2 RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

2 RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

2 RIVOLUZIONE INDUSTRIALE


La seconda rivoluzione fu la naturale conseguenza della depressione causata da una grave crisi di sovrapproduzione e da una diminuzione della domanda che costrinsero le imprese ad accumulare merci invendute per un lungo periodo. Nel nostro paese, in particolare, le cause del ritardo del decollo industriale rispetto ad altre potenze europee e non, come gli Stati Uniti, vanno ricercate tra l’altro nella scarsa disponibilità di materie prime di fondamentale importanza come ferro e carbone, nella carenza di capitali a disposizioni degli imprenditori per effettuare investimenti produttivi, nella suddivisione della penisola in vari Stati autonomi gli uni dagl’altri, fortemente in concorrenza fra di loro, ma soprattutto nell’applicazione di dazi doganali che rallentavano la nascita di un mercato interno efficiente. Ad aggravare questa situazione devono aggiungersi la pessima condizione delle vie di comunicazioni e l’arretratezza del settore agricolo, settore in cui si operava ancora con metodi e tecniche arretrate, i cui prodotti, specialmente in Italia centrale erano destinati a l’auto consumo poiché vi erano prodotti americani, in particolare il grano argentino, che invadevano tutti i mercati italiani, ma non solo, e per questo motivo molte imprese furono costrette a chiudere. Per quanto riguarda poi la nostra zona, la Versilia, la forma di organizzazione agricola prevalente era quella della mezzadria, un vero e proprio contratto fra padrone e contadino (mezzadro) con il quale quest’ultimo aveva la possibilità di lavorare con la sua famiglia nel podere, con l’obbligo però di suddividere con il proprietario il raccolto ottenuto e che vedeva così rimanere nelle sue mani una piccola parte dei risultati del faticoso lavoro. Un passo importante verso l’industrializzazione fu compiuto con l’unificazione politica dell’Italia nel 1861, che permise la formazione di un mercato unitario e consentì la realizzazione di una rete ferroviaria più ampia (passata dal 1859 al 1880 da 2500 a 9300 Km). Molti problemi restarono tuttavia insoluti, soprattutto nel Sud, mentre nella parte settentrionale la situazione migliorò in quanto le imprese videro crescere le loro attività anche perché inserite in un’area economicamente ben più avanzata. Come già detto fu il fenomeno depressivo a spingere gli imprenditori verso nuove tecnologie al fine di migliorare la qualità dei prodotti. C’era in tutti i settori bisogno di nuovi procedimenti di lavorazione di nuovi macchinari che consentissero maggiore produttività con costi più bassi per ottenere i più alti profitti possibili. Proprio per questi motivi il colonialismo, nato in particolare con la spartizione del continente africano, cominciata negli ultimi 20 anni dell’800, a scapito delle popolazioni indigene, si intensificò e consentì l’utilizzo di nuove materie portando però allo sfruttamento di tanti individui. In quegl’anni anche le fonti energetiche ebbero grande importanza per il miglioramento del sistema produttivo e fra queste sono da evidenziare l’utilizzo dell’elettricità e del petrolio, sebbene in maniera differente nelle varie zone del mondo. Ciò provocò ulteriori squilibri, oltre che in campo economico e politico, anche in quello sociale. Questa crisi si cercò di risolverla, o almeno di ridimensionarla,  mediante l’abbassamento dei salari che però ebbe l’effetto opposto poiché con meno soldi a disposizione si acquistava di meno. Inoltre furono elevate le barriere doganali (protezionismo; protezione del proprio mercato). Le industrie incapaci di sostenere grossi investimenti furono costrette a dichiarare il fallimento, al contrario quelle capaci di investire grosse somme di danaro riuscirono a proseguire la propria attività fondendosi con altre industrie. Si venne così a formare un fenomeno chiamato “concentrazione industriale” e nacque poi la tendenza al monopolio.Paesi come Francia e Inghilterra, infatti, dove fino ad allora il potenziale industriale e commerciale era stato fra i più alti del mondo, furono superate dalla Germania, dagli Stati Uniti e dal Giappone nazioni in cui le innovazioni tecnologiche trovarono una più immediata applicazione. Inevitabilmente, come la storia ci insegna, la concorrenza e la competizione fra i vari paesi determinarono tensioni e scontri che spesso si manifestarono anche all’interno di uno stesso Paese fra lavoratori e datori di lavoro. La condizione degli operai era sicuramente in quegl’anni molto precaria, tanto da spingerli ad associarsi in organizzazioni sindacali per protestare e rivendicare i loro diritti mentre la classe padronale rispondeva in genere con dure repressioni o anche se a volte accoglieva alcune richieste. Altro aspetto importante di questo periodo fu il consolidamento del protezionismo, con il quale alcuni governi, per difendere le proprie industrie istituirono blocchi doganali e potenziarono le infrastrutture allo scopo di sostenere la produzione interna. Per quanto riguarda le vie di comunicazione che avevano l’importante funzione di agevolare gli scambi, si svilupparono soprattutto il settore ferroviario e quello della navigazione che consentirono di effettuare percorsi più lunghi e in tempi più brevi, e permisero di migliorare il grado di efficienza di molte imprese.E’ di questo periodo la realizzazione del canale di Suez (1869), di quello di Manchester e di quello di Panama, quest’ultimo però ultimato nel 1914, del ponte di Brooklyn, nel 1878, della metropolitana di Londra, inaugurata nel 1863.

