POETICA DI PASCOLI

POETICA DI PASCOLI

La concezione  poetica del Pascoli è raccolta in un testo pubblicato nel 1897 sulla rivista “Il Marzocco” : “Il fanciullino”. Lo scritto pascoliano si sviluppa in 20 brevi capitoli, come una sorta di dialogo interiore tra il poeta e la sua “ancor palpitante anima di fanciullino”. Il fanciullino è un personaggio già presente nel “Fedone” di Platone. Questo filosofo greco parlava di un fanciullino  che è in ciascuno di noi e che continua ad esserci anche quando noi diventiamo adulti. Da questo tema parte anche Pascoli, dicendo che in ciascun uomo c’è un fanciullino, solo il Poeta lo ascolta e ne registra in modo immediato gli stupori, perché quando l’uomo cresce è assorto dalle sue preoccupazioni materiali e non ascolta più il fanciullino che è in lui.

Il fanciullino, quindi, è  l’espressione della nostra parte ingenua, spontanea, naturalmente buona.

Il fanciullino è  la poesia, la metafora della poesia, ma è anche la metafora dell’inconscio, cioè della parte oscura e profonda della psiche umana, di qualcosa dentro di noi che non ascoltiamo più, affiora ogni tanto e solo il poeta lo ascolta. Il poeta è veramente tale solo quando esprime ciò che il fanciullo detta dentro.

La poesia allora è irrazionale e alogica, cioè non ha niente a che fare con la ragione, è spontanea, intuitiva. Il fanciullino vede le cose come se ogni volta fosse la prima volta con  stupore e meraviglia e coglie L’ESSENZA SEGRETA delle cose.

La poesia è l’unico strumento che giunge intuitivamente  all’essenza delle cose, non è più  la ragione, dunque POESIA = CONOSCENZA.

Come un fanciullino, il poeta non coglie nella realtà i rapporti logici di causa-effetto, ma scopre ANALOGIE tra le cose, scopre a livello soggettivo rapporti intuitivi immediati tra le cose, rapporti di analogia che collegano tra loro cose anche molto lontane.

Questo fa parte di un’intuizione alogica.

Se la poesia coglie il mistero dei rapporti delle cose tra loro, se il poeta non è un creatore ma semplicemente uno scopritore di ciò che c’è già nella realtà ,  la poetica pascoliana:

rimanda al Positivismo (Poeta come scopritore);

rimanda a un’idea di poesia non più aristocratica ed eccezionale. La poesia non può essere oratoria, civile o patriottica, ma è la poesia delle cose: il fanciullino accoglie tra i temi prediletti della sua osservazione gli oggetti della realtà quotidiana e naturale, da quelli più minuti ed umili fino a quelli straordinariamente grandi. Come il fanciullino anche il  poeta scopre il linguaggio delle umili cose. Questa è una NOVITA’: il rapporto con la realtà comune, con la realtà delle piccole cose.

A prima vista egli crea dei paesaggi impressionistici : pochi tratti del paesaggio colti attraverso i sensi; ma se leggiamo più attentamente vediamo che il poeta VA OLTRE, perché nei tratti della natura egli coglie dei simboli, per cui si parla di impressionismo simbolico.

 

NOVEMBRE

La descrizione naturalistica sfuma nel simbolo: simbolo di morte.

Fin dall’inizio vi è una descrizione primaverile, ma questo paesaggio è solo illusorio (v:4).Non si sente realmente il profumo del biancospino. Ciò significa che  il reale non è quello che appare, ma è qualcosa di sfuggevole, illusorio, misterioso. Ciò che a noi sembra primavera, non è percepito dai sensi, ma dall’immaginazione. “senti nel cuore” è il “fingo” leopardiano.

La poesia di Pascoli è evocativa, non descrittiva. Il poeta, cioè, non si ferma al dato fisico, MA VA AL DI LA’  ( e questo lo collega al decadentismo).

Dopo la prima illusione , si passa ad uno stacco fortissimo con il “ma”, che indica come la realtà sia diversa dall’immaginazione.

Intorno c’è silenzio , ma ci sono due rumori (le ventate e il cader delle foglie) , che simboleggiano la MORTE.

