccamento, si traducono in un passato che non può più tornare, per il trascorrere del tempo, per la maturità, per l’esser Foscolo stesso divenuto poeta, cantore, come Omero, per il senso di distaccamento che ciò pone in lui. Ulisse e l’erratico vagare, emblema di una vita difficile ed irrequieta, che lo accomuna al poeta ma che allo stesso tempo pone una ulteriore definitiva distanza a svantaggio di quest’ultimo. Ulisse, al termine del suo vagare tornerà in patria, alla sua terra, seppur pietrosa e non feconda, e vi tornerà con fama, con il senso di aver compiuto qualcosa che verrà ricordato e celebrato. Al poeta Foscolo non solo quest’ultimo aspetto è negato, ma anche quello di poter riabbracciare Zacinto.
Alla fine di questo sinuoso planare, non rimangono che gli ultimi tre lapidari versi, la morte, la sepoltura, una tomba che non sarà ricordata da nessuno.