 Taylorismo e fordismo sono due complessi fenomeni economici, sociali e organizzativi che fanno capo a due illustri personaggi degli inizi del Novecento: l’ingegnere Frederick Taylor (1856 – 1915) e l’industriale automobilistico Henry Ford (1863 – 1947).L’ingegnere Taylor è infatti stato il primo a teorizzare un’organizzazione scientifica del lavoro: egli aveva capito, in seguito alla sua esperienza come responsabile della produzione in aziende che trattavano principalmente materiale meccanico, che era molto importante in un’industria attuare un sistema di produzione mirante al massimo risultato ma con il minimo della fatica e del tempo. Taylor intendeva infatti annullare tutti gli sprechi di tempo – i cosiddetti tempi morti – e tutti gli sprechi di energia, limitando i movimenti degli operai al minimo indispensabile. Per ottenere ciò egli attuò la catena di montaggio, un sistema produttivo diviso in tante piccole unità semplici e ripetibili che non consentivano alcuno spreco di energia né di tempo. Gli operai della catena di montaggio cioè dovevano svolgere solo determinati movimenti sempre uguali per tutta la durata della giornata lavorativa. Chi aveva la capacità di essere straordinariamente veloce era anche incentivato economicamente con un premio di produzione. Questo sistema di pagamento viene ancora oggi chiamato cottimo.

           I principi del pensiero di Taylor infatti si possono riassumere in due punti principali:

  1. Il principio dell’One Best Way (= l’unico miglior metodo possibile): dinanzi a qualunque problema tecnico o organizzativo esiste una sola soluzione, non una serie di soluzioni alternative fra loro. Questo significa che la produzione migliore avviene se il lavoratore smette di pensare a quello che deve realizzare ma si concentra solo sui gesti sempre uguali legati al momento produttivo che gli è stato assegnato.
  2. Il principio dell’”operaio bue”: il lavoratore deve fare solo quello che gli viene ordinato senza crearsi problemi e senza neanche chiederne la ragione. Deve rispettare regole, impegni e tempi previsti senza anticiparli, né attardarli. Nella logica tayloristica, quindi, l’operaio pigro o quello zelante sono sullo stesso piano perché non rispettano i tempi dell’organizzazione scientifica del lavoro.

 Dal punto di vista industriale, l’industriale che meglio di altri comprese le straordinarie potenzialità del metodo tayloristico, e quindi della catena di montaggio, fu Henry Ford proprietario dell’omonima industria di automobili. Egli non solo applicò il metodo messo a punto da Taylor ma incentivò i suoi operai con dei salari alti, in modo da consentire alle classi sociali operaie un benessere mai conosciuto. In questo modo anche gli operai, oltre che essere i produttori di un bene, ne divennero anche i consumatori: molti dei modelli della prima auto Ford chiamata “modello T” furono proprio acquistati dagli operai che la costruivano.

Risaltano delle permanenze e delle importanti differenze. La permanenza più significativa è che le rivoluzioni industriali si verificano nei paesi culturalmente e istituzionalmente più avanzati dell’epoca, nei paesi, cioè, dove le istituzioni sia politiche sia economiche sono adeguate per permettere la libera iniziativa in un contesto di certezza del diritto commerciale, sono in grado di offrire un sistema monetario relativamente solido, un sistema finanziario capace di raccogliere ingenti capitali, una pratica contabile ordinata ed efficiente una sufficiente diffusione dell’alfabetizzazione, dell’informazione e della cultura superiore.

Non è certo un caso legato all’ambiente naturale o alla disponibilità di risorse che la prima rivoluzione industriale sia avvenuta in Gran Bretagna: era questo il paese culturalmente ed istituzionalmente più avanzato dell’epoca; il fatto poi che la Gran Bretagna disponesse di miniere di carbone, o di colonie che fornivano altre materie prime, è stato ormai riconosciuto un fattore di aiuto, ma no certo la causa principale del suo decollo industriale.

 Se la prima rivoluzione industriale si basava sulla macchina a vapore, che mutò drasticamente l’approvvigionamento di energia in qualunque processo produttivo, sulla lavorazione del ferro all’alto forno e sulla meccanizzazione di molti processi produttivi prima effettuati a mano, particolarmente nelle industrie tessili e alimentari, la seconda rivoluzione industriale si basò invece sull’elettricità, il motore a scoppio, l’acciaio e la chimica organica. Ebbene, le invenzioni della prima rivoluzione industriale richiedevano scarse elaborazioni teoriche e potevano essere realizzate anche da uomini pratici, come da uomini pratici potevano essere utilizzate: un’ istruzione elementare era sufficiente (si ricordi, comunque, che all’epoca anche l’istruzione elementare era patrimonio di pochi. Nella Gran Bretagna della prima rivoluzione industriale solo metà della popolazione all’incirca sapeva leggere e scrivere). Ma la chimica, l’elettricità, l’acciaio e la meccanica del motore a scoppio erano più complicati, più legati a conoscenze e a nuove scoperte scientifiche, e richiedevano quindi un’istruzione medio-superiore per l’invenzione e almeno un’istruzione media per la loro utilizzazione. Fu così che i paesi che seppero istituire un sistema di istruzione medio-superiore più valido e generalizzato fecero meglio degli altri, la Germania e gli Stati Uniti in testa a tutti. Fu così che la Gran Bretagna attaccata ai suoi splendori non seppe tener dietro a questi nuovi sviluppi, non adeguò il suo sistema educativo e iniziò il suo declino da paese leader. Ma la seconda rivoluzione industriale rivela anche altre differenze rispetto alla prima. Nella seconda ci furono un numero maggiore di innovazioni di prodotto rispetto alla prima. Proprio la macchina a vapore è un’innovazione di prodotto: si tratta di qualcosa che prima non esisteva affatto, ma la meccanizzazione dei processi produttivi era soprattutto fatta di innovazioni di processo: quello che prima veniva fatto a mano, ora veniva eseguito dalle macchine, ma il prodotto finale non variava di molto. La seconda rivoluzione industriale vede invece spettacolari novità di prodotto: dal telefono all’aspirina, dall’aereo all’alluminio, dal cinematografo alle fibre tessili artificiali. Si avviano giganteschi investimenti per il trasporto dell’elettricità e della telefonia, la costruzione di strade per le automobili, ma, soprattutto, ci si rende conto che molti di quei nuovi prodotti possono essere resi disponibili ai consumatori a prezzi assai contenuti se se ne organizza la produzione su larga scala in impianti di enormi dimensioni.