(estate/ fredda = ossimoro)

TECNICHE:    

il ritmo è spezzato dalla punteggiatura  (“Solo, alle ventate”; “Silenzio, intorno”), dalla virgola prima della congiunzione “e”(v.7); e dagli enjambement( vv.1-2; 7-8; 11-12);

assenza del verbo (= sintassi nominale);

chiasmo al verso 1 che permette di evidenziare due aggettivi: “gemmea/ chiaro”;

allitterazioni (“secco – stecchite”; “vuoto – cavo”; ”foglie – cader – fragile”) che testimoniano l’attenzione di Pascoli per i suoni;

sinestesia : “odorino amaro” ( che è anche allitterazione), non è un sentire olfattivo.

Con queste tecniche Pascoli crea una realtà ambigua, illusoria, perché  la realtà cela sempre la presenza della morte.

LAVANDARE

Bozzetto naturalistico di un paesaggio malinconico. I versi sono legati da precise simmetrie.

una prima terzina determina il paesaggio e descrive un’impressione visiva;

una seconda registra i suoni;

la quartina finale trascrive il canto popolare della lavandaia  e si salda alla prima strofa per mezzo dell’immagine dell’aratro abbandonato.

Capiamo , così, che  il paesaggio della strofa iniziale simboleggia un  campo abbandonato.

Nelle prime due strofe non c’è un personaggio che vede e che sente e il dato paesaggistico è costruito in maniera oggettiva; quando, però,  compare nel canto popolare la voce della donna abbandonata, il sentimento che  la canzone esprime si proietta sulle percezioni precedenti quasi fossero stati gli occhi della donna a vedere.

Il canto delle lavandaie riportato nella quartina è la traduzione di un canto marchigiano, canto di solitudine  delle donne abbandonate dagli uomini che dovevano emigrare.

La lettura allora è di tipo simbolico. Tutto rimanda al tema della desolazione, della solitudine e dell’abbandono.

Anche il poeta, come la contadina abbandonata dall’amato (vv.8-9), si rispecchia in quell’aratro; l’innamorata è senza compagno, l’aratro è senza buoi (v.2), il poeta è senza genitori. L’aratro, quindi, è il simbolo dell’animo del poeta provato dai lutti domestici e dalla disgregazione della famiglia.

NEBBIA

Ciò che caratterizza la poesia è l’anafora costante  (“Tu – tu”; “Nascondi le cose lontane”; “ch’io veda”).

Queste ripetizioni rallentano il ritmo , sottolineando in modo ossessivo il  desiderio del poeta di sottrarsi alla realtà esterna.

Il poeta chiede alla nebbia  di creargli una barriera nei confronti della realtà esterna, facendogli vedere solo ciò che è collegato al suo nido, ciò che gli dà sicurezza. La funzione della nebbia, dunque, è  quella di nascondere e far vedere.

Il poeta ha paura della realtà esterna che egli percepisce come una minaccia, come un pericolo: il mondo familiare è un  cosmo conosciuto contrapposto al mondo esterno  che è il  cosmo del mistero.

Siamo lontani dalla poetica leopardiana: non più ricerca di infinito nella fantastica evasione tra “ interminati spazi” e “sovrumani silenzi” di là della  siepe. Il Pascoli, al contrario, percepisce un pericolo e una minaccia in ciò che sta oltre la cinta del suo mondo familiare, di là dei confini segnati dalle abitudini e sceglie il  finito , non l’infinito.

La TECNICA  COMPOSITIVA. Vi è la poetica del determinato/ indeterminato: il poeta contrappone ad uno sfondo indeterminato (“nebbia impalpabile, scialba”) primi piani nitidi e  precisi (“siepe, muro, peschi, meli, cipresso” ) C’è un collegamento con l’Infinito di Leopardi tra la nebbia  e la  siepe, ma qui la nebbia deve proteggere il poeta dall’esterno, deve proprio chiudergli gli occhi e non farlo immaginare.

La nebbia è chiusura verso le esperienze esterne che non siano quelle della morte, espressa nei simboli

“valeriana” = fiore dell’oblio;

“bianco di strada” e “cipresso”.

L’attesa della morte come fine delle sofferenze, del dolore e dell’angoscia.

IL GELSOMINO NOTTURNAppartiene ai  Canti di Castelvecchio.

Per  cinque quartine si allineano rumori, profumi, silenzi, pensieri; sono fiori, farfalle, luci, sensazioni, immagini di morte che si compenetrano nella misteriosa atmosfera della notte estiva.. A prima vista sembra, cioè, che in questa poesia ci sia una serie di notazioni  impressionistiche che non hanno legami logici tra di loro, ma ad una lettura più profonda il TEMA della poesia risulta essere quello  del RITO DI FECONDAZIONE, che si svolge nella casa che ospita due nuovi giovani sposi. (Poesia scritta per l’amico Gabriele Briganti per le sue nozze).

