A SE STESSO DI LEOPARDI

A SE STESSO DI LEOPARDI


La poesia “A se stesso” viene composta a Firenze nel 1833, dopo l’innamoramento di Leopardi per Fanny
Targioni Tozzetti, che però lo rifiuta. Per il poeta ormai ogni illusione è crollata e nulla sembra avere più
senso.


Or poserai per sempre,
Stanco mio cor. Perì l’inganno estremo,
Ch’eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
In noi di cari inganni,
Non che la speme, il desiderio è spento.
Posa per sempre. Assai
Palpitasti. Non val cosa nessuna
I moti tuoi, né di sospiri è degna
La terra. Amaro e noia
La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T’acqueta omai. Dispera
L’ultima volta. Al gener nostro il fato
Non donò che il morire. Omai disprezza
Te, la natura, il brutto
Poter che, ascoso, a comun danno impera,
E l’infinita vanità del tutto.


PARAFRASI
Ora ti riposerai per sempre, mio stanco cuore. È finito l’ultimo inganno, che io avevo creduto eterno. È
finito. Sento chiaramente che in me si è spenta non solo la speranza, ma anche il desiderio dei dolci
inganni.
Riposa per sempre. Fin troppo hai palpitato. Non c’è nulla che meriti i tuoi turbamenti, né la terra è degna
di sospiri. La vita è amarezza e noia, null’altro mai; e il mondo è fango.
Trova finalmente pace. Disperati per l’ultima volta. Al genere umano il destino non ha donato che la
morte. Disprezza ormai te stesso, disprezza la Natura – quella malvagia forza che, nascosta, domina a
danno degli uomini – e l’infinita vanità del tutto.