Il fiore del gelsomino apre il suo calice di sera e lo apre anch’esso per il suo rito di fecondazione. Alcuni elementi indicano una certa sensualità: il colore rosso e l’odore di fragole che si esala dai calici dei fiori (sinestesia) sono fortemente sensuali.

All’alba, compiuta la fecondazione, il fiore chiude i suoi petali: analogia tra  il fiore e il ventre femminile. “Si cova” rimanda al nido, tema proprio della poesia pascoliana. ”Urna “ rimanda alle ceneri dei morti: in tutta la poesia ,infatti, oltre al riferimento  al rito della fecondazione, vi è il collegamento col tema della morte.

L’ASSIUOLO

Una notte nebbiosa è la situazione di partenza. Il poeta cerca nel cielo la luna, ma la sua attenzione è distolta continuamente dai lampi prima, dalla voce monotona del mare poi, infine dal canto delle cavallette. Intanto egli ascolta un altro suono, una voce lamentosa che è quella dell’assiuolo: il suono è CHIU’ ed  ha una funzione onomatopeica. Questo suono diventa di strofa in strofa un simbolo sempre più chiaro: da  voce diventa un  singulto e infine  pianto di morte.(climax ascendente)

I novenari terminano con la parola chiù che ha un valore fonosimbolico. Ci troviamo di fronte al fonosimbolismo pascoliano (= Suoni che hanno un significato simbolico).

 Il critico Contini ha visto in questa poesia una dialettica : DETERMINATO/ INDETERMINATO = porre oggetti ben definiti su uno sfondo sfumato, indeterminato.

Così il “mandorlo” e il “melo”(al verso 3) si stagliano su un fondale inafferrabile: “alba” perlacea (al verso 2), “nubi” nere ( al verso 6); le “stelle” indicano oggetti precisi, determinati, collocati in mezzo alla “nebbia di latte”.

In questa lirica l’indeterminatezza è sia all’inizio  (“Dov’era la luna”?) che alla fine. Non risponde alla domanda iniziale e  conclude  con “c’era quel pianto di morte…”che è indeterminato. La lirica non ha un punto finale.

Il canto doloroso dell’assiuolo (“singulto”) si associa con il “sussulto”, cioè con il turbamento che domina l’animo del poeta, il quale non riesce a liberarsi dal ricordo nostalgico dei genitori scomparsi.

Dal verso 18 un alito di vento introduce il motivo delle cavallette; il loro frastuono, nei prati, evoca nella fantasia del poeta un’immagine misteriosa: il suono degli insetti gli pare analogo a quello che produrrebbe una mano che bussasse a porte invisibili e sbarrate. Sono forse le porte immateriali della morte che separano i vivi dai defunti e che, una volta richiuse, non  “s’aprono più”

In ogni strofa vi è una parte iniziale dove la natura sembra serena e una seconda parte  caratterizzata da immagini inquietanti e minacciose: ANTROPOMORFIZZAZIONE DELLA NATURA (il mandorlo e il melo che si ergono). La poetica pascoliana ingrandisce le piccole cose e rimpicciolisce le grandi (fanciullino):tecnicamente raggiunge lo scopo con una sintassi franta, paratattica e spesso nominale; la sintassi è però ancora tradizionale con frasi comprensibili. Nel linguaggio poetico del Novecento, invece, la sintassi sarà distrutta (rivoluzione che si trova ad esempio in Ungaretti).

La sintassi segue un discorso logico, ma ci sono anche strutture analogiche e simboliche che ci danno l’idea di una poesia alogica, intuitiva e irrazionale (ad es. vengono cancellati i passaggi logici tra “sistri” e “cavallette”; “nebbia” e “latte”).

Caratteristiche DEL LINGUAGGIO PASCOLIANO :

– passaggio dal descrittivismo all’allusività;

– dal determinato all’indeterminato;

– sintassi paratattica;

– periodare spezzato dalla punteggiatura;

– uso frequente della sinestesia e dell’analogia attraverso le quali si coglie una

  raffigurazione del reale frammentaria, non basata su rapporti di causa-effetto, ma su

  rapporti misteriosi e alogici tra le cose;

– insistenza sugli effetti fonici: onomatopea, allitterazione.

LINGUA : molteplicità di codici linguistici: lingua della tradizione letteraria, lingua tecnica (ornitologia, botanica), colloquiale, lingua straniera